di Paola Fargion
LETTERA APERTA ALLA PRESIDENTE DELL’UNIONE COMUNITÀ EBRAICHE ITALIANE U.C.E.I.
“Sono ormai molti anni che – da ebrea italiana, scrittrice di narrativa ebraica e libera cittadina di un paese in cui non mi sento più libera – vengo invitata da Biblioteche, Amministrazioni pubbliche o Enti privati in occasione, e non solo, del “cosiddetto” Giorno della Memoria.
Sottolineo “cosiddetto” perché – e fortunatamente non sono l’unica a dirlo – del suo spirito, intenti e obiettivi questa celebrazione ha perso per strada quasi tutto.
E purtroppo il processo di impoverimento è avvenuto rapidamente, in meno di una ventina d’anni, facendo diventare questa importante celebrazione, per fortuna non ovunque in Italia, il contenitore in cui convogliare di tutto associandovi – in uno sforzo volto a proporre a un pubblico bulimico e consumatore di sempre maggiori novità – un pacchetto all inclusive, come in un’agenzia viaggi, di progetti, proposte, idee spesso diverse ogni anno e che poco o nulla hanno a che fare con la Shoah.
Ma mentre ricorrenze come il Giorno del Ricordo sono dedicate a specifici avvenimenti, rigorosamente ricordati e onorati come tali – vittime delle foibe e persecuzioni degli italiani in Jugoslavia – nel caso del Giorno della Memoria non è così.
Ecco dunque che proprio il 27 gennaio ad Acqui Terme è stato inaugurato uno slargo intitolato ai cosiddetti ‘giusti’ acquesi, fatto che ha distolto l’attenzione da quei tre nuovi Giusti tra le Nazioni (Chasidei Umot Haolam) acquesi, da poco nominati dal Memoriale della Shoah Yad Vashem. Tale inaugurazione è stata certamente un atto simbolico importante, voluto dall’Amministrazione Comunale e lodato dalla Comunità ebraica di Torino, che però ha offuscato il più alto – e sottolineo unico – riconoscimento mondiale dato ad eroici non ebrei dallo Stato di Israele, cioè dall’intero Popolo ebraico. E così non si sono onorati pubblicamente tre acquesi che hanno protetto e salvato oltre 10 ebrei, con il risultato, anche in questo caso, di confondere attribuzioni e riconoscimenti, di fatto sminuendo il significato e l’altissimo valore di quello del Memoriale della Shoah Yad Vashem.
E poi, sullo stesso filone, ecco ricomparire sulla scena – questa volta a Biella – la “Giornata delle Memorie”, un percorso “emozional-culturale” partito nel 2020 nel silenzio assenso di tutti che, diviso in 4 moduli come nelle migliori strategie di marketing, parte da Auschwitz col modulo 1 ‘Shoah’, passando al modulo 2 ‘Oggi’, continuando con il modulo 3 ‘L’indifferenza’ per concludersi in Bosnia col modulo 4 ‘The Game’.
Sì, cara Presidente Di Segni, ha letto bene, ‘The Game’… Non siamo su Netflix, siamo a Biella, anzi ad Auschwitz, dato che il drone, mediante suggestivi effetti speciali, sorvola proprio il Vernichtungslager di Auschwitz-Birkenau (!!) con frasi ad effetto e citazioni autorevoli che catturano il pubblico, come ad esempio “Ricordare per rimanere umani e liberi.” A questo proposito forse non tutti ricordano che “restare umani” (notasi l’assonanza…) è la frase coniata da un certo Vittorio Arrigoni, strenuo nemico del Popolo ebraico e dello Stato di Israele, grande amico dei terroristi di Hamas e da loro ammazzato a Gaza come un cane. Peccato che la propaganda antiebraica attribuisca il suo barbaro assassinio allo Stato di Israele… Questo signore è un eroe per quanti non distinguono più il bene dal male ed è stato riconosciuto ‘giusto’, aihmè, dal Comune di Trevi, all’interno del ‘circuito dei giusti di Gariwo…’ (doppio aihmè). Meglio non commentare oltre, lasciando a chi legge interrogativi, sconcerto e relative riflessioni in merito.
