di Roberto Zadik
Con la sua aria decisa, il fisico prestante e muscoloso, i suoi ruoli estremamente virili ed aggressivi, James Caan, spentosi mercoledì 6 luglio a 82 anni, incarnava perfettamente e con rara espressività i personaggi più spietati, rabbiosi e inquieti.
I suoi ruoli preferiti erano individui tormentati e ai limiti della società, spesso mafiosi, criminali, cowboy, campioni dello sport in crisi. Molti dei ruoli erano di “italiani” come Sonny Corleone de Il Padrino del 1972 uscito mezzo secolo fa e diretto dal suo intimo amico Francis Ford Coppola che lo rivolle, nel seguito del Padrino Parte II del 1974 e, come protagonista, nel 1987 ne I Giardini di pietra. Nel thriller d’azione del 2000 Le vie della violenza vestì i panni dell’avvocato mafioso Joe Sarno; una delle sue interpretazioni più intense fu quella del film La canzone di Brian in cui interpretò la parte del giocatore di football americano Brian Piccolo, malato terminale di tumore.
Nato a New York, il 26 marzo 1940 da famiglia di ebrei tedeschi, figlio di un macellaio e venditore di carne kasher, visse una vita turbolenta fin dall’infanzia nel quartiere dei Queens, popolato da un mix etnico di italiani, irlandesi e famiglie ebraiche. Sin da piccolo, sentì una costante attrazione per gli sport e l’attività fisica, dal calcio, al rodeo, alle arti marziali e per la recitazione, specialmente nel genere gangster, film d’azione e thriller. I suoi esordi però furono segnati dalla commedia, con una piccola parte nel film del leggendario Billy Wilder Irma la Dolce del 1963 e dal genere western quando nel 1966, a 26 anni, recitò nella parte di un ombroso cowboy al centro del film El Dorado, assieme a due colossi del genere come John Wayne e Robert Mitchum, in una trama firmata da un regista importante come Howard Hawks.
Spesso recitò la parte dell’ “italoamericano” e si trovò talmente a suo agio in questi panni da aggiudicarsi per ben due volte il titolo di “Italiano dell’anno” pur non avendo alcuna origine italiana. L’incontro più importante della sua vita fu all’Università dello Stato del Michigan; in questo contesto studentesco strinse una profonda e duratura amicizia con Francis Ford Coppola.
Fra la fine degli anni ’60 e soprattutto gli anni ’70 conobbe il suo momento di massima popolarità, recitando vari ruoli “forti” e parti più leggere come nel musical Funny Girl, assieme all’attrice e cantante Barbra Streisand, diretto da Herbert Ross, talentuoso regista che diresse nientemeno che Woody Allen nello splendido Provaci ancora Sam!. Negli anni ’80, invece, visse forti crisi interiori, come la sofferenza per la leucemia della sorella e la conseguente depressione che lo portarono all’abuso di cocaina e ad una lunga assenza dagli schermi dal 1982 al 1987.
La sua rinascita artistica avvenne con I Giardini di pietra di Coppola, film che segnò il suo grande ritorno.
Ma qual era il rapporto di questo attore con la sua identità ebraica? Pur essendo fiero delle sue radici , Caan non recitò quasi mai ruoli ebraici, tranne che in uno dei suoi ultimi film Holy Lands (Terre sante) una pellicola del 2017, davvero stravagante e a tratti sarcastica, in cui egli recitò la parte del medico in pensione Harry Rosenmerck che emigra in Israele per diventare allevatore di maiali. In tema del rapporto con le sue radici ebraiche e Israele l’attore, fervente repubblicano e sostenitore di Trump, ha visitato lo Stato ebraico nel 2016, ribadendo il suo sostegno ad Israele e la sua ebraicità affermando “se incontrassi un antisemita gli darei un pugno”.
Nonostante una reputazione di personaggio aggressivo e inquieto, i quattro matrimoni dai quali sono nati altrettanti figli, il Times of Israel, nel suo omaggio al talentuoso attore ne sottolinea le qualità umane. Il suo manager Matt Del Piano, lo descrive come “divertente, leale, premuroso e soprattutto uno dei più grandi attori che abbia conosciuto”.
James Caan ha avuto una lunga e gloriosa carriera che, dopo il buio decennio degli anni ’80, riprese dagli anni ’90 in poi con ruoli intensi, come nel film horror tratto dal best seller di Stephen King Misery non deve morire del 1990, al fianco della bravissima Kathy Bates, e non si fermò più per tutti gli anni 2000 così come molto movimentata fu la sua vita sentimentale. Una curiosità: una delle sue mogli, Sheila Mairie Ryan, era stata la ragazza del grande Elvis Presley.