di Michael Soncin
Un sogno editoriale diventato realtà: l’incredibile storia di Adelphi, nata da una doppia amicizia: Bobi Bazlen, Luciano Foà, Alberto Zevi
Da quando è stata fondata, il 20 giugno del 1962 a Milano, Adelphi è sempre rimasta fedele a se stessa. La sua storia nasce come un sogno realizzato che meritava di essere raccontato in uno studio approfondito, il saggio Adelphi, Le origini di una casa editrice (Carrocci), di Anna Ferrando, docente di Storia transnazionale della cultura nell’Italia contemporanea, all’Università di Pavia.
Il giallo canarino, il rosa confetto, il verde menta, sono alcune delle tonalità che assieme ad una gabbia grafica ripresa dall’illustratore inglese di fine Ottocento Aubrey Beardsley, creano copertine ormai divenute un trademark. Un tratto che si accompagna ad un’attenta selezione dei testi, a scelte lontane dal conformismo, dove l’apoliticità e soprattutto l’Inattualità la rendono senza tempo. La parola Adelphi deriva del greco, significa “fratelli, sodali”. Infatti, tutto inizia proprio da un doppio sodalizio: siamo durante la metà degli anni Trenta, quando lo scrittore Roberto “Bobi” Bazlen, allora consulente letterario per Frassinelli, incontra l’editore Luciano Foà, a quei tempi apprendista agente. Intesa, amicizia, sintonia. “Avevano cominciato così a muoversi insieme nei meandri della cultura durante il ventennio fascista…” Ma è “nell’Italia segnata dalle persecuzioni antisemite e intrisa di una strisciante xenofobia, che un altro incontro si rivelò poi decisivo per la storia di Adelphi: quello fra Luciano Foà e Alberto Zevi – intellettuale e imprenditore…”, scrive l’autrice.
La figura di Alberto Zevi
Un uomo assolutamente fuori dal comune, Alberto Zevi: azionista con un piglio da leader, versò per la costituzione di Adelphi un terzo del capitale, mentre i rimanenti due terzi furono dati da Roberto Olivetti. «L’uomo più intelligente che avessi mai conosciuto», avrebbe detto Foà di Zevi. Alberto Zevi è nato a Verona nel 1920 da una famiglia della borghesia ebraica. Da giovane si trasferisce a Milano dove si laureerà alla Bocconi. Le leggi antisemite sotto Mussolini lo costringeranno a trovare riparo in Svizzera a Ginevra. “Il legame tra Foà e Zevi, tutti e due ebrei antifascisti e perseguitati, si sarebbe poi fortificato nel forzato esilio svizzero seguito all’8 settembre 1943, quando in quella peculiare condizione di rifugiati si sarebbero attivate nuove energie e possibilità. Immaginare libri mai tradotti in italiano divenne allora lo strumento con cui pensare il futuro del proprio paese”, spiega l’autrice del saggio, Anna Ferrando. Nelle vesti di imprenditore, ad esempio, fu un assoluto pioniere nell’industria per la lavorazione del legno, grazie alle innovazioni portate nel settore del mobile. Ma è a proposito di letteratura che dobbiamo ricordarlo per essere stato il primo ad avere tradotto Lo straniero di Albert Camus, ad intuirne la grandezza, pubblicato in Italia da Bompiani nel 1947, la cui traduzione in italiano è rimasta l’unica in circolazione fino al 2015.
Di padre in figlia: Elisabetta Zevi
All’inizio Roberto Calasso, direttore editoriale Adelphi fino al 2021, era decisamente dubbioso. I fratelli Singer? La letteratura yiddish? Mah, davvero? Invece, fu boom. Le pubblicazioni dei testi di Israel J. Singer e di Isaac B. Singer, grazie alla passione e all’impegno profuso da Elisabetta Zevi, figlia di Alberto, sono stati un successo. A lei si deve la fortuna de La famiglia Karnowski (2013) di Israel J. Singer, la nuova traduzione di Satana a Goraj (2018) di Isaac Bashevis Singer, la prima edizione mondiale degli inediti Keyla la Rossa (2017), Il ciarlatano (2019) e Max e Flora (2023). Pubblicazioni eccezionali, un primato Adelphi indiscusso, un successo editoriale internazionale.
Anna Ferrando,
Adelphi, Le origini di una casa editrice (1938-1944), Carrocci editore, pp. 448, euro 39,00
Il CdA di Adelphi, oltre alla riconferma della presidente Teresa Cremisi, ha nominato Elisabetta Zevi Vice-Presidente, e Paolo Mieli e Maurizio Ferrera come nuovi consiglieri. Non sono finite qui le novità in casa Adelphi: c’è l’acquisizione del catalogo delle opere dello scrittore americano Philip Roth, prima pubblicate in Italia da Einaudi. L’agenzia letteraria statunitense Wylie avrebbe ceduto all’asta i diritti, dopo una trattativa durata mesi. Tra le grandi pubblicazioni della casa editrice milanese, non possiamo non ricordare i sei volumi dell’opera monumentale di Louis Ginzberg, Le leggende degli ebrei; i capolavori, dove scienza e letteratura si fondono assieme, del neurobiologo Oliver Sacks, uno fra tutti L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello; le pubblicazioni del filosofo Gershom Scholem; e anche l’interminabile collana dei gialli di lingua francese di Georges Simenon. E poi, ultimamente, il caso editoriale dei romanzi dell’ormai pluripremiato Benjamín Labatut, che in Maniac narra la geniale mente del matematico ebreo John Von Neumann, emigrato dall’Ungheria negli Stati Uniti. Un racconto magistrale tra rivoluzione informatica e intelligenza artificiale. Imperdibile.
Benjamín Labatut, Maniac,
trad. di Norman Gobetti,
pp. 361, Adelphi, euro 20,00
Foto in alto, da sinistra: Luciano Foà, Alberto Zevi, la figlia Elisabetta e il nipote Giovanni. (© per gentile concessione)