Bob Dylan compie 80 anni. Segreti e curiosità del “Menestrello di Duluth”     

di  Roberto Zadik   

Non molti riescono ad essere famosissimi e al tempo stesso indecifrabili, ma a quanto pare il “cantautore per eccellenza” Bob Dylan sembra esserci riuscito alla perfezione. Il prossimo 24 maggio compirà 80 anni e per quanto su questo personaggio moltissimo si sia detto e scritto nei suoi sessanta anni di carriera – dal 1961 ad oggi – non si sa molto rispetto al  suo rapporto con l’ebraismo. Qual è l’identità ebraica di Bob Dylan (nome ebraico Zushe ben Avraham)? Nelle sue canzoni ci sono riferimenti a questo tema?  Due articoli davvero interessanti sembrano svelare vari dettagli inediti. Primo fra tutti quello apparso qualche anno fa, il 12 maggio 2016 sul sito aish.com che ne racconta il retroterra famigliare e il “lato ebraico”.  Nato come Robert Zimmerman il 24 maggio 1941 a Duluth, anonimo paesino del Minnesota, visse un rapporto tutt’altro che facile con la sua famiglia di origini lituano-ucraine, scappò varie volte di casa e, come sottolinea il sito, “fu sempre molto reticente a identificarsi pubblicamente come ebreo”.

Nonostante provenisse da un contesto abbastanza osservante e avesse frequentato il campeggio religioso estivo del Camp Herzl, dopo aver fatto il Bar Mitzvà nella cittadina di Hibbing dove si trasferì coi genitori, il cantautore  americano mostrò sempre  una notevole ritrosia  riguardo alla sua privacy e specialmente sul suo modo di vivere la religiosità. Nonostante questo ci sono varie canzoni in cui, sebbene manchino esplicite dichiarazioni di ebraicità, abbondano riferimenti all’ebraismo che rivelano una certa conoscenza della Bibbia e una tormentata ma continua ricerca spirituale. Idealista, colto ed estremamente lunatico e imprevedibile,  a 19 anni iniziò la sua luminosa carriera con canzoni dalla spiccata vena folk alla Pete Seeger e alla Woody Guthrie , come dimostrano i primi tre album. Ma ad un certo punto, dal 1964, Dylan cambiò tutto, dal genere musicale al modo di cantare.  Improvvisamente tradì  i suoi fan con una inattesa svolta rock psichedelica dalla quale nacquero capolavori come il doppio  album Blonde on Blonde  e  Higway 61 Revisited, in cui ci sono le prime citazioni bibliche del suo vasto repertorio. Fondamentale per il suo rapporto con l’ebraismo il matrimonio con Sarah Shira Lowndes Noznisky  di famiglia ebrea polacca, dalla quale ha avuto quattro figli.

Le canzoni “ebraiche” di Bob Dylan 

Lo stesso articolo su aish.com approfondisce efficacemente quali canzoni contengano tematiche ebraiche e riferimenti all’ebraismo più o meno espliciti. Fra queste dopo gli inizi in pieno stile folk alla Blowin in the wind, che nel suo cantilenare sembra quasi un lamento, o la profetica The times are a changin i primi chiari riferimenti ebraici si trovano nel ritmato brano  Highway 61 che dà il titolo all’omonimo album, passato alla storia per classici come Like a Rolling Stone. Tornando al brano Highway 61 esso è caratterizzato da un andamento ritmato e coinvolgente e da un testo penetrante che inizia con l’episodio biblico del Sacrificio di Isacco  riletto nella tipica chiave ironica e surreale che caratterizza diversi testi di Dylan. “E Dio disse a Abramo uccidi tuo figlio” questo l’esordio  che successivamente prosegue nella narrazione dell’episodio della Torà fino al sorprendente finale in cui il Signore ordina “devi sacrificarlo là fuori sulla strada statale 61”. Il riferimento secondo myjewishlearning.com potrebbe essere anche diretto, oltre che al patriarca biblico, anche a suo padre che, guarda caso, si chiamava Abraham soprannominato col diminutivo Abe da amici e parenti. Sempre in  tema di citazioni religiose, un anno dopo, nel 1967 il cantautore all’epoca 26enne sforna uno dei suoi più grandi successi come la scatenata  All along the watchtower  rifatta un anno dopo dall’amico Jimi Hendrix. In quelle parole l’autore cita il profeta Isaia e la sua previsione della caduta di Babilonia riscrivendone con il suo consueto stile dissacrante e simbolico diversi contenuti.

