Solo menzogne

Opinioni

Finisce ingloriosamente in frantumi l’operazione legata al libro Pasque di sangue. L’autore, sommerso dalle critiche e smentito da tutti gli studiosi competenti, che hanno distrutto la credibilità dell’opera, ha deciso di fermare la distribuzione della sua ricerca e si ripromette ora di lavorare per apportare importanti correzioni al volume.

I proventi, ha annunciato, saranno in ogni caso devoluti all’organizzazione antirazzista Antidefamation League. La risoluzione è pervenuta dopo una dura smentita del suo operato da pare dell’università Bar Ilan, dove lo storico Ariel Toaff insegna.

Il presidente dell’ateneo israeliano, Moshe Kaveh, che ha avuto un lungo colloquio con l’autore del libro – in una sua nota ha espresso “collera e grande dispiacere” nei confronti dello storico “per la sua mancanza di sensibilità nel pubblicare il suo libro sulle istigazioni di sangue in Italia”. “Il professor Toaff – ha aggiunto l’Università – avrebbe dovuto dimostrare maggior sensibilità e prudenza nel gestire il libro e la sua pubblicazione, in modo da prevenire le recensioni e le interpretazioni distorte e offensive”. Ed ha invitato il professore – che tra pochi anni dovrebbe andare in pensione – “vista la entità del danno provocato al popolo ebraico”, ad assumersi “le responsabilità personali del caso e ad adoperarsi per riparare i danni provocati”.

Nel libro, giudicato infame e privo di alcun valore scientifico da ogni fonte autorevole, Toaff ha sostenuto che l’uso di sangue cristiano quale ingrediente del pane azzimo nella Pesach ebraica non fosse sempre e comunque un’invenzione antisemita. Un’accusa gravissima avanzata senza alcuna dimostrazione credibile.
Ariel Toaff parla ora di “false e distorte interpretazioni”.
e si scusa con “tutti coloro che sono stati offesi dagli articoli e dai fatti distorti attribuiti a me e al mio libro”.
Ha anche espresso “profondo rincrescimento per le interpretazioni errate attribuite a me o al mio libro che feriscono il popolo ebraico”.

Un’antica leggenda spiega come la parola ebraica che indica il concetto di verità si formi utilizzando solo lettere provviste di due gambe e che restano di conseguenza ben piantate per terra. La parola che indica la falsità solo con lettere provviste di un sola gamba e quindi che soffrono di un equilibrio instabile, che sono presto destinate a cadere.

Quella che doveva essere una astuta e velenosa operazione di negazionismo si sta sbriciolando ora dopo ora sotto gli occhi di chi l’ha architettata. La realtà che ne emerge fa male ed è sconfortante al tempo stesso. Il libro Pasque di sangue (editore il Mulino), che ha gettato nuovamente l’ombra dell’omicidio rituale sulla realtà ebraica medievale, che ha rinnovato l’accusa utilizzata per risvegliare secoli di odio, di pogrom e di persecuzioni, non è solo, come è ovvio, folle e inopportuno. E’ anche del tutto privo di valore scientifico. Sprovvisto di alcun fondamento reale.

Per compiere questa sconfortante constatazione, dopo una settimana di sofferenze e turbamenti dolorosissimi per gli ebrei italiani, è stato necessario attendere che fosse distribuito in libreria, è stato necessario attendere il responso di chi aveva titolo per giudicarne i contenuti accademici. Ora è chiaro che solo un paio di screditati piazzisti dell’odio intendono avvalorarne i contenuti. Nessuno storico degno di questo nome, nessun intellettuale credibile si è levato per rivendicarne almeno la credibilità. E non basta: tutti gli esperti, i medievalisti, gli studiosi competenti dopo un primo attimo di sbigottimento, stanno cominciando a constatare lo squallore di un’operazione che rischia di passare alla storia come uno dei più gravi attacchi antisemiti di questi ultimi anni.

Il professor Giacomo Todeschini, che insegna Storia medievale all’Università di Trieste ed è uno dei maggiori esperti italiani di fonti medievali per quanto riguarda i rapporti giudaico cristiani, è profondamente turbato dal contenuto del libro. Per misurare la credibilità del testo è stato necessario districarsi in numerose citazioni, note, riferimenti il cui valore accademico può essere giudicato solo dagli addetti ai lavori.

Il suo responso è senza appello. Se esaminato a freddo, il libro costituisce esclusivamente un’operazione ideologica, senza aggiungere nulla di nuovo al cumulo di pregiudizi antisemiti che i persecutori antiebraici hanno messo assieme in secoli di odio.

Professor Todeschini, cosa ha potuto verificare nel corso della sua analisi?

Si è trattato di una lettura molto dolorosa. Il libro contiene testimonianze tratte da fonti latine di seconda mano. Atti, cronache, agiografie già note.

Vuole dire che il libro non contiene elementi nuovi, che tutto lo scalpore che ne ha accompagnato l’uscita sarebbe stato orchestrato ad arte?

