di Nathan Greppi
Dopo i precedenti workshop su Woody Allen e i Fratelli Coen, l’associazione LongTake ha tenuto due incontri, tra il 12 e il 17 novembre, sulla carriera di Steven Spielberg. Anche stavolta gli incontri sono stati tenuti dal critico Simone Soranna, secondo il quale Spielberg ha scolpito la storia del cinema “da un punto di vista autoriale.”
Sin dal suo primo lungometraggio del 1971, Duel, il cinema di Spielberg è sempre stato un cinema contro l’omologazione, dove l’incontro con qualcosa che non conosciamo può aiutarci a imparare; rientrano in questa concezione anche i contatti con gli alieni in Incontri ravvicinati del terzo tipo ed E.T. L’extraterrestre, mentre userà l’approccio opposto quando, decenni dopo, dirigerà La guerra dei mondi.
La svolta che l’ha portato a cercare il successo del pubblico, prima di quello della critica, è iniziato dopo che il suo secondo film, Sugarland Express del 1974, da un lato venne premiato a Cannes, ma dall’altro fu un flop al botteghino. Il salto di qualità avvenne un anno dopo con Lo squalo, che inaugurò “l’era dei blockbuster” rivoluzionando il modo di fare cinema. Cosa intendeva per blockbuster lo si capisce dal primo film di Indiana Jones: il protagonista doveva scontrarsi con i nazisti, e questo lo rendeva perfetto per un pubblico di ragazzi maschi, ma viene messa anche una storia d’amore per attirare una fetta di pubblico femminile. Sempre a proposito di Indiana Jones, ha ricordato che nella saga il padre era interpretato da Sean Connery, scomparso da poco.
Negli anni ’80 inizia la parentesi “storica” del cinema di Spielberg con Il colore viola, film che oltre al razzismo verso i neri tratta anche il sessismo. I suoi film storici raccontano sempre la violenza, e questa tendenza prosegue soprattutto con film come Schindler’s List, Salvate il soldato Ryan e Munich. In particolare, Schindler’s List è il film a cui Spielberg è più legato, anche per il tema della Shoah; tuttavia, fu fortemente contestato e ritenuto scabroso in particolare per la celebre scena della bambina con il cappotto rosso. Mentre in Salvate il soldato Ryan e Munich compaiono delle scene in cui, secondo Soranna, Spielberg sembra ritrarre gli Stati Uniti che assistono inermi ai massacri degli ebrei senza far niente.
La scena della bambina è legata al modo di pensare che sta dietro gran parte dei film di Spielberg: spesso egli ha raccontato storie in cui i protagonisti sono i bambini simbolo dell’innocenza e di quei sentimenti che li rendono opposti al mondo degli adulti, visto come cinico e insensibile. Ciò emerge in particolare in film più di fantasia come E.T., quando i ragazzi cercano di salvare l’alieno al contrario degli adulti, o in Hook – Capitan Uncino, dove il perfido nemico di Peter Pan teme gli orologi in quanto simbolo del tempo che scorre, e quindi dell’invecchiamento.