Emma Dessau,Autoritratto

L’atélier del sé e dell’altro: la doppia presenza di Emma Dessau Goitein (1877-1968)

Personaggi e Storie

di Silvana Greco
Su gentile concessione dell’autrice, riprendiamo l’articolo di Silvana Greco pubblicato su Academia sulla figura di Emma Dessau Goitein, pittrice ebrea tedesca a cui è dedicata una mostra a Perugia, aperta fino al 9 settembre. Il testo è inserito nel catalogo della mostra curato da F. Bosco, M.L. Martella e G. Steindler Moscati.


La fluida e mobile «doppia presenza»

Emma Dessau Goitein, nata a Karlsruhe nel 1877 in una famiglia ebraica, e stata una donna vitale, decisa, passionale. Una femminista all’avanguardia, cosmopolita, testarda fin da piccola – ein kleiner Trotzkopf (1), come la ricorda amorevolmente la sorella Rahel nel suo libro autobiografico (2). Allo stesso tempo, è stata una persona dall’animo molto sensibile e delicato, che ha dovuto fronteggiare gravi dolori e perdite.

Durante la giovinezza e tutta l’età adulta, Emma s’impegna a fondo per raggiungere quello che più le sta a cuore. Le preme innanzitutto far sbocciare la vocazione di pittrice e xilografa, che scopre in gioventù. Dopo un lungo, duro lavoro, arriverà al successo, negli anni Venti e Trenta in Italia.

Il suo secondo desiderio è di mantenere un’identità ebraica, prima ancorata alla neo-ortodossia e poi al sionismo di Theodor Herzl. Infine, Emma s’impegna a costruire una famiglia propria, frutto di un amore passionale e liberamente scelto. E così facendo infrange la tradizione neo-ortodossa ebraica dell’epoca, entro cui era stata socializzata (3). Al rientro del suo percorso formativo presso la scuola d’arte di Hubert von Herkomer (1849-1914) a Bushey nei pressi di Londra, Emma trascorre con sua madre e i suoi fratelli un’amea vacanza a Herrenalb nella foresta nera. Lì incontra il fisico Bernardo Dessau (1863-1949), di origini tedesche ma naturalizzato italiano, di cui si innamora sin dal primo momento (4). Dal matrimonio con Bernardo, celebrato nel 1901 a Karlsruhe, nasceranno, in Italia, i due figli: Fanny (1904-1984) a Bologna e Gabor (1907-1983) a Perugia.

È un’unione molto ben riuscita, moderna per l’epoca, basata com’è sull’amore, sull’intimità, sulla stima reciproca e sull’accettazione delle realizzazioni professionali di ciascun coniuge. Dal 1901 al 1904 gli sposi vivono a Bologna, per trasferirsi poi a Perugia, dove Bernardo Dessau ottenne la cattedra di professore straordinario alla Facoltà di Medicina e Chirurgia (5) . Per tutta la vita, fino ai sessantotto anni, quando smette di dipingere, Emma coniuga la sua fluida «doppia presenza» (6) nella sfera pubblica e in quella privata, talvolta con fatica ma pur sempre magistralmente.

È capace di conciliare il ruolo pubblico di pittrice, xilografa e attivista nel sionismo italiano con i compiti di moglie e di madre nella sfera privata. Ha insomma l’abilità di «attraversare registri temporali e culturali profondamente diversi: il tempo interiore della soggettività, i tempi della cura e dell’affettività, il tempo del mercato» (7) dell’arte. È questo un talento che si riflette nella sua produzione artistica. Si pensi, per esempio, alle originali copertine della rivista del movimento sionista (“L’idea sionnista”, fig. 1) e ai fantasiosi ex libris, che vanno incontro al gusto di una committenza variegata. In una sfera d’ispirazione più privata rientrano invece i molti ritratti dei membri più cari della famiglia (la madre, il marito, i figli, il fratello Ernst). In tale ambito va visto anche il dipinto autobiografico su cartoncino dal titolo Dolore materno (cat. 61) del 1915. In quest’opera, la pittrice riesce a trasmettere la sua straziante emozione per la morte di suo figlio.

Il 9 aprile 1914, Emma perde il terzogenito Leonardo, poche ore dopo la nascita (8). La «doppia presenza» fluida, che caratterizza l’identità di Emma, non riguarda solo i suoi ruoli sociali nella sfera pubblica e in quella privata. È anche una doppia presenza nei diversi ambiti culturali in cui vive. Riesce in modo mirabile ad amalgamare, senza troppi conflitti, la cultura della tradizione ebraica con quella della società maggioritaria cristiana tedesca e italiana.

