Addio ad Arnoldo Foà, un secolo sul palcoscenico

Personaggi e Storie

di Ilaria Myr

Mancavano meno di due settimane al suo 98esimo compleanno, il prossimo 24 gennaio. Ma il 12 gennaio è scomparso a Roma un grande personaggio del Novecento, l’attore ebreo ferrarese Arnoldo Foà. Un pilastro del cinema e del teatro che nella sua lunga carriera ha lavorato assieme ad alcuni fra i protagonisti del cinema e del palcoscenico del nostro Paese. Fra i tanti nomi Fellini, Vittorio Gassman, Orson Welles, Luchino Visconti e Giorgio Strehler col quale il rapporto fu piuttosto conflittuale. Tanti ruoli e personaggi per un interprete  anticonformista e affascinante dalla vita burrascosa – si risposò a 90 anni con una donna molto più giovane – e piena di trionfi ma anche di difficoltà, in un lungo percorso artistico cominciato nell’adolescenza. Questo suo inizio sotto i riflettori fu segnato dal dramma delle leggi razziali quando, sviluppando il proprio talento per il camuffamento e la finzione, riuscì valorosamente a continuare la propria vocazione d’attore adottando altri cognomi e identità per scampare alle persecuzioni fasciste e cominciare a recitare. Giramondo, si spostò diverse volte anche per causa di forza maggiore. Foa è stato un istrione dalla movimentata vita sentimentale e dalle collaborazioni internazionali, da Anthony Quinn doppiato nel classico storico “Quo Vadis?” di Mankiewicz fino a Tim Burton e ad altri grandi dello spettacolo.

Lo ricordiamo riproponendo l’intervista che rilasciò al Bollettino nel marzo del 2010.

Arnoldo Foà. Quando la vita è un palcoscenico tutto da raccontare

“Essere ebreo fa parte di me, sono nato così. Non ho mai davvero praticato il mio ebraismo, né ho mai fatto molto caso al fatto di essere ebreo. Fino a quando per questo motivo sono stato discriminato dalle Leggi razziali, nel 1938: ho sentito insomma di esserlo quando me lo hanno ricordato gli altri”. È quanto dichiara al Bollettino Arnoldo Foà, 94 anni, attore leggendario, regista e commediografo, protagonista di un secolo di storia dello spettacolo, un artista burbero, come si autodefinisce nella propria Autobiografia di un artista burbero (Sellerio), nella quale  ripercorre, con toni a tratti comici a tratti più seri, la lunga vita, senz’altro movimentata, del suo autore.

Nato nel 1916, ebreo da parte di madre e padre, Foà non riceve un’educazione religiosa; ciò nonostante, serba ricordi lontani ma molto vivi della sua infanzia e di come viveva l’identità ebraica fin da bambino. Un ebraismo privo di pratiche religiose, ma che Arnoldo, già da piccolo vive con molto interesse, per poi discostarsene man mano che cresce. “Andavo al Tempio condotto da mio padre – racconta. Nelle feste comandate assistevo alle cerimonie con curiosità attenta e volevo conoscerne il significato”. Lo affascina molto la Birchat Cohanim, in cui il padre copre la sua testa e quella del fratello Piero con il talled. Ed è esilarante il ricordo che ha del giorno di Kippur. “Al Tempio, rischiavo di vomitare dieci volte al giorno, quando ero costretto a respirare i fiati nauseabondi dei digiunanti; mi difendevo portando al naso il limone con i chiodi di garofano infilati nella buccia, che superavano, con il loro profumo, i fiati più pestiferi!”. E con il fratello Piero si diverte al Tempio a intonare i canti rituali: lui in controcanto, con quella voce più bassa, che sarebbe poi diventata l’inconfondibile voce profonda che tanto ha dato al teatro e al cinema. D’altra parte, fin da piccolo capisce che c’è qualcosa che lo differenzia dai suoi coetanei. Come spiega chiaramente: “Un bambino che nasce da genitori ebrei non sa di essere diverso dagli altri; è poco più tardi che comincia a capire che ne differisce per via della sua origine. I genitori hanno ottenuto per lui la dispensa dall’ora di religione, e lui non ne sa il perché; i suoi gli dicono che lui è ebreo, lui lo dice ai compagni, che chiedono ai genitori chi sono gli ebrei”. E lì le reazioni variano a seconda della cultura delle persone: avari, sporchi, deicidi per gli uni, per gli altri, invece, sono i primi monoteisti, popolo a cui apparteneva Gesù.

Normale, dunque, che sia alla scuola elementare a Firenze che il piccolo Arnoldo dà i primi pugni della sua vita a quei bambini che gli ripetevano le cattive opinioni sugli ebrei riferite dai loro genitori. Ma anche gli insegnanti non fanno eccezione nel farlo sentire diverso. “Un giorno che avevo dimenticato la penna a casa, un insegnante idiota mi disse: ‘Tu sei ebreo, no? Sei ricco, allora, tutti gli ebrei sono ricchi, dovresti comprartene un’altra’”. Le vere discriminazioni, però, arrivano con le Leggi razziali.