Che c’entra tutto questo con la Shoah? Perché, dottoressa Di Segni, nessuno del mondo ebraico ha alzato la voce a Biella, come a Trevi, contro queste operazioni mistificatorie e l’abuso – non l’uso consapevole – di simboli che feriscono la nostra coscienza collettiva? Progetto, quello di Biella, a cui si sono associati oltre 40 fra gruppi di volontariato e svariate sigle, che offende coscienze come la mia (forse l’unica? Spero di no…) nelle forme, nelle foto, nelle parole usate e nei contenuti – apparentemente e solo apparentemente coerenti con lo spirito della celebrazione – la Memoria, al singolare, a Biella oramai declinata al plurale, la Memoria del crimine più orrendo della storia e dello sterminio di sei milioni di ebrei insieme a molti altri innocenti. Un progetto – quello di Biella Luminosa – che vede l’appoggio di autorevoli sponsor e testimonial anche ebrei, purtroppo, in un calderone indistinto che accomuna la Shoah, il genocidio nazista unico e speriamo irripetibile, ad altre ingiustizie e crimini, addirittura alla migrazione generalizzata, in una confusione assoluta che soffoca Verità e Storia.
Si indignerebbe qualcuno fra i discendenti dei profughi istriani se il 10 febbraio venisse declinato come Il Giorno dei Ricordi? Io credo proprio di sì!
E allora perché mai voci di sdegno si sono alzate forti e chiare nei confronti di Alessandro Meluzzi, reo di aver ritwittato la foto di Auschwitz con una modifica orrenda al famigerato motto nazista “Arbeit macht frei” e nessuno ha contestato l’utilizzo della stessa immagine nei vari moduli, specie il 4, dal titolo – altrettanto orrendo – di ‘The Game’?
Ci sono forse motivazioni ideologiche o di opportunità e convenienza politiche?
Forse che la destra in Italia oggi sia peggio della sinistra? Non credo proprio, dato che l’odio nei nostri confronti è oramai trasversale, come si vede dal recente post gravemente antisemita di una consigliera comunale 5Stelle di Torino… O dagli sputi sulla Brigata Ebraica ad ogni 25 aprile da parte di militanti di sinistra.
In tutto questo vedo una situazione morale, etica e politica che sta inesorabilmente franando, in un inarrestabile declino che trascina con sé anche il nostro popolo, che sembra manifestare un’identità sempre più assimilata, non tanto dal lato religioso, ma soprattutto da quello valoriale, etico e storico. Questo è il segno inequivocabile di una nostra profonda debolezza: se abbiamo bisogno di cedere – per compromesso – parti della nostra storia, del nostro dolore, delle nostre migrazioni al fine di essere riconosciuti, assimilandole, uniformandole togliendo loro unicità, e non affiancandole a quelle di altri popoli e ad altre esperienze storiche, beh… purtroppo il risultato finale è prevedibile e già drammaticamente sotto ai nostri occhi.
L’antisemitismo e l’odio antiebraico non hanno paragoni, anzi, hanno un’unicità straordinaria: continuano ad imperversare da millenni e ad essere sempre più presenti, man mano che cresce il nostro livello di assimilazione e diminuisce la nostra vigilanza. E così l’omologazione, il “rimanere tutti umani e liberi” porta ad offuscare l’origine, i motivi storici e culturali, le ragioni e i perché dell’odio antiebraico di cui la Shoah è stata la logica e naturale conseguenza. E questo è proprio ciò che vogliono coloro che ci odiano: annacquare la nostra unicità identitaria per farci scomparire definitivamente, confusi nel brodo indistinto e omologante di cui oggi purtroppo si nutre la nostra società.
