Ci lascia Eliott Erwitt, il fotografo del comico

Personaggi e Storie

di Sofia Tranchina

All’età di 95 anni, ci lascia il grande fotografo umanista Elliot Erwitt. Nato a Parigi da una famiglia ebraica, con l’ebraismo impresso già nel nome d’anagrafe “Elio Romano Erwitz”, visse a Milano per i primi 10 anni della sua esistenza.

Nel 1938,  le Leggi razziali convinsero la sua famiglia a barattare l’Europa per l’America: «grazie a Mussolini sono americano» disse con la sua tipica vena di ironia.

Dal 1942 al 1944 studiò fotografia al Los Angeles City College, e proseguì con gli studi di cinema alla New School for Social Research dal 1948 al 1950.

Dell’Italia gli rimasero solo un vago accento e uno spiccato senso dell’umorismo, che fece di lui il “fotografo della leggerezza”: raccontò il Novecento in una serie di scatti ironici e divertenti.

 

 

Scoperta la macchina fotografica come terapia per la timidezza, iniziò a portarsela dietro agli eventi sociali, finché qualcuno notò il suo occhio.

Da incontri fortuiti con altri fotografi di alto calibro, in particolare il collega ebreo Robert Capa, fece della sua passione un mestiere e nel 1953 si unì alla Magnum Photos (una delle più importanti agenzie fotografiche del mondo), che gli donò visibilità internazionale.

Reinterpretò l’attimo fuggente di Henri Cartier-Bresson in chiave comica: negli scatti “rubati” ai passanti, il suo occhio, allenato a cogliere l’insolito, preferiva il ridicolo al pathos, l’assurdità alla simmetria.

 

Anche nelle fotografie più “serie”, come il ritratto di Marilyn Monroe, risaltano la dolcezza e delicatezza del suo sguardo sul mondo.

 

Diventò un maestro del bianco e nero, e si specializzò in fotografia pubblicitaria e documentaria; ma, soprattutto, pubblicò ben 8 raccolte di ritratti canini, perché “i cani non ti chiedono la liberatoria”.

Non smise mai di esaltare il gioco nella fotografia, spesso creando cortocircuiti e illusioni ottiche, perché «fare ridere le persone è uno dei più grandi risultati che si possano raggiungere».