di Roberto Zadik
In ricordo del grande poeta ebreo “hippie” Allen Ginsberg, genio ribelle della Beat Generation che, con il suo “Urlo”, scosse l’America benpensante degli anni ’60
Una sorta di Baudelaire in versione ebraica, fondatore, assieme ai suoi inseparabili amici, gli scrittori Jack Kerouac e William Burroughs, dell’importante movimento culturale della Beat Generation, Allen Ginsberg è stato un personaggio unico nel suo genere per intensità, cultura e sensibilità ed uno dei principali poeti americani della seconda metà del Ventesimo secolo.
Scomparso venticinque anni fa, il 5 aprile 1997, circa due mesi prima del suo 71esimo compleanno che sarebbe stato il 3 giugno, Ginsberg sconvolse l’America benpensante della metà degli anni ’50 anticipando di un decennio il fermento dell’era hippie coi versi incendiari del suo poema, Urlo del 1956, che suscitò un tale scandalo da venire censurato per lungo tempo.
Ma cosa aveva di ebraico e che tipo d ebreo era Allen Ginsberg? Nacque nel New Jersey, a Newark il 3 giugno 1926, da famiglia marxista ebreo russa; sua madre Naomi Levy era scampata, nel 1905, a un pogrom. Sebbene non fosse per nulla religioso egli fu sempre molto legato alle sue radici e alla mamma alla quale dedicò lo struggente poema Kaddish, uscito nel 1961. Intitolato come la preghiera ebraica per i defunti e pieno di riferimenti musicali al jazz , al bebop e alle religioni, dall’ebraismo al buddismo, dal quale fu sempre più attratto, questo emozionante componimento venne definito, da vari critici, il suo capolavoro.
Molto interessante il suo profilo, descritto sul sito My Jewish Learning, autorevole indice delle biografie di varie personalità del mondo ebraico. L’approfondimento su di lui, firmato da Saul Austerlitz sottolinea la vena anti-establishment di Ginsberg e della Beat Generation e la sua vitalistica e incosciente “sete di esperienza” che ispirò famose rockstar dell’era hippie, da Jim Morrison, a Jimi Hendrix, fino suo amico intimo Bob Dylan, che lo volle, come coprotagonista, nei panni di un anziano rabbino, nel video di Subterranean Homesick Blues; questo brano segnò il passaggio cruciale di Dylan dal folk al rock psichedelico in uno dei primi videoclip della storia.
Figlio di Louis Ginsberg, docente di letteratura e anche lui poeta e di una madre affetta da disturbi psichiatrici, Allen crebbe in un ambiente difficile cercando, fin da adolescente, consolazione nella parola scritta così come nei piaceri e nelle religioni orientali. L’articolo di MyJewish Learning sottolinea l’influenza che poeti importanti come Walt Whitman, Emily Dickinson e William Carlos ebbero sullo scrittore così come la sua omosessualità: fu infatti legato a lungo al correligionario, anche lui poeta, di origine ebraico-russa, Peter Orlovsky che divenne suo segretario.
Fece un uso compulsivo di droghe soprattutto quando si recò prima a New York, per fuggire, come Dylan, dalla provincia e aprirsi al mondo, conoscendo altri membri di punta della “Beat” come Gregory Corso e Neil Cassady e poi a San Francisco.
Personalità timida e al tempo stesso esplosiva ed irrequieta, nella sua vita ebbe una serie di successi, specialmente alla fine degli anni ’60, ma passò anche dei momenti difficili a causa delle sue poesie; fu denunciato per oscenità, come Pasolini e Morrison, per versi fortemente polemici, nel già citato Urlo, quali “ho visto le migliori menti della mia generazione distrutte dalla follia, affamate e istericamente nude, in cerca di un rabbioso appoggio”. Aspramente critico verso il suo Paese e verso il sistema industriale, Ginsberg, pacifista e antimilitarista, divenne famoso, anche in Italia, grazie alla mirabile opera della traduttrice Fernanda Pivano che si rivelò fondamentale come “veicolo” della letteratura americana nella Penisola.
Il poeta scriveva a ritmo di jazz, improvvisava e si lanciava in concitate e trascinanti letture pubbliche; fu lui a inventare i cosiddetti “Reading” in cui dalla metà degli anni ’60 in poi, vari poeti e autori recitavano davanti a folle di giovani i loro componimenti, stregando il pubblico con la sua prorompente personalità.
Strenuo difensore della libertà d’espressione e della poesia, fu una figura complessa e contraddittoria, un poeta appassionato e sanguigno, come Whitman e l’inglese William Blake che ispirò i Doors, suoi modelli di riferimento, rivelandosi una figura assai originale di intellettuale ebreo anticonformista, dissacrante e vagabondo lontano anni luce da scrittori ebrei americani molto più “borghesi” come Philip Roth o Saul Bellow. Notevoli i versi del volume Jukebox all’idrogeno, le pagine squinternate del suo Diario Beat, il misto di riferimenti religiosi, da Mose ad Allah, all’induismo e una ispirazione vorace e disposta a tutto, fra abisso e infinito. Molto ebreo però lo fu sempre, a modo suo e fino all’ultimo, quando, nei versi della sua Kaddish, paragonò sua madre al personaggio biblico di Naomi, invocò “Avrum”, pronuncia Yiddish del patriarca Abramo, nel deserto e il nome Divino come unica salvezza.