di Cesare Badini
Una pedagogia fatta di domande e risposte, “un discorso mai concluso” e animato da una tensione infinita. Secondo lo storico Paolo Levrero autore del saggio L’ebreo don Milani (il Melangolo – Genova 2013), Lorenzo Milani sarebbe, nel suo modus operandi, un uomo della Torà quando pensa e organizza da pedagogo una scuola intesa come Comunità educativa. Non a caso ricorda come l’autore sconosciuto del Sefer Yetzirah ammonisca: “Devi sapere, pensare e dare forma”. La celebre Scuola di Barbiana fondata dall’educatore Milani avrebbe così una singolare comunanza con una yeshivah ebraica: nella scuola di don Milani ci si forma attraverso il pensiero e ci si educa reciprocamente nel pensiero. La scuola è il luogo di una possibile emancipazione dell’uomo, dove la cultura della parola diviene occasione per scegliere nella libertà.
Ma la storia di Don Milani comincia da ben più lontano. Precisamente dalla mamma e dalla nonna.
Sua madre, Alice Belà Weiss, era nata ebrea il 6 settembre 1895 (5655) nella Trieste austro-ungarica, fu patriota italiana, visse agnostica principalmente a Firenze, ma durante il fascismo dovette duramente confrontarsi con la “fede di nascita”. Molti ebrei italiani sono scampati alle persecuzioni nazifasciste con la protezione di documenti artefatti, ma nel caso di Alice il rispetto delle leggi vigenti la condusse a un defatigante e labirintico percorso burocratico che la portò addirittura al matrimonio cattolico: tutto per un oblativo amore materno verso i tre figli Adriano, Lorenzo ed Elena che per le Leggi razziali del 1938 “biologicamente” erano ebrei al 50%, percentuale a cui andrebbe aggiunta quella del marito Albano, la cui nonna materna era stata l’ebrea ucraina Elena Raffalovich.
Alice e Albano si sposano il 29 marzo 1919 a Firenze con rito civile. Nel 1920 nasce il primogenito Adriano, nel 1923 Lorenzo e nel 1928 Elena: nessuno fu circonciso né battezzato. Un documento del 1931 certifica la “fede di nascita” di Alice, rilasciato dalla Comunità Israelitica di Trieste perché la Legge Falco del 1930 aveva reso obbligatoria l’iscrizione nella località di residenza, peraltro senza più poterne uscire com’era stato invece possibile finché rimase in vigore la Legge Rattazzi del Regno Sardo che, invece, ammetteva libertà d’iscrizione.
Le minacciose ombre delle Leggi razziali di Norimberga del 1935 e l’elaborazione di quelle fasciste del 1938 non colsero impreparata la famiglia. Con l’ausilio di don Vincenzo Viviani, pievano di San Pietro in Mercato a Montespertoli, Alice avrà per i figli la certificazione del “battesimo fascista”: Adriano nel 1920; Lorenzo il 29 giugno 1923; Elena probabilmente poco dopo la nascita nel primo spazio utile rinvenuto nei registri parrocchiali. Poco importa se il cognome Comparetti sia stato impropriamente aggiunto ad Adriano quando ancora non era stato pubblicato nel 1921 il Regio decreto, e poco importa che al cognome di Alice manchi una “s”. In Italia i Patti Lateranensi del 1929 avevano reso obbligatorio l’insegnamento della religione cattolica e i figli Milani Comparetti non ne vengono esonerati: in quanto figli di mamma “ebrea” forse ne avrebbero avuto facoltà, ma il mancato esonero li espose comunque all’accusa di “ignoranza catechistica”, di cui mai avevano sentito parlare in casa, nonché a quella di essere figli di “concubini” per via del matrimonio civile dei genitori.
Il 18 settembre 1938 Mussolini, proprio a Trieste, annuncia l’emanazione delle leggi antiebraiche, ma già il 13 giugno del medesimo anno Alice si era presentata davanti al notaio Alfredo Frediani, di Rosignano Marittimo (Livorno) e, appellandosi “all’art. 5 del R.D. 30 ottobre 1930 – n. 1731”, sottoscrive un’istanza indirizzata al “Presidente della Comunità Israelitica di Trieste” in cui “… intende non essere più considerata Israelita”. Ciononostante, il censimento estivo la schederà “ope legis” nell’elenco prefettizio degli ebrei residenti a Milano. La richiesta quasi sicuramente scaturiva anche dal previsto divieto di matrimonio fra ebrei e non ebrei e il 30 novembre 1940 alle ore 8, nella chiesa di Santa Maria del Suffragio a Milano, viene contratto “S. Matrimonio secondo il Rito di Santa Romana Chiesa” tra “… Il sign. Milani Comparetti Albano, di anni 53, nato a Firenze il 6- 6-1885 – e battezzato in S. Maria del Fiore il 28 seguente … e la Sig.a Weiss Alice, di anni 43, nata a Trieste il 6-9-1895, e battezzata nella Parrocchia di S. Pietro in Mercato Montespertoli il 20-4- 1938 … ”. Indirizzato al “Signor Milani – Comparetti Albano” un documento del “8 luglio 1940 XVIII°”, proveniente dall’Ufficio Denuncia Israeliti del Comune di Milano e con oggetto “Determinazione di razza” così recita: “La R. Prefettura di Milano si incarica di comunicarVi che la vostra istanza tendente ad ottenere nei confronti dei Vostri figli Adriano, Lorenzo ed Elena il riconoscimento della non appartenenza alla razza ebraica è stata accolta dal Ministero sentito il parere della Commissione di cui all’art. 26 del R.D.L. 17/11/1938 XVII n. 1728.” Finalmente nel 1940 la famiglia Milani Comparetti esce dal ginepraio burocratico. Il prezzo è stato alto e forse la sua scelta non è stata completamente accettata dalla madre Emilia Jacchia, morta probabilmente suicida nel 1937, ma così Alice ha completato lo scudo protettivo nei confronti degli amatissimi figli. Gli eventi successivi all’8 settembre 1943, con l’invasione nazista, la Repubblica di Salò e la disponibilità del censimento degli ebrei del 1938, causano un rigurgito di ansie e angosce. I nazifascisti andarono quasi sicuramente a cercarla in via Fiamma 26 a Milano. Non la trovarono perché la famiglia, sfollata per i bombardamenti alleati del 1942, era rientrata a Firenze. Così Alice Weiss sopravvisse alla Shoah.
DAL LICEO BERCHET AL MUGELLO
Lorenzo Milani Comparetti nasce a Firenze il 27 maggio 1923 e qui morirà il 26 giugno 1967. Per suo espresso volere sarà sepolto nel minuscolo cimitero di Barbiana, un frazione di Vicchio nel Mugello in provincia di Firenze. Trascorre l’infanzia e l’adolescenza tra Firenze, Castiglioncello, villa Gigliola di Montespertoli e Milano. La tradizione culturale di famiglia è rigorosamente laica e agnostica, quando non esplicitamente anticlericale e atea. La bisnonna paterna di Lorenzo, l’ebrea ucraina Elena Raffalovich (Odessa, 22 maggio 1842 – Firenze, 29 novembre 1918), fu pedagogista, intellettuale e “froebeliana”. A Venezia, in contatto con Adolfo Pick (ebreo boemo, 1829-1894), la Raffalovich promosse il costituirsi di un “giardino d’infanzia” che vorrà aconfessionale e laico, al cui interno ogni bambino potesse svilupparsi liberamente in tutti i sensi, sradicando egoismo e vano orgoglio del mondo borghese. La madre di Lorenzo fu l’ebrea triestina Alice Weiss (1895-1978), figlia di Emilio (commerciante di carbone di origine boema) e di Emilia Jacchia (sefardita di lontane origini portoghesi). Suo padre conobbe Italo Svevo e James Joyce, allora insegnante di lingua inglese alla Berlitz School frequentata anche da Alice Weiss, che da giovane irredentista decise di lasciare la cosmopolita Trieste austro-ungarica per trasferirsi a Firenze sul principio della Prima guerra mondiale. La sua origine ebraica si fonde con l’umanesimo tedesco e mitteleuropeo, ma il suo ebraismo non è accompagnato da alcuna pratica religiosa.
Nel 1941, a diciotto anni, a Milano, dopo il diploma al Regio Liceo Classico Giovanni Berchet, Lorenzo Milani Comparetti vuole fare l’artista e, per potersi iscrivere all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano, a Firenze prende lezioni private dal pittore Hans-Joachim Staude (Port-au-Prince, 1904 – Firenze, 1973), un “maestro di serietà, di coscienza, di quella ricerca dell’assoluto nel bene e nel bello”. L’effimera, ma intensa esperienza artistica durerà poco meno di due anni. Durante il 1943, con un percorso interiore purtroppo non più documentabile attraverso le perdute corrispondenze epistolari con “la platonica fidanzatina” Carla Sborgi e con il “consigliere spirituale” don Raffaele Bensi, Lorenzo approda alla conversione: nel novembre entrerà nel seminario di Cestello a Firenze. Dopo quattro anni riceve il sacramento del sacerdozio in Santa Maria del Fiore. Alla cerimonia non può assistere il padre Albano scomparso qualche mese prima. Dal 1947 fino al 1967 il sacerdote Milani concretizza la sua vocazione sempre nella diocesi di Firenze, prima a San Donato di Calenzano e poi, dal dicembre 1954, a Barbiana, in un “confino” dal quale sono emersi i suoi più importanti scritti (Esperienze Pastorali e Lettera ad una professoressa) e soprattutto dove viene creata dal nulla la Scuola di Barbiana, un’esperienza scolastica tuttora meta di veri e propri “pellegrinaggi”.
Lo storico Paolo Levrero ne reinterpreta la vita attraverso le sue origini ebraiche da parte di padre e madre: la “conversione” sarebbe quindi il preludio a un “riappropriarsi” del suo originario ebraismo, rifiutando l’ordine soffocante del privato, il particolarismo degli interessi, il diritto di proprietà e la sua riflessione sul carattere. Tuttavia non è concesso sapere quanto e come Milani abbia pensato e vissuto il suo essere ebreo. Egli è noto per aver fondato la Scuola di Barbiana, una “scuola come ottavo sacramento” che occupava tutta la giornata ogni giorno dell’anno, dove i ragazzi si affacciavano alle arti e alla molteplicità dei saperi, dalla meccanica alla pittura, dalla fisica alla musica, dall’astronomia all’idraulica. Si leggevano e commentavano i giornali. Si studiavano lingua italiana e lingue straniere, per avere “il dominio sulla parola” per riuscire a esprimere compiutamente quello che sono e pensano. Una scuola diretta da una specie di “Gaon”, don Milani? Chissà, forse sì.