Come aveva ben detto il Rabbino Giuseppe Laras, solo il genocidio armeno può essere vagamente paragonato alla Shoah anche se – aggiungo io – le ragioni sono diverse da quelle che hanno condotto allo sterminio 6 milioni di ebrei. E anche le modalità sono diverse, sebbene si sia trattato anche in questo caso di un crimine abietto. Così come furono diversi i motivi e i perché dei tanti eventi bellici che nei secoli hanno condotto etnie e popoli a combattersi e farsi propugnatori di stermini di altrettante etnie e altrettanti popoli.
Ma mai, dico mai, si può e si deve paragonare una guerra di religione nel nord Nigeria, o in Birmania ai pogrom subiti dagli ebrei nella Russia zarista; e mai, dico mai, possiamo lontanamente assimilare la migrazione sulla rotta balcanica di gente che ambisce, giustamente, ad un futuro migliore, alle fughe dall’Europa e dal mondo arabo di migliaia di ebrei spogliati di tutto, ingannati, espulsi, vessati, umiliati, emarginati, convertiti a forza solo per il fatto di essere ebrei.
Non ci è permesso farlo, per il rispetto che dobbiamo alle migliaia e ai milioni di morti che come unica colpa avevano quella di essere ebrei. E la cui memoria noi abbiamo il dovere di difendere a ogni costo, perché loro non possono più farlo.
In conclusione: alla luce di quanto ho purtroppo visto e spesso subito in questi lunghi anni di presenza attiva nella celebrazione del Giorno della Memoria, HO DECISO DI NON PARTECIPARVI PIÙ, lasciando spazio a chi preferisce il caos ideologico e le mezze verità alla Verità e Chiarezza dei fatti, anche sotto il profilo storico ed etico.
Rivolgerò altresì i miei sforzi e la mia attenzione alla celebrazione dell’unica data che veramente incarna lo spirito, i valori, la Memoria del popolo ebraico e di ciò che siamo: YOM HAZIKARON LASHOAH VE LAG’VURAH, comunemente detta Yom Ha Shoah, giornata che cade anch’essa il 27, ma non del mese di gennaio, bensì del mese ebraico di Nissan, e che non ricorda l’apertura tardiva dei cancelli di Auschwitz Birkenau, ma lo sterminio di 6 milioni di ebrei, di tante altre vittime della barbarie nazista, ma soprattutto il coraggio e le gesta di quegli eroici ebrei che non si arresero al massacro passivamente ma anzi, vi si opposero: nei ghetti, fra i gruppi partigiani e nei lager.
A questo rivolgerò il mio impegno, perché l’antisemitismo è ignoranza e si combatte solo a testa alta, senza compromessi per conservare un posticino in platea, opponendosi all’omologazione che ci vuole silenziare, affermando le cose come stanno, la Verità storica e temporale, per costruire una coscienza critica forte da trasmettere a un’Italia che ama i luoghi comuni e ancora non ha fatto i conti col suo passato.
Invito dunque il mondo ebraico italiano e Lei, dottoressa Di Segni, che di questo mondo è l’attuale portavoce, a distaccarsi da celebrazioni ormai vuote e sminuite di significato per proporre pubblicamente la celebrazione di Yom Ha Shoah, Memoria Vivente come è Vivente il Popolo di Israele.
Perché quei due minuti di silenzio assordante coperto dall’urlo della sirena che ogni anno risuona il 27 Nissan in tutto Israele non siano più solo lì, in Terra di Israele, come se fossero “cosa nostra” e basta, ma diventino Voce che parla al cuore e alla mente di questa Italia confusa e spesso sorda. Abbiamo questo dovere finché restiamo qui, per quei morti che non hanno più voce e i sopravvissuti che a breve non ci saranno più. E allora prendiamo coraggio – io, Lei, l’Unione delle Comunità, i nostri giovani – per spiegare a tanti, a tutti, attraverso la Nostra Celebrazione, chi siamo, perché siamo e perché continueremo ad essere. Grazie.”
11 febbraio 2021