Tra islam e occidente c’è un grande malinteso: che cosa significa “veramente” Allah Uakbar?

Opinioni

di Daniel Sibony

Pakistan Charlie Hebdo ProtestOggi, in Francia, l’atteggiamento ufficiale, dello Stato e delle istituzioni, di fronte al mondo islamico apre uno scenario quasi perverso, dove il più forte fa finta di essere il più debole. Eppure, il solo modo possibile di smorzare il radicalismo, è la forza della Legge; ma quando la Legge si defila, questo demoralizza tutti, in primis i poliziotti che, così, non si prendono neppure più la briga di “fermare” gli attivisti sospetti poiché, tanto, saranno subito rilasciati. È successo con alcuni jihadisti da tempo sotto osservazione. Ahimè, i pur zelanti poliziotti incaricati di seguirli non erano stati istruiti per capire che i giovani jihadisti – e non importa se più o meno psichicamente instabili-, erano figli di un universo ideologico ben più pericoloso e serio che non il cheguevarismo nostalgico e modaiolo, guerrigliero e anticapitalista in voga fino a ieri. L’ideologia generata dall’islam radicale presenta degli ancoraggi ben più profondi e con ben altra anzianità.
Ciò detto, le aggressioni ai passanti per strada invocando il nome di Allah Uakbar, lasciano oggi l’opinione pubblica paralizzata e senza reazione, imbambolata dallo choc; e restano un vero rompicapo per studiosi ed esperti, i quali sentono il dovere di continuare a rimanere fedeli a un principio ormai entrato nel pensiero corrente: “tutto ciò che accade NON ha niente a che vedere con l’islam”. Eppure, il fenomeno non è per nulla stupefacente per chi, come me, è nato e vissuto in terra d’islam (in Marocco), circondato dall’islam tradizionale e che sa leggere perfettamente l’arabo. In quelle terre, le aggressioni contro ebrei e cristiani erano frequenti e “normali”, direi nell’ordine delle cose. Attacchi impuniti, per secoli. Potevano essere opera di pazzi, squilibrati o di gente normale: il fatto che fossero animati da uno spirito di “legittima” vendetta contro i nemici di Allah, sottraeva queste aggressioni a un’analisi patologica. D’altro canto, in passato, e fino a metà del XX secolo, nessuno psichiatra avrebbe osato porsi il problema di sapere se la vendetta d’una identità religiosa verso l’altra avesse o meno carattere patologico.
È dunque una crudeltà della Storia che, ospitando in modo massiccio l’islam nel cuore dell’Europa del XXI secolo, si sia importata anche la sua patologia, nonché delle modalità che solo avevano conosciuto le minoranze ebraiche e cristiane che in passato vivevano laggiù. I sovrani, con la richiesta di una pesante tassa, proteggevano queste minoranze da aggressioni aleatorie da parte di folle musulmane, individui o piccoli gruppi. Ed era loro interesse proteggerli, se volevano incassare introiti fissi e cospicui. Ma oggi, scomparsa la minoranza ebraica dai Paesi arabi – e in rapida via di sparizione quella cattolica -, nessuno ha ancora spiegato a zelanti, naif o fragili credenti che certe cose “non si fanno”, specie se non sei a casa tua. Ma che dire se, d’altro canto, la jihad stessa spiega invece che “si deve fare”?, anche in modo solitario, anche se non si è organizzati? La jihad è importante nell’islam: su questo concetto si è costruito un impero, e malgrado si tratti indiscutibilmente di “una religione di pace” come lo stesso nome, “islam” (pace), ci indica. Se la jihad è uno sforzo interiore, una guerra interiore e benedetta che si svolge nel profondo della nostra anima, tesa alla ricerca della verità (questo il significato spirituale del termine jihad), può tuttavia accadere che il termine si tramuti in qualcos’altro e finisca per esprimere uno spirito di vendetta verso colui che invece non fa nessuno sforzo per avvicinarsi a quella ricerca di verità. Davanti ad aggressioni o atti aggressivi di cui è piena la cronaca, i media sono in imbarazzo; al punto che quando accadono e il cronista non nomina l’aggressore, il pubblico capisce immediatamente che si tratta d’un musulmano. Anche gli studiosi ed esperti sono in imbarazzo. Tirano in ballo raptus di follia e casi clinici, ma ciò li allontana dalla realtà: non tanto del “terrorismo” quanto della jihad (due nozioni distinte). Spesso viene invocato il mimetismo verso la causa palestinese (il pensiero è il seguente: “è normale che dei palestinesi si gettino contro la folla con un coltello, un’auto o un trattore e perfino con lo stesso grido di Allah Uakbar; chi, nel loro caso, non sarebbe nel giusto?”). Nel caso di palestinesi, nessuno penserebbe a una interminabile guerra santa. Invece, è proprio questo grido che sottolinea in verità ogni guerra contro i non-musulmani, e che non esclude nemmeno l’abbattimento di alcuni musulmani, se occorre: se i jihadisti si sacrificano, perché non anche i loro stessi fratelli, se la guerra lo esige? Le azioni più svariate portano la firma e sono state annunciate da questo grido, Allah Uakbar. È accaduto ad esempio in Nigeria, con il rapimento delle ragazze da parte di Boko Haram: erano delle cristiane da convertire.
L’islam fa fatica a pensare alla propria separatezza interna, con una divisione tra la propria parte pacifica e la parte aggressiva. Anche l’Europa, del resto. E forse, ciascuno di noi. Non è facile pensare che ciascun essere senziente è in verità scisso, che ogni pensiero vivo è scisso e che è da questa stessa scissione che passano la vita e la prova della verità. La maggior parte di noi non riesce a immaginare che ci sia qualcuno che possa essere pacifico, simpatico e allo stesso tempo preda di pulsioni vendicative, specie se vengono ribadite quotidianamente dal suo testo sacro. Che si tratti di un raptus o di un atto isolato di pia devozione. Certamente è incongruo che in piena Europa qualcuno pensi di abbattersi sulla folla con un’auto in corsa o che aggredisca dei passanti. Il trait d’union è la parola d’ordine Allah Uakbar (ricordiamoci che questa espressione non vuol dire Dio è grande come si crede di solito ma Allah è il più grande, intendendo più grande tra gli dei; si tratta di un superlativo assoluto).
L’Europa farà fatica a far fronte a tutto ciò senza mettere mano ai propri principi fondativi: si tratta di affrontare una situazione totalmente inedita nella Storia. Niente ci dice che l’Europa non finisca per ammalarsi o agonizzare dolcemente, per spirito di carità verso l’altro e con uno slancio di profonda comprensione vagamente cristiana, del tipo: “sono dei folli, non sanno quello che fanno, dobbiamo comprenderli e corrispondere ai loro bisogni…”. Anche questa sarebbe una grande novità nella Storia.

Il brano, cortesemente concesso dall’autore, qui tradotto in anteprima, è tratto dal libro di Daniel Sibony, “Le grand malentendu: Islam, Israel, Occident” (editore Odile Jacob), appena uscito in Francia. Nato a Marrakesh nel 1942, allievo di Lacan e Levinas, Sibony è psicanalista, studioso di Torà e autore di numerosi saggi.