Arvëddse, caro amico! Ricordando Gioachino Pistone, di benedetta memoria

Personaggi e Storie

di Vittorio Robiati Bendaud

“Ma la comunità ebraica non ha una sua libreria?”. “No”, rispondeva lui. “E quindi la loro libreria di fiducia qual è?”. “La nostra. La libreria valdese”, continuava lui sorridendo un po’ sornione. Questo dialogo tra Anna e Gioachino (che hanno una figlia che non si chiama Maria, pur essendo cristiani – valdese lui e cattolica lei -, ma Valentina! – questo witz, ovviamente, è di Gioachino), deve essersi riproposto, pur con qualche variazione, infinite volte, non appena un nuovo cliente della Claudiana rimaneva colpito dalla fittissima e ben nutrita parete di testi ebraici – o sull’ebraismo – che tuttora occupa saldamente un intero lato perimetrale della libreria.

L’ha creata Gioachino quella poderosa parete, che attira e seduce il cliente appassionato, il neofita sorpreso, come pure gli affezionati che, di volta in volta, la scrutano, cercando di scoprirvi una chicca nascosta, inedita o che in precedenza non avevano ancora scovato. L’ha alimentata con amore e con esprit de finesse settimana dopo settimana, anno dopo anno, vagliando titoli, discorrendo con lettori che stimava, soppesando le sue infinite letture, recependo consigli. Non si trattava solo di un servizio prezioso reso alla nostra comunità. Ho ben vivido il ricordo delle innumerevoli volte in cui ho visto Nanette Hajon scegliere con lui i libri per la biblioteca del CDEC, oppure Fiona Diwan, Ester Moscati e Annie Sacerdoti chiacchierare con Gioachino di libri letti da recensire o comunque da segnalare. E non si trattava solo di un’ottima e varia selezione di libri utili per il dialogo ebraico-cristiano. Era anzitutto, per Gioachino, un modo per prendere in contropiede l’antisemitismo, che lo ossessionava, indignava, rattristava e preoccupava profondamente. Era un modo per obbligare i cristiani di tutte le confessioni che passavano per la Claudiana a “scontrarsi” inevitabilmente -data la mole della parete- con l’ebraismo, e a vedersi posta “fisicamente” una domanda esistenziale, spirituale, storica, teologica e finanche politica. Era ed è controinformazione. E Gioachino ha speso se stesso, in maniera discreta -perfino dimessa a volte-, cordiale e, non di rado, anche scherzosa.

Questo il Gioachino “libraio”, in fedele e affiatata coppia con Samuele Bernardini -un eccezionale duo!-, che molti tra noi hanno avuto moltissime occasioni di incontrare, con sempre la sua flemma piemontese. Una scorza sabauda, un po’ ingessata e solo apparentemente severa, sempre gustosamente demodé, che ha contraddistinto molte persone a me care: mia nonna, Rav Laras, il cardinale Martini, Paolo De Benedetti. E Gioachino ovviamente. Purtroppo, i “miei” piemontesi, figli di un “vecchio” Piemonte oggi quasi scomparso, con Gioachino, si sono tutti congedati e non posso non pensare che il Santo e Benedetto si debba sentire onorato di tanta compagnia. E io non vorrei dover provare così tanta nostalgia. Ma la nostalgia è, tutto sommato, un buon segno. Vuol dire che quanto si è vissuto era autentico, profondo, indelebile. E che quindi viverlo è stato un privilegio, spesso immeritato.

Vi è poi il Gioachino “teologo”. L’uomo di fede, il cristiano impegnato, l’intellettuale raffinato e consumato, il predicatore, il costruttore di ponti, l’entusiasta e assolutamente leale sostenitore e fautore del dialogo ebraico-cristiano, che pensò, scrisse, ammonì, consigliò, facendo anche pressioni perché l’Assemblea Ecumenica di Graz, come pure il Consiglio delle Chiese Cristiane di Milano o il SAE, facesse debita attenzione all’ebraismo, impiegasse linguaggi corretti, abbracciasse contenuti consoni, esecrasse antigiudaismo, antisemitismo e antisionismo. Gioachino si è speso, con ardente passione -sempre contenuta dalla sua anima piemontese, ovviamente- per il popolo ebraico. E, da molti punti di vista, stando sulla soglia, con commovente discrezione, si è sentito radicalmente avvinto al nostro popolo e alle sue sorti, e, in particolare, alla nostra comunità.

Gioachino era un “fan” di Rav Laras, e Rav Laras di Gioachino, di cui aveva totale fiducia. E così, quando il Rav entrava in Claudiana, Gioachino si alzava, Rav Laras sorrideva e, dopo poco, si iniziava a sentire qualche battuta in dialetto piemontese e qualche -sommessa- risata. Affettuosi erano i rapporti con Rav Richetti e con Rav Sciunnach, tra letture, chiacchiere e una buona dose di buonumore. E così con Rav Arbib. Venerdì mattina, nel comunicare al Rav la scomparsa di questo nostro grande amico, eravamo entrambi affranti. Rav Arbib mi ha raccontato che, durante un “dialogo a due voci”, chiese che, per una volta, iniziasse l’incontro la parte cristiana e non quella ebraica, come altrimenti di consueto. Fu così che Gioachino parlò per primo. Rav Arbib mi ha detto che, quando toccò a lui, ha dovuto premettere, a mo’ di battuta, che la voce ebraica aveva già ampiamente relazionato, trattandosi del discorso di Gioachino, con la sua particolare sensibilità e intelligenza.

Vi è poi il “mio” amico Gioachino, un uomo profondamente buono e libero, che sapeva ascoltare e dare fiducia. Ma queste sono memorie personali.

Un abbraccio forte, fortissimo, a Valentina e Anna, in questo momento di difficile e doloroso distacco. Come pure a tutti gli amici della Libreria Claudiana e della Comunità Valdese. Un grande e buon amico se ne è andato, ma molto di lui in ciascuno di noi resterà. E di tutto questo gli siamo infinitamente grati.

Sia il suo ricordo in benedizione!

Vittorio

[1]Arvëddse in dialetto piemontese significa “Arrivederci”.