Nel 1938 Foà è già un ventenne travolto dai primi veri amori: a Roma, dove studia al Centro Sperimentale di Cinematografia, conosce Giovanna, la sua prima vera fiamma, che è però impegnata con un colonnello molto vicino a Mussolini. Ed è proprio da lui che viene a conoscenza di quello che sarebbe poi accaduto da lì a una settimana. Geloso della relazione di Giovanna con Foà, il colonello “le dice che ‘il giovane Foà non le avrebbe potuto pagare l’affitto, non per cattiva volontà, ma perché era di famiglia israelita, e Mussolini avrebbe fra non molto iniziato la campagna razziale in Italia’”. “Ero certo uno dei primi a sapere quanto ci aspettava e della campagna razziale che stava per cominciare – ammette – ma non potevo neanche immaginare quello che sarebbe poi successo”. Per Foà, agli albori della sua carriera da attore, significa l’estromissione dal centro di Cinematografia e la fine di una speranza in un lavoro tanto amato. Ed è proprio questa perdita di un futuro che lo spinge a un gesto tanto estremo quanto lucido, il suicidio. “Ma il mio gesto ha un esito quasi comico, non drammatico – racconta. La vena del polso si spostava nel senso opposto della direzione della lama. Ci ho rinunciato, poi mi sono addormentato come un sasso”.

Nonostante la difficile situazione, le occasioni per Foà si presentano comunque: viene chiamato a interpretare Bruto nel Giulio Cesare di Giovacchino Forzano che, amico di Mussolini, aveva messo una buona parola per “l’attore ebreo”. E alla fine dello spettacolo sente gli applausi scrosciare: da dietro le quinte, però, perché essendo ebreo gli è proibito salutare il pubblico.Da allora in poi viene chiamato a sostituire gli attori malati e, dal momento che non può dichiarare il proprio nome, una volta si chiama Puccio Gamma, un’altra Fiorentini, un’altra ancora Galli, trovando ogni volta diversi nomi di fantasia.“La cosa più dolorosa durante la campagna razziale era il sentirsi diverso dagli altri – racconta. Scrivevano sui giornali un sacco di sciocchezze sugli ebrei, perfino che avevano delle brutte voci! Ne ho lette di tutti i colori, tanto che mi venne voglia di conoscerli meglio questi ebrei che avevo frequentato così poco nella mia giovinezza. Mi sono messo a leggere tutti gli autori ebrei che potevo trovare comprando libri o facendomeli prestare”. Ma gli amici rimangono tali anche dopo le leggi razziali. “Per fortuna nessuno mi ha voltato le spalle dopo la loro promulgazione – spiega -, come invece a molti altri è capitato”. Scoppia la guerra, e Foà decide nel 1943 di andare a Napoli, dove erano intanto sbarcati gli Alleati: rifiuta così la possibilità che gli era stata offerta di espatriare incolume, se si fosse battezzato. Dopo un viaggio rocambolesco, raggiunge Napoli, ed è lì che vede per la prima volta i mezzi Alleati con la stella di David. “Quando li ho visti sono scoppiato a piangere senza potermi trattenere. Erano venuti per liberare me, per farmi ridiventare un cittadino normale in mezzo agli altri, rispondere della mia identità e non delle mie origini; provare le mie capacità e non sottostare a un giudizio discriminatorio assurdo”.

Nella città partenopea diventa capo-annunciatore e scrittore della Radio Alleata PWB: spetta a lui la comunicazione dell’armistizio con gli Alleati, l’8 settembre 1943. La Liberazione è un ritorno alla vita: si può sposare, e può soprattutto ricominciare a fare quello che ha sempre desiderato, l’attore. Dopo tre anni di lavoro alla neonata Radio Rai, riprende la sua attività di attore con Ettore Giannini, Luchino Visconti e altri registi, allora emergenti, come Orazio Costa, Giorgio Strehler e Luigi Squarzina. Il resto è noto: moltissime le pièces teatrali e un centinaio fra film e sceneggiati televisivi, oltre alle famose dizioni di poesia, incise su vinile negli anni ’60, e un’intensa attività da doppiatore. Il suo ebraismo oggi? “Oggi posso tranquillamente dichiarare di essere ateo. Durante la persecuzione razziale ho sempre dichiarato di essere ebreo. Oggi lo dico quando serve, ma ho sempre rifiutato il concetto di diversità riguardo agli ebrei”. Bastano i suoi ricordi a dirci invece molto del Foà ebreo.

Arnoldo Foà / biografia

Attore, regista e commediografo celeberrimo, ha lavorato con registi come Visconti, Strelher, Ronconi, e firmato regie e testi propri, (“La corda a tre capi”, “Il testimone”, “Oggi”). Sono celebri le sue dizioni di poesia (Dante, Leopardi, Lucrezio, Neruda, Garcia Lorca…), registrazioni su vinile negli anni ’60 e oggi su CD. Ha interpretato più di 100 film lavorando con registi come Pietro Germi, Alessandro Blasetti, Giuliano Montaldo, Orson Welles, Joseph Losey, Edward Dmytryk, Christian Jacques, Alessandro D’Alatri, Ettore Scola, Citto Maselli; Nastro d’Argento nel 2004 per “Gente di Roma” di E.Scola. Il suo nome è legato ad alcune delle più famose produzioni della TV Italiana,- “Capitan Fracassa”, “La freccia nera”, “Il giornalino di Gianburrasca”, “Nostromo”, “Il Papa Buono”-.Arnoldo Foà è inoltre pittore, scultore e giornalista, ha pubblicato diversi libri, il più recente la sua “Autobiografia di un artista burbero”, Sellerio Editore (2009).