Il contesto culturale, sociale e politico degli anni formativi

Emma è stata socializzata prima nell’Impero tedesco e poi in Italia, in cui vive dal 1901 fino alla sua morte. Ci si può chiedere come questi contesti culturali, sociali e politici abbiano contribuito alla costruzione della sua identità di donna ebrea e di pittrice. Vanno menzionati quattro processi significativi che emergono dall’analisi del suo percorso biografico: i) la socializzazione primaria (nella famiglia), secondo la corrente religiosa neo-ortodossa; ii) il sionismo di Theodor Herzl; iii) l’emancipazione e lo sviluppo di una propria coscienza femminista (9) ; iv) la formazione continua e cosmopolita per tutta la vita. Emma nasce nella città di Karlsruhe dove gli ebrei hanno ottenuto il riconoscimento dei diritti di cittadinanza già nel 186210, prima della nascita dell’Impero tedesco.

Il padre di Emma, il rabbino Gabor Goitein (1848-1883) di origini ungheresi, appartiene all’ebraismo della neo-ortodossia. Si è formato nella yeshivah del rabbino tedesco Esriel Hildesheimer (1820-1899), che lo ha profondamente influenzato. È stato nominato dapprima rabbino ad Aurich nel 1874, e poi viene chiamato al rabbinato, nel 1877, a Karlsruhe (11). È fermamente convinto dell’importanza di avere una conoscenza esemplare e approfondita della Torah (la Bibbia ebraica) ma al contempo ritiene opportuno aprirsi allo studio della scienza, della filosofa e della cultura del mondo occidentale (12).

Emma viene socializzata dalla madre Ida Goitein nata Löwenfeld (1848-1931) insieme ai fratelli Gertrud, Rahel ed Ernst (13) secondo l’orientamento neo-ortodosso di suo marito, anche dopo la morte di questi. La madre prende pertanto le distanze dal fratello Raphael Löwenfeld (14), che si definisce in primis cittadino tedesco e poi di religione ebraica, come la maggioranza degli ebrei tedeschi. Davanti al crescente antisemitismo, sia in Francia – si pensi all’Affaire Dreyfus – sia nell’Impero tedesco, Emma, Rahel ed Ernst aderiranno con entusiasmo al neonato movimento sionista di Theodor Herzl (1860-1904). Rahel, la sorella minore di Emma, racconta nella sua autobiografia come il fratello Ernst, al ritorno dal Congresso internazionale sionista a Basilea del 1899, abbia raccontato, a proposito di Theodor Herzl: «Ho visto l’ebreo più grande dopo Mosè» (15).

La socializzazione primaria, in famiglia, in un contesto neo-ortodosso e quella secondaria negli ambienti sionisti a Karlsruhe e poi in Italia, accanto al marito Bernardo Dessau (16), hanno influenzato chiaramente il percorso formativo di Emma Dessau Goitein, come pittrice nonché la scelta dei temi delle sue opere. Emma non trascura mai i doveri della tradizione ebraica a favore della sua vocazione pittorica. Appena arrivata alla scuola d’arte di Hubert von Herkomer a Bushey, per imparare le tecniche pittoriche e l’intaglio del legno, riesce a ottenere l’esonero delle lezioni del sabato, per potere celebrare lo Shabbat con i cugini di origini ungheresi, che vivono a Londra (17). Del resto, non sono solo le correnti pittoriche della cultura occidentale in particolar modo i Preraffaeliti, a ispirare Emma. Anche alcuni pittori ebrei, come Isidor Kaufmann (1853-1921) e Moritz Daniel Oppenheim (1800-1882) le sono di modello, con dipinti che ritraggono la vita quotidiana degli ebrei ortodossi nell’Ottocento (18).

Almeno tre dei suoi lavori dei primi del Novecento rinviano a soggetti ebraici. La prima opera è la xilografia a colori Salomè (cat. 73) del 1910 che Emma, una delle pochissime donne partecipanti, presenta alla mostra internazionale di Levanto del 1912 (19). La seconda opera, del 1913, raffigura Mosè (cat. 74), intento a scrivere il testo della Torah. La copertina de “L’idea sionnista” (sic!), pubblicata nel 1906. Vi è raffigurata in stile Art Nouveau una bella giovane donna in abito lungo con i capelli raccolti, che tiene in mano la stella di Davide.

