«Il sogno americano è morto, è rimasto solo il mito. Trump è la personificazione della frustrazione di quest’America. È stato abile a diventare il referente dei delusi ma, anziché proporre soluzioni, ha solo alimentato ulteriormente la rabbia». Così il noto scrittore ebreo americano Joanathan Safran Foer – autore di capolavori come Ogni cosa è illuminata, Molto forte, incredibilmente vicino e l’ultimo, Eccomi, uscito in Italia a settembre per Guanda – parla al giornalista del Corriere della Sera Massimo Gaggi in un’intervista pubblicata oggi sul sito del quotidiano. Una chiacchierata, in cui lo scrittore racconta come si è svolta la campagna elettorale americana, e quali sono i suoi timori legati alle elezioni.
Su Donald Trump Foer non risparmia le critiche. «Ci sono tante cose che ho trovato gravi e disgustose nella campagna di Donald Trump: lo sberleffo a un disabile imitando i suoi handicap fisici, le cose tremende che ha detto sulle donne, gli immigrati ispanici, i musulmani. Ma ciò che mi ha offeso di più è il suo costante e sfrontato disprezzo per la verità. Un rapporto totalmente casual con la realtà dei fatti che, a seconda delle convenienze, può anche essere totalmente ignorata. Un metodo che il candidato ha proposto come modello anche al suo popolo: un vero avvelenamento delle coscienze».
Certo, anche Hillary Clinton ha fatto i suoi errori, soprattutto nel caso dell’ “emailgate”. Ma secondo Foer i piani sono diversi. «Lei ha cercato a volte di presentare un fatto in modo favorevole, ma nella campagna, nell’affrontare i problemi dell’America e del mondo, si è confrontata con la realtà. Ha mostrato rispetto per la verità. Trump no. Non si è limitato alle singole menzogne: ha disegnato un mondo immaginario e ha preteso di far credere agli americani che quella sia la realtà: è questo che mi offende di più».
Attenzione, però, ammonisce Foer: gli elettori di Trump non sono tutti bigotti o fanatici ignoranti, ma sono soprattutto persone rimaste deluse dal Grande Sogno Americano. «Io lo capisco bene perché la mia famiglia è la materializzazione di quel sogno – racconta al giornalista -: mia madre è nata in Europa, in un “displaced person camp” (i campi creati nel Dopoguerra per ospitare provvisoriamente i profughi, soprattutto i sopravvissuti dei campi di sterminio nazisti, ndr). Venne in America da piccola, non sapeva una parola d’inglese. Pian piano è arrivata a mettere su il suo negozio di genere alimentari, ha raggiunto un discreto livello di sicurezza economica, ha dato ai suoi figli un’istruzione di buona qualità nella scuole pubbliche. Eccolo il sogno americano: il principio delle pari opportunità, tutti gli uomini creati uguali, e il diritto al perseguimento della felicità che trovano riscontri concreti. Ma oggi per la maggior parte dei nuovi americani la possibilità di progredire, di uscire dai confini della propria classe sociale, è svanita».
Quindi, qualsiasi sarà il risultato delle elezioni di martedì 8 novembre, la discesa in campo di un personaggio come Trump e il seguito che ha conquistato hanno ormai avuto effetti devastanti sulla società americana. «Il degrado del discorso politico, l’imbarbarimento del dibattito, la sostituzione dei ragionamenti col puro rumore finalizzato ad attirare l’attenzione produrranno danni permanenti – considera lo scrittore -. Sotto i colpi di Trump la parola ha perso di peso, di significato. Non conta quello che si dice, basta alzare il volume. Un tempo le campagne elettorali erano un confronto tra progetti, proposte di riforma, diverse visioni del mondo. Chi faceva politica poteva avere interessi, ma pensava anche di poter rendere il mondo un posto migliore. C’era una componente etica, di doveri civili, nella politica. Tutte cose che si sono affievolite negli ultimi anni, voto dopo voto. Ora sono addirittura scomparse in una campagna che è stata solo un “popularity contest”, una gara di popolarità. Non conta cosa si dice ma quanta gente va ai comizi e viene catturata davanti a un teleschermo».