Dopo queste due tracce “ebraiche” bisognerà attendere qualche anno, fino al 1975 quando egli cantò la dolente e splendida Forever Young (Per sempre giovane) un componimento in cui le frasi citano dalla Benedizione Sacerdotale fino ai sogni del patriarca Giacobbe. Tracce di ebraismo anche nell’album Freewhelin del 1963 in cui, fra i brani, Dylan a un certo punto scherza “questa è una melodia che ho imparato nello Utah” e comincia a cantare Hava Nagila e il filmato del brano Subterranean Homesick Blues in cui dietro di lui c’è il grande poeta della Beat Generation, Allen Ginsberg, anche lui di origini ebreo russe, che vestito da religioso sfoglia le parole della canzone mentre il musicista canta. Questi solo alcuni esempi dell’ebraicità nascosta eppure presente di questo autore che però, con la consueta imprevedibilità, nel 1978 si convertì al cristianesimo evangelico per poi ritornare all’ebraismo.

Negli anni ’80 questo suo ritorno e la presunta vicinanza al Movimento Chabad stanno alla base della grintosa Neiborghood Bully in cui allude alla sua identità ebraica e all’attaccamento a Israele. Secondo l’articolo pare che egli sia diventato amico di diversi rabbini come Rav Shlomo Freifeld e abbia partecipato a un certo numero di incontri e preghiere Chabad quando era di passaggio a New York, rivelando un certo attaccamento alle sue radici ebraiche e al mondo religioso anche se il suo rapporto con l’ebraismo è sempre stato molto complicato e riservato.

Nelle sue canzoni e nella sua personalità, l’identità americana ed ebraica convivono vivacemente, come dimostra la coesistenza fra gli aspetti socio-culturali del Midwest da cui proviene con le tematiche religiose, bibliche ed etiche di diverse sue canzoni che lo trasformarono nel primo vero cantautore della storia della musica, pioniere di quel genere introspettivo e riflessivo che avrebbe influenzato enormemente altri autori a metà fra poesia e musica, da Leonard Cohen, a Jason Donovan a Francesco De Gregori.

Cosa si sa dell’ebreo Bob Dylan 

Molto enigmatico e intenso, questo cantautore non rivelò quasi niente sulla sua religiosità, non dichiarando nemmeno la sua appartenenza all’ebraismo in tutte le poche e faticose interviste che rilasciò. Alcuni interessanti particolari vengono però rivelati da un articolo del 2012 uscito sul sito di The Guardian in occasione dell’uscita dell’album The Tempest. Il testo contiene qualche rarissima dichiarazione del cantautore, dagli inizi del suo percorso artistico ad oggi. Qualche esempio? Nel 1965 egli affermò davanti alla stampa, con cui ebbe sempre un rapporto a dir poco conflittuale, “non credo in nessuna religione o filosofia”. L’intervista però più densa fu quella del 1976 in cui il giornalista della tv americana Guide parlò lungamente con lui della sua visita in Israele nel 1971 e del suo interesse verso l’ebraismo. Il cantautore, solitamente molto schivo, si lasciò andare dicendo “sono molto interessato riguardo a cosa rappresenta un ebreo e a chi è. Gli ebrei sono semiti – ha continuato – come babilonesi, ittiti, arabi, siriani ed etiopi; a differenza di questi popoli, siamo diversi perché un sacco di gente ci odia. C’è qualcosa che è difficile da spiegare riguardo a questo”.  In questa intervista però, nonostante la sua riservatezza, ha mostrato un marcato interesse per il Divino. “Vedo la creazione Divina dappertutto – ha dichiarato nella stessa conversazione – e la più elevata forma di canzone è la preghiera”.  Davvero interessante anche l’intervista del sito journey.uscj.org all’amico d’infanzia di Dylan, Louie Kemp che, conosciuto dal cantautore nel 1953 al campeggio religioso Camp Herzl, restò vicino a lui per tutta la vita. Vissero tanti aneddoti assieme, nacquero nello stesso posto e nella stessa realtà ebraica americana di provincia e nonostante varie incomprensioni restarono sempre molto legati. A quanto pare fu Kemp che, diventato ortodosso, riportò Dylan alle sue radici ebraiche durante gli anni della conversione. “Era la mia missione notare che era stato da sempre educato all’ebraismo – ha rievocato – così gli presentai il Rabbino Friedman con cui avevo studiato. Gli feci conoscere diversi rabbini che rinforzarono progressivamente la sua fede”.

 

Wikimedia Commons | Bob Dylan at Finsbury Park – London 2011