L’altro elemento, che ha influenzato lo sviluppo identitario e pittorico di Emma Goitein, è l’emancipazione femminista. L’Impero tedesco, in cui Emma vive la sua giovinezza e una parte della vita adulta, è teatro di grandi trasformazioni sociali e culturali. Il nascente movimento femminista, che si articola in diversi correnti di pensiero sia all’interno della società maggioritaria cristiana sia nel mondo ebraico, lotta per ridefinire il ruolo della donna nella società, per ampliarne i diritti di cittadinanza (20) e per fare emergere le questioni sociali più spinose della condizione femminile (21). Emma sviluppa fin da giovane una forte consapevolezza di volere essere una donna all’avanguardia. È decisa a mettere in discussione l’identità di genere tradizionale, che confina la donna in un unico ruolo e in un’unica sfera dell’agire sociale: quello di moglie e di madre nella sfera privata. Lotta per la propria autodeterminazione e autorealizzazione, attraverso un autonomo progetto creativo (22). È un impegno che non rifiuta la tradizione neo-ortodossa ma la reinterpreta. Lotta per la libertà di scegliersi il proprio marito, di svolgere la propria professione di pittrice accanto al ruolo di moglie e di madre, di avere «un atélier tutto per sé». Così facendo, Emma ridisegna la propria identità femminile e, di conseguenza, anche quella maschile del marito (il gender è un concetto relazionale) e la relazione tra lei e Bernardo, che diventa più paritaria.

Un ruolo decisivo, nella formazione della coscienza di donna emancipata, è stato quello di sua madre. In seguito alla morte del marito Gabor, la madre Ida non ritorna nella sua città natale a Posen, come avrebbe potuto fare, secondo la tradizione ebraica, per farsi sostenere economicamente dai familiari. Sceglie invece di rimanere a Karlsruhe dove svolge il lavoro di insegnante. Ida ambisce, e di fatto riesce, ad offrire a tutti i figli, figlie comprese, un percorso di studio, che li prepari a una professione (23) e consenta loro una mobilità occupazionale e sociale ascendente. Non solo la madre è capace di rappresentare un fattore di identificazione positivo per Emma ma ha anche la lungimiranza di riconoscerne i precoci talenti. Il riconoscimento delle figure significative nell’ambito familiare è condizione fondamentale per lo sviluppo della fiducia in sé (24).

Emma disegna spesso i volti e corpi femminili, sensuali e fieri. Altri suoi lavori affrontano la maternità e altri ancora la figura della donna combattiva o colta. Si pensi a titolo d’esempio all’affascinante ex libris per l’Associazione per la storia e la letteratura ebraica di Essen (Verein für jüdische Geschichte und Litteratur Essen).

Arriviamo ora all’ultimo punto, che riguarda il ruolo giocato, nel percorso artistico di Emma Dessau Goitein, dallo studio e dal continuo aggiornamento delle tecniche pittoriche. Accanto alla scuola pubblica, Emma prende lezione privatamente di ebraico e approfondisce la cultura ebraica, grazie agli sforzi materni (25). Una volta ottenuta la piena cittadinanza nell’Impero tedesco, una parte degli ebrei riesce a realizzare una certa integrazione e mobilità sociale ascendente, grazie anche al proprio capitale culturale (in termini di Bourdieu). Ed è nel quadro di questa relazione tra integrazione e ascesa sociale, da una parte, e cultura, dall’altra, che la madre di Emma sostiene fortemente la vocazione pittorica e lo studio nelle scuole artistiche della figlia, così come s’impegna per l’educazione di Rahel e di Ernst.

Emma apprende accanto al tedesco e all’ebraico, l’inglese, il francese e in seguito l’italiano. Si forma dapprima presso diverse scuole d’arte in Europa. Segue i corsi d’arte a Karlsruhe, la scuola di Hubert von Herkomer a Bushey. Si reca poi a Monaco di Baviera, dove impara a intagliare il legno e stampare xilografie policrome, un’utile tecnica che utilizzerà per gli ex libris. Infine, si trasferisce a Bologna, presso l’Accademia di Belle Arti della città, dove viene ammessa, nel 1901-1902, come unica donna. Qui approfondisce il disegno dei corpi nudi, una pratica che scandalizza le signore della buona borghesia italiana (26). La sua formazione continua e cosmopolita, protratta per tutta la vita, le permette di stare al passo con le novità dell’epoca e di distinguersi dalle altre artiste per le sue diverse abilità. Nei primi decenni del Novecento, si reca spesso a Monaco di Baviera per frequentare dei corsi di aggiornamento, anche quando già vive in Italia, a Bologna e a Perugia. Negli anni di studio e di apprendistato, Emma ha appreso che «solo la costanza nel lavoro e nello studio possono portare a buoni risultati» (27).