Escludo che il li libro contenga elementi nuovi. Tutti i documenti e gli elementi citati erano già assolutamente noti.

Ma allora in cosa consiste la sua novità?

Nel privare le fonti a disposizione del proprio contesto, nel negare al lettore la possibilità di interpretare i documenti, nel distorcere l’analisi del linguaggio.

In che senso?

Ecco alcuni esempi. Il libro, come è ormai noto, cita alcuni atti processuali che contengono l’ammissione di alcuni ebrei di Trento di aver commesso l’omicidio di un bambino (il famoso beato Simonino) per impossessarsi del suo sangue. Tutti sanno che queste confessioni furono estorte sotto atroci torture. Ma il libro si guarda bene dal chiarire quali erano le tecniche processuali dell’epoca.

Per esempio?

La confessione degli imputati non era solo estorta con la tortura, ma era anche la conclusione di un processo che partiva dalla presunzione automatica di colpevolezza degli ebrei. Un processo che serviva esclusivamente per creare colpevoli, non per valutare i fatti. I contenuti delle deposizioni degli imputati, che è ben chiarito in ogni edizione critica degli atti processuali a disposizione delle università di tutto il mondo, erano già scritti prima che cominciassero gli interrogatori. Sarebbe a dire che quello che appare come una loro dichiarazione era invece un testo scritto dai magistrati presieduti dal vescovo di Trento ed eventualmente solo siglato dai torturati. Ma il libro riporta anche affermazioni in discorso diretto degli imputati.
Si tratta di una gravissima falsificazione storica. Le fonti latine degli atti sono molto chiare.

C’è dell’altro?

Certo. Non è possibile parlare in maniera seria di questi fenomeni senza chiarire al lettore quale fosse le teologia morale cristiana dell’epoca. L’accusa di omicidio rituale nei confronti degli ebrei ricorre a partire dal XII secolo a causa di una evoluzione della cultura cristiana che metteva nel mirino gli ebrei per motivi esclusivamente ideologici e ne faceva delle vittime predestinate. Colpevoli di ogni misfatto.

Eppure l’autore del libro cita numerose fonti storiche.

Una nuova voltasi compiono gravi mistificazioni estrapolando dal contesto per proprio uso e consumo materiali tratti da opere polemiche che predicavano l’aggressione degli ebrei e scambiandoli per fonti storiche. Molto significative, da questo punto di vista, le citazioni di opere di ideologi dell’antisemitismo come Alfonso di Espina (XV secolo) o Agobardo di Lione (IX secolo).

In che modo possono essere interpretate queste fonti?

Dobbiamo renderci conto che l’intera letteratura dell’epoca è cosparsa di opere ricche di affermazioni del tutto immaginarie. Per esempio descrizioni geografiche e naturalistiche in cui si descrivono, nel corso di un diario di viaggio, incontri con animali a tre teste. Si mescola continuamente il vero con l’immaginario.

Il libro è quindi troppo disinvolto nell’utilizzare le fonti…

Una disinvoltura imperdonabile, apparentemente utilizzata solo per impressionare il lettore ingenuo e inconsapevole. Nessuno studioso serio potrebbe prenderla sul serio.

Un esempio concreto?

Cito: una fonte degli atti processuali riporta: “L’ebreo Israel Wolfgang ha detto che secondo lui è bene uccidere i bambini cristiani…”. Il libro invece riporta un proclama dello stesso imputato: “Sì, sono perfettamente convinto che sia bene uccidere…”. Così non si fa Storia, si monta uno spettacolo.

Altri elementi?

Basta scorrere i titoli dei capitoli per identificare la volontà di spettacolarizzare la storia. “Un finanziere d’assalto” “Crocifissione e cannibalismo”, “Un finanziere d’assalto”, “Omicidi rituali e favole dei fratelli Grimm”.

Tutto ciò per cosa, per fare colpo? Per farsi notare?

Il libro cade in pieno nelle trappole degli stereotipi elaborati dalla storiografia antisemita. Si confondano volutamente leggende e fatti, polemiche teoriche con aggressioni fisiche. In poche parole si confondono aggressori e aggrediti.

Si tratta di un’opera pericolosa?

Molto pericolosa. Un libro del genere è talmente sprovvisto di credibilità che non credo troverà grande spazio nel mondo accademico. Ma, soprattutto in quest’epoca di negazionismi, finirà nelle mani delle giovani generazioni. I giovani che si accingono a studiare la storia hanno difficoltà a concepire cosa è stata realmente la persecuzione antiebraica. Questi veleni rischiano di confonderli ulteriormente e di essere strumentalizzati ad arte.

Ci troviamo di fronte a un nuovo storicismo d’accatto?

E’ il triste destino di un certo modo di fare storia. L’ansia di affermare qualcosa di nuovo, di spezzare i tabù per farsi notare, finisce per ritorcersi contro se stessa e rafforzare i più squallidi stereotipi.

Guido Vitale (direttore@mosaico-cem.it)