Angelo Pezzana: «Sono sempre rimasto coerente»

Personaggi e Storie

di Nathan Greppi

A vent’anni dalla fondazione di Informazionecorretta, intervista al suo fondatore e curatore.

C’è un sito nel quale chiunque si occupi, in Italia, di Israele e di Medio Oriente, prima o poi finisce per imbattersi: Informazionecorretta, che ogni giorno fornisce una rassegna stampa riprendendo dai maggiori quotidiani nostrani i principali articoli sulle questioni mediorientali. Il sito è nato esattamente 20 anni fa, nell’aprile 2001, per volontà di un gruppo di giornalisti e analisti guidato da Angelo Pezzana, attivista radicale che ha iniziato a parlare a favore d’Israele quando erano in pochissimi a farlo. Proprio Pezzana, che dal 2014 cura anche la rubrica La domanda scomoda per i media della Comunità ebraica di Milano, racconta in un’intervista a Bet Magazine-Mosaico le origini e gli sviluppi del suo sito.

Come è nata l’idea?
Per quasi 10 anni, fino al 2009, ho scritto su Israele per il quotidiano Libero. All’epoca andavo spesso in Israele, e un pomeriggio, ospite a casa di Fiamma Nirenstein, parlammo dello stato dell’informazione europea su tutto ciò che riguardava i rapporti tra Israele e il mondo arabo. Era la primavera del 2001: vedendo che sui giornali e in televisione mostravano solo Israele come il “cattivo” e i palestinesi come “vittime”, in modo eterodiretto, cercammo di capire se fosse possibile fare qualcosa con un gruppo di amici. Non avevamo i soldi per fondare un nostro giornale di carta, così ne facemmo uno online. Volevamo un quotidiano che giudicasse come le notizie venivano riportate sui giornali, con una rassegna stampa dove riportavamo i pezzi equidistanti e criticavamo quelli ostili. Cominciammo così, e giorno dopo giorno arrivarono sempre più lettori e abbonati, fino ad arrivare ai circa 3.000 di oggi. Arrivarono anche collaboratori israeliani, i cui articoli traduciamo ancora adesso in italiano, come il compianto Manfred Gerstenfeld, che ci ha lasciati da poco. Oggi la nostra collaboratrice più letta è Deborah Fait, un’ebrea triestina che vive in Israele da tanti anni e che, essendo abbonata ai canali tv italiani, li monitora per noi. Mentre tra i nostri primi collaboratori vi era Giulio Meotti, che prima ancora di andare a lavorare per Il Foglio ci ha aiutati nei primi anni.

Quali sono ed erano i media e i giornalisti più antisraeliani?
Oggi è Il Manifesto, che spesso prendiamo in giro in modo goliardico. Mentre, tra i quotidiani più venduti in passato, il nostro “nemico numero 1” era Igor Man, che su La Stampa era apertamente ostile a Israele, tanto da essere considerato il cocco di Gianni Agnelli: l’aveva convinto che i suoi articoli gli facessero vendere le Fiat nei Paesi arabi. Poi c’era La Repubblica, che prima dell’attuale direzione di Maurizio Molinari ha sempre abbracciato analisi ostili a Israele, spesso riprese da giornali stranieri come il New York Times e il Guardian. Anche il Sole 24 Ore era ostile, soprattutto quando ci scrivevano fissi Alberto Negri e Ugo Tramballi, in gara con Il Manifesto.

Quali sono stati i periodi migliori e quali i peggiori per l’informazione su Israele?
In ogni periodo ha sempre prevalso l’omissione, per cui i giornali omettevano fatti che potevano dare ragione a Israele. Ai tempi dell’Operazione Piombo Fuso (2008 – 2009), ad esempio, il giudice sudafricano Richard Goldstone fece un rapporto su quei fatti alle Nazioni Unite in cui attaccava duramente Israele, cui attribuiva la colpa per tutti i morti. Ma lo stesso Goldstone, nell’aprile 2011, ammise di essersi sbagliato: “Se quando ho redatto il mio rapporto avessi saputo quello che seppi dopo, non l’avrei scritto in quei termini quando lo consegnai all’ONU”. Gli unici quotidiani italiani che ripresero questa sua smentita furono La Stampa e il Corriere della Sera, mentre tutti gli altri rimasero zitti.

In genere monitorate soprattutto i quotidiani cartacei, e poco le testate online. Perché?
Perché ciò che esce sui quotidiani cartacei è ancora ritenuto più autorevole rispetto a ciò che appare online. E anche se ci sono molti siti interessanti, non abbiamo abbastanza forza per monitorarli tutti. E qui sorge un altro problema: oggi siamo in crisi economica, perché l’Associazione Italia-Israele di Torino, che ci ha sostenuti economicamente per anni, oggi non può più farlo. Stiamo invitando i nostri lettori a fare delle donazioni, perché senza rischiamo di chiudere entro fine anno.

Ad aprile cade un altro anniversario, i 10 anni da quando l’attivista filopalestinese Vittorio Arrigoni fu ucciso a Gaza dai salafiti. Che impatto ebbero quei fatti sull’immagine d’Israele?
Lui era corrispondente da Gaza per Il Manifesto e, dopo la sua morte, avvenuta si dice perché aveva una condotta sessuale inaccettabile per gli integralisti islamici, divenne una piccola icona che ne creò altre: in seguito ci furono altri giovani fanatici, che andarono nei territori palestinesi a fare propaganda contro Israele.
Anche qui l’odio per Israele si coglie da certi particolari, come il fatto che la madre chiese che la bara del figlio, da riportare in Italia, non sorvolasse Israele ma passasse dall’Egitto.

Spesso siete stati accusati di essere troppo schierati, ad esempio a favore di Netanyahu o più in generale a destra. Come rispondi?
Netanyahu è al governo da oltre un decennio, e ha ottenuto molti successi, diplomatici ed economici, come gli Accordi di Abramo. C’è da dire che i giornali di centro-destra sono sempre stati a favore d’Israele; lo stesso non si può dire per quelli di sinistra, anche se La Repubblica è migliorata da quando la dirige Molinari e ha come corrispondente da Gerusalemme Sharon Nizza.
Io sono rimasto fedele alle mie idee, è la sinistra che dovrebbe cambiare approccio.