di Gerardo Severino
Prima avvocato e poi editore. Scampato alle persecuzioni razziali, nella capitale argentina fonda una casa editrice che col tempo acquisirà un grande prestigio. Un esempio di libertà riconquistata
Una breve finestra temporale. Una finestra di fuga. Fra il settembre del 1939, data dello scoppio della Seconda guerra mondiale, al giugno del 1940, data dell’entrata del nostro Paese in quel conflitto, furono moltissimi gli ebrei italiani che ebbero sia l’idea sia l’opportunità di emigrare in varie parti del mondo, salvandosi così dalla Shoah. Varie furono le destinazioni, dagli Stati Uniti d’America ai Paesi dell’area Sudamericana, ove già allora era massiccia la presenza di Comunità ebraiche di “lingua italiana”, come a Buenos Aires. Fu così che già a partire dallo stesso 1939, approfittando del fatto di possedere ancora un passaporto italiano, molti ebrei raggiunsero le rive del Rio de la Plata, abbandonando, e molto spesso per sempre, i luoghi ove avevano vissuto, lasciando affetti, la terra di sepoltura dei propri cari, e dove avevano messo in piedi floride attività economiche, studi professionali, rivestito importanti carriere nel pubblico impiego, e così via. È il caso di un avvocato milanese, Eduardo Sacerdoti, che a Buenos Aires, senza perdere il coraggio e la determinazione che lo avevano da sempre animato, fu costretto a cambiar letteralmente vita, reinventandosi anche professionalmente. Eduardo Sacerdoti era nato a Milano il 30 aprile del 1906 da Augusto Sacerdoti, un avvocato trevigiano, Direttore della “Società Anonima Italiana di Assicurazione contro gli Infortuni”, Grande Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia, e da Lidija Prister, nata a Zagabria, figlia di Eduard Slavoljub Prister ed Helena Prister. I coniugi Sacerdoti, oltre a Eduardo, avevano avuto altri due figli, Mario ed Elena, con i quali vissero per anni nel capoluogo lombardo, in via Boccaccio 26. Nella Milano fascista, ove era iniziata l’ascesa al potere di Benito Mussolini, Eduardo Sacerdoti era stato per anni un abile avvocato, con studio in via Camperio 10. Nel 1940, l’intera famiglia si imbarcò verso la lontanissima Argentina; i Sacerdoti scamparono così alle persecuzioni razziali e alla “grande caccia”, disposta ai danni di tutti gli ebrei rimasti a vivere nella Penisola all’indomani del fatidico 8 settembre 1943, italiani e no.
Giunta a Buenos Aires, la famiglia Sacerdoti non si perse d’animo: aiutati dalla folta Comunità ebraica, s’inserirono abbastanza facilmente nel tessuto socio-economico della Capitale Federale, intraprendendo ciascuno una nuova vita e una nuova professione. Augusto, ormai anziano, avrebbe vissuto di quei pochi averi che era riuscito a portar con sé da Milano, e morì a Buenos Aires nel 1963; mentre i figli maschi si diedero da fare per trovare un’occupazione stabile che consentisse loro di mantenere le famiglie. L’avvocato Eduardo Sacerdoti, che nel 1940 aveva 34 anni ed era sposato con Luisella Boni, dalla quale aveva avuto due figli, Augusto Ugo e Paolo, non poteva certo pensare di poter esercitare anche a Buenos Aires la professione di avvocato. Avrebbe dovuto, infatti, ottenere prima le previste abilitazioni per le quali, in buona sostanza, sarebbe stato costretto a riprendere gli studi universitari, essendo la Giurisprudenza argentina totalmente diversa da quella italiana. Fu a quel punto che l’intraprendente professionista milanese pensò di dedicarsi al mondo dell’editoria, approfittando della dinamica vocazione che la capitale argentina nutriva verso la cultura e l’arte in generale. Con i risparmi portati dall’Italia, Sacerdoti riuscì ad aprire, già nei primi anni ’40, un’officina grafica in calle Tucuman 3549 a Buenos Aires, officina presso la quale di lì a poco avrebbe stampato importantissimi libri, riviste e giornali che avrebbero avuto diffusione in tutto il Paese. Ben presto i buoni affari, grazie alla fatica e alla determinazione di un uomo costretto a fuggire dalla propria Patria, diedero la possibilità ad Eduardo di tentare il passo decisivo, la trasformazione delle officine in una vera e propria Casa editrice: una di quelle ad ampio raggio, così come insegnava la tradizione italiana. Nacque così la “Editorial Mireya di Eduardo Sacerdoti”, che lavorò molto e bene, pubblicando testi di elevato e rigoroso spessore culturale e scientifico. Eduardo Sacerdoti si spense a Buenos Aires nel 1971, appena sessantacinquenne, pianto da figli e nipoti, ma anche dal mondo accademico e, soprattutto, dai tanti scrittori che aveva coraggiosamente aiutato, rischiando talvolta di rimetterci, e non solo economicamente, pubblicando opere di non facile divulgazione, ma soprattutto delicate, su tematiche allora molte complesse. La vita di Eduardo Sacerdoti in Argentina è un esempio di come il genio umano non ammetta differenze geografiche, religiose, diversità di opinioni politiche o altre “insignificanti” differenze sociali. Se da un lato la storia degli italiani in Argentina ci conferma l’importanza del loro ruolo in favore dello sviluppo di quel Paese, dall’altro abbiamo la riprova di come la Nazione Sudamericana abbia accolto moltissimi ebrei fuggiti dall’Europa, consentendo loro di vivere da persone libere, integrandole nel tessuto socio-economico, nel campo politico-istituzionale e in quello della cultura, raggiungendo i vertici del mondo accademico e delle arti.