Dalla ribalta del successo al retroscena della sua intimità

La lezione dei suoi maestri ha dato il suo frutto. Il costante impegno nell’arte pittorica e nella xilografia premiano Emma Dessau Goitein con il meritato successo. I primi riconoscimenti arrivano già nel 1912, con la partecipazione della mostra internazionale a Levanto dove presenta Salomè (1910) e due ex libris (28). Emma arriva a riscuotere successo anche presso il grande pubblico, quando è una donna ormai matura, verso i quarantacinque anni. Sul «Piccolo» di Roma del 14-15 giugno del 1922, compare un articolo elogiativo sulla mostra personale realizzata a Perugia. Seguiranno altre mostre in giro per l’Italia, tra cui quella a Milano, presso la galleria Buffoli (29) nel 1923, a Livorno nel 1932, a Roma a Palazzo Doria nel 1934, a Bergamo presso la Galleria Permanente d’Arte Alessandro Gazzo nel 1935. Un periodo di grande ribalta, che l’aiuta a superare il forte malessere psichico ed esistenziale di cui soffre da qualche tempo (30). La perdita del terzogenito Leonardo nel 1914, la morte dell’amato fratello Ernst sul campo di battaglia della prima guerra mondiale nel 1915 e l’espulsione del marito Bernardo Dessau dall’Università di Perugia, avvenuta nel novembre del 1917 a causa delle origini tedesche (31), sono duri colpi, che lasciano ferite profonde nell’animo sensibile di Emma.

A cambiare completamente la sua sorte sono le leggi razziali del 1938, che colpiscono a sorpresa come una scure tutta la popolazione ebraica italiana. Inizia la «spirale negativa del misconoscimento»: dalla perdita di tutti i maggiori diritti di cittadinanza fino all’essere ridotti allo status di schiavi nei campi di concentramento del regime nazista tedesco (32). I suoi figli riescono a scappare per tempo dall’Italia fascista (Fanny ripara a Haifa in Palestina già nel 1935 e il figlio Gabor a Jaipur nel 1938) (33), così come fugge sua sorella Rahel dalla Germania nazista nel 1933. Emma e suo marito rimangono invece a Perugia, a causa dell’età avanzata di Bernardo, che ha settantacinque anni nel 1938 (34).

La persecuzione degli ebrei perugini inizia dall’ottobre del 1943 e dura fino al luglio del 1944 (35). I due coniugi vengono salvati dalla solidarietà dei cittadini perugini. Un funzionario militare, che viene a conoscenza in anticipo del rastrellamento degli ebrei da parte dei nazisti, permette loro di scappare di notte da Perugia (36). Vengono nascosti in una mansarda di amici e poi, per sicurezza, si dividono. Il marito già molto malato viene nascosto in ospedale mentre Emma trova riparo presso altri conoscenti, fino al giorno della liberazione (37).

Le umiliazioni indelebili subite durante il fascismo come ebrea, il tradimento dei due paesi in cui è vissuta, Germania e Italia, e il dolore per la morte del marito nel 1949, la gettano in uno stato di grande sofferenza psichica (38), che le impedirà di dipingere per il resto della sua vita. Non riesce più a scorgere una prospettiva filosofica ed estetica a cui tendere. È quanto emerge nel suo ultimo ed emblematico dipinto del 1945 L’angelo e la foca (cat. 71). L’angelo innocente, che può valere come suo alter ego, tiene le mani sovrapposte, in un gesto di rassegnazione e sconfitta. L’iconografia delle mani dell’angelo ricorda il gesto di sottomissione dei prigionieri, noto attraverso l’arte statuaria d’età greco-romana (39). Lo sguardo dell’angelo è rivolto verso il basso, in direzione del suolo, verso l’arida roccia su cui è seduto, e il suo corpo dà le spalle al mare. In quella posizione, l’angelo non riesce più a scorgere gli orizzonti ampi del mare aperto. Il cielo è plumbeo, le nuvole coprono gran parte del sole e nessun essere umano anima la scena. È una solitudine pervasiva, interiore, definitiva.

 

NOTE

1. Una testa dura e cocciuta.
2. Straus 1961, p. 30. Rahel Goitein Straus (1880-1963) è la sorella, minore di tre anni, di Emma Goitein Dessau. Rahel è nata a Karlsruhe il 21 marzo 1880. È la prima studentessa presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Heidelberg in Germania, dove si laurea nel 1905. Nel medesimo anno sposa Elias Straus da cui ha cinque figli. Accanto alla brillante carriera come medico, Rahel si interessa per tutta la vita di politica. Non è solo fervida sionista ma anche una femminista, attiva nell’associazione femminista Jüdische Frauenverband, fondata da Bertha Pappenheim. Nel 1933 dopo la morte di suo marito per un tumore e la presa del potere di Hitler, emigra in Israele. Nel 1940 scrive la propria autobiografia, intitolata Wir lebten in Deutschland. Erinnerungen einer deutschen Jüdin 1880–1933. Muore a Gerusalemme il 15 maggio del 1963.
3. Secondo la cultura ebraica neo-ortodossa dell’epoca, i matrimoni sono combinati dalle famiglie di origine.
4.  Steindler Moscati 2018, p. 51.
5. Benchich 2015, p