I divieti per gli ebrei previsti dalle leggi razziali del 1938

Uguale troppo uguale. Caro ebreo, così vicino, così lontano, sei troppo simile a me! Alle radici del razzismo del Ventennio

Opinioni

di Claudio Vercelli

[Storia e controstorie] Perché contro gli ebrei e non nei confronti degli “altri”? Dopo avere spiegato la traiettoria della storia nostrana nel corso degli anni Trenta del secolo trascorso, la domanda viene comunque formulata dal pubblico con la naturalità di chi chiede un legittimo supplemento di conoscenza.

In quanto, il più delle volte, non ci si capacita del perché un regime sia pure dittatoriale, ovvero quello fascista, abbia trascinato l’Italia intera in un drammatico susseguirsi di radicalizzazioni, verso la rovina collettiva. Quindi, adottando il razzismo di Stato prima, la legislazione antisemitica poi, la sua implacabile applicazione, le conseguenti discriminazioni e infine le persecuzioni, fino all’annientamento delle vite durante l’occupazione nazista della parte di Penisola non liberata.

Se è perlopiù accettato il fatto che l’ebraismo italiano, allora come oggi, costituisca parte integrante del tessuto nazionale, di cui ne è per più aspetti fedele specchio, è allora difficile – per il comune interlocutore – comprendere l’accanirsi del fascismo contro una minoranza di italiani che raccoglie in sé più aspetti dell’identità della maggioranza dei connazionali. Quindi, occorre per davvero entrare dentro la logica dell’antisemitismo di Stato per riuscire a formulare una risposta decente e credibile.
Andiamo al passo. In nessun caso gli ebrei furono colpiti, almeno in Italia, per la loro “specificità” di persone e di gruppo.

Il discorso sul razzismo come odio per il “diverso” qui funziona assai poco, se non per nulla. In quanto il razzismo antisemitico contemporaneo si esercita sempre contro un sembiante identitario, ovvero la sua costruzione ideologica, del tutto immaginifica, e non nel confronto con la nuda vita delle persone, ossia la loro diretta umanità. Un inciso: per arrivare all’oggi, i ragionamenti che andiamo facendo si trasferiscono, immediatamente, dall’odio per l’«ebreo» immaginario a quello nei confronti di un «Israele» inesistente (ma avversato come ebreo collettivo, che in sé raccoglierebbe i peggiori aspetti della mefitica costituzione ebraica). Così come è di scarso concorso lo stabilire, del tutto acriticamente, un nesso diretto e consequenziale tra il razzismo coloniale della costruzione dell’effimera Africa Orientale Italiana, tra il 1935 e gli anni successivi, e quello “in casa” del 1938. Senz’altro il primo socializzò, tra gli italiani, l’abitudine a de-umanizzare coloro che, di volta in volta, venivano additati a bersaglio polemico e ad oggetto di discriminazioni.

Non a caso, infatti, la pesante caricaturalità con la quale si deformavano i tratti e la fisionomia delle vittime autoctone, quelle ebree, nasceva dentro l’incubatore coloniale europeo, per poi trasfondersi nella greve vignettistica antigiudaica. Ma l’inquietante assonanza si ferma a ciò. Il che, se comunque non è poco, da sé tuttavia non basta. In quanto l’antisemitismo contemporaneo, semmai, si qualifica come pregiudizio contro qualcuno (e qualcosa) di avvertito come così vicino da essere intollerabile non per le sue caratteristiche (reali o presunte) di alterità bensì per la sua natura di soggetto omologo.

Agli ebrei, infatti, veniva contestato il “volere essere” al pari dei non ebrei, senza tuttavia averne le qualità “razziali”. Espressione, quest’ultima, che esprime, di volta in volta, un universo di significati. Infatti, se il concetto di «razza» è una mistificazione del nostro tempo, allora può essere riempito di tutti i significati negativi che si intendano conferire ad esso, senza nessun obbligo di coerenza. Da ciò, quindi, l’accusa rivolta agli stessi ebrei non di essere perlopiù portatori di alterità bensì di alterazione, ossia di una minaccia mortale verso l’omogeneità, l’uniformità, l’invarianza di quanti, come se fossero il prodotto di un unico stampo, erano invece spacciati come il prodotto più autentico di un regime politico, sociale e culturale, basato sulla standardizzazione. Tanto per capirci: il “fingersi” come il resto della collettività costituirebbe il vero inganno, per parte degli ebrei, che doveva essere invece smascherato dal regime. Perché lasciando fare altrimenti, l’ebraismo avrebbe invece sporcato la razza superiore, ibridandola e contaminandola con le sue porcherie. Non di meno, ed è un secondo passaggio fondamentale del dispositivo antisemitico, il colpire una minoranza nazionale fortemente integrata, parte attiva nel processo di unificazione identitaria del Paese nel corso dell’Ottocento e del Novecento, implicava l’intervenire pesantemente sulla stessa identità degli italiani, per disporli verso nuovi orizzonti. In altre parole: dopo il 1938, e l’avvio dei processi di esclusione istituzionalizzata della minoranza ebraica, arrivò il 1940, con l’ingresso in guerra dell’intero Paese. Colpire la minoranza “troppo uguale” implicava il lanciare un chiaro messaggio alla maggioranza degli identici, quelli che dovevano aderire supinamente ai cliché del fascismo regime. Qualcosa del tipo: “è ora che vi prepariate a nuove prove, evitando esercizi di gratuito e pavido pietismo”.

L’antisemitismo di Stato fu il collante di questi processi collettivi, sradicando ciò che restava del diritto alla “differenza”, sostituito dalla diffidenza sistematica, e contrapponendo al pluralismo residuo l’omologazione al passo delle oche. Puntualmente spennate, nel momento in cui i nodi sarebbero venuti al pettine. Dopo di che, detto tutto ciò, cosa c’entra un tale discorso rispetto a quel presente che stiamo vivendo? Il passato si ripresenta con le medesime vesti, ossia è destinato a ripetersi? Oppure, in ciò che nel mentre è mutato profondamente, non rimane tuttavia qualcosa di quel che fu? Per capirci: proviamo a riformulare, in maniera critica e non immediatamente ideologica, il rapporto tra trascorso antisemitismo e attuale antisionismo. Proviamoci, per l’appunto. Poi ci diremo quali sono le discordanze e le congruenze. Molte le seconde, solo per capirci.