di Claudio Vercelli
È morto un “cattivo Maestro” utile agli antisemiti. Complottismo, utilizzo di un web malato, l’idea della “Shoah come truffa”. Analisi dell’eredità greve di Faurisson, “mela marcia” della storiografia moderna. Che continua a contagiare l’Islam radicale
La morte di Robert Faurisson a Vichy, in Francia, il 21 ottobre scorso, segna una cesura netta tra un prima e un dopo nel piccolo, ma agguerrito universo dei negazionisti. Di costoro, infatti, era l’esponente più importante. Quanto meno, quello che aveva conosciuto la maggiore ribalta pubblica, ottenendo inoltre credito soprattutto in alcuni ambienti mediorientali, a partire dall’Iran dell’ex premier Ahmadinejad. Benché screditato in tutti i contesti intellettuali, costituiva tuttavia la figura di riferimento “scientifico” per quanti hanno continuato a sostenere che nessun genocidio si fosse consumato durante la Seconda guerra mondiale. La vicenda personale di Faurisson era iniziata negli anni Sessanta, per poi arrivare, attraverso percorsi tortuosi, fino ai giorni nostri. Per più di una decina d’anni, tra il 1957 il 1969, era stato docente di letteratura nei licei francesi. Nel decennio successivo diventò «maître assistant stagiaire» e occupò la cattedra di letteratura contemporanea all’Università di Parigi III. Nel 1972 conseguì il dottorato di studi e dal 1973 al 1980 lavorò come «maître de conférences» all’Università di Lione II. Si tratta di funzioni associate a quelle dei docenti ordinari, titolari di cattedra. Dopo di che, e fino al 1995, anno in cui andò in pensione, venne distaccato, su sua stessa richiesta, al Centro nazionale di tele-insegnamento, senza però svolgere nessuna attività di insegnamento. Nel mentre, le sue ripetute, petulanti, ossessive prese di posizione contro la Shoah, liquidata come un falso storico, lo avevano posto ai margini della società intellettuale. La medesima polemica da lui avviata e mai rettificata contro l’autenticità del Diario di Anne Frank (denunciato come falso redatto dal padre della giovane vittima), poi definitivamente smentita dal supplemento di riscontri e verifiche scientifiche operate nel mentre, concorse a segnarne ulteriormente la marginalità rispetto al mondo degli studi. Tuttavia, gli garantì un pubblico di devoti adoratori, convinti sostenitori delle sue prese di posizione. Dentro questa cornice, che lo colloca comunque all’interno del mondo scolastico e poi accademico francese, ma anche di quello pubblicistico, si dipana quindi la sua storia e il suo modo di operare.
Già nella sua originaria attività di studioso della letteratura aveva da subito rivelato una marcata propensione a cercare nei testi che studiava quegli elementi che, a suo dire, connotavano una mistificazione dell’interpretazione corrente. Si considerava l’iniziatore di quello che egli stesso, sulla scorta degli appellativi dei suoi studenti, chiamava il «metodo Ajax» (dal nome del detersivo). Si trattava di un criterio di interpretazione della letteratura basato sull’assunzione rigida e acritica del testo medesimo, decontestualizzato e slegato dallo stesso autore e dalle circostanze che l’avevano prodotto, nella convinzione che solo così si potesse pervenire all’effettiva conoscenza del suo reale contenuto. Estese quindi questo opinabile metodo di investigazione letteraria anche alle fonti storiche. Con esse, soprattutto a quelle riguardanti il genocidio ebraico, di cui dichiarò l’inesistenza. Qualsiasi documento, testimonianza o fonte che ne comprovasse la veridicità, veniva immediatamente capovolto nel suo contrario. Assumendo tali panni polemici, divenne così la figura di riferimento del negazionismo europeo.
Che cosa quest’ultimo sia a tutt’oggi, è peraltro presto detto. Si tratta, infatti, di quella menzogna pseudoscientifica che continua a negare lo sterminio operato dai nazisti ai danni dell’ebraismo europeo, dichiarando inesistenti le camere a gas. La specificità di questo falso sta tuttavia nel presentarsi nei panni di una teoria “storica” che intenderebbe ricostruire il passato alla luce, per l’appunto, di una diversa interpretazioni delle fonti e delle testimonianze già esistenti. Se il negazionismo prima maniera, quello dei neonazisti, si era presentato sempre e solo come il rifiuto di assumersi le responsabilità politiche, morali e civili di una tale tragedia, l’atteggiamento assunto da Faurisson, a partire dagli anni Settanta, quando iniziò a manifestare pubblicamente il suo “pensiero”, cercò invece di orientarsi diversamente. Da un lato, infatti, rifiutò di essere etichettato da subito come esponente della destra radicale, anche se poi, nei fatti, con essa intrattenne molteplici rapporti. Dall’altro, ed è l’aspetto più importante, poiché perdura ai nostri giorni, cercò di rivestire di una qualche forma di apparenza scientifica le sue affermazioni, altrimenti del tutto prive di qualsiasi fondamento.
Sarebbe facile, dinanzi al ripetersi di questo atteggiamento, il liquidarlo come un residuo superstizioso e al contempo deliberatamente menzognero da parte di ciò che resta del nazismo medesimo. Ma non è propriamente così. Poiché il negazionismo ci interroga non sull’inconsistenza delle sue deliranti e offensive affermazioni, bensì sul seguito che esse continuano a raccogliere, malgrado tutto.
La solita “internazionale giudaica”
I tre poli sui quali continua a giocare la sua partita, infatti, sono il complottismo, il web e il radicalismo, quello soprattutto di matrice fondamentalista. Tutti e tre sono uniti dall’interagire, ognuno a modo proprio e per le sue proprie ragioni, con il complesso mondo delle informazioni collettive e della comunicazione pubblica. Il complottismo, che nel caso negazionista si traduce nell’accusa rivolta agli ebrei di essersi inventati, di sana pianta, la “finzione” di essere state vittime di un crimine inesistente, reinterpreta la storia come il prodotto di un intrigo, ordito in questo caso dall’«internazionale giudaica» per dominare il mondo.
Il web, ovvero la sfera delle relazioni virtuali, costituisce a sua volta un habitat di libertà, ma anche di nuove prigionie. Per il suo essere un ambiente dove i filtri e i codici di interpretazione spesso difettano, permette la circolazione di molte opinioni, una parte delle quali non sono solo inverosimili, ma anche volutamente offensive. Di esse, poi, ne permette la diffusione e l’amplificazione acritica. Chi nega la storia, costruendo teorizzazioni tanto assurde quanto seducenti, trova in un tale ambito un terreno elettivo per raccogliere un uditorio di una qualche consistenza.
Il radicalismo fondamentalista, infine, ha spesso sposato la causa negazionista, piegandola ai propri scopi. Soprattutto nel caso dell’islamismo più acceso, per il quale negare la legittimità stessa del diritto all’esistenza agli ebrei è alla stregua di un precetto di fede. Poter dichiarare pubblicamente (e impunemente) che la Shoah sarebbe una «truffa», una finzione, permette infatti di ottenere più risultati in un solo colpo: si attribuisce agli ebrei il carattere di individui menzogneri, che ingannano il resto del mondo; gli si imputa i crimini che invece hanno subito (i “veri” nazisti sarebbero quindi gli israeliani, che assassinano i palestinesi); si dichiara la necessità di una guerra senza quartiere contro «Satana» e le sue funamboliche manipolazioni.
Il negazionismo non è uno scarto del passato, il prodotto di un’ignoranza, colmata la quale sia destinato a scomparire. Risponde semmai al bisogno di dare nuova sostanza all’avversione antigiudaica. Lo fa in forme subdole e con modi più suadenti, nascondendosi dietro una maschera di rispettibilità pseudoscientifica. Faurisson lascia questa greve e pesante eredità. Non ha ottenuto nessun accredito nella comunità degli studiosi, ma ha dato nuova sostanza a quella degli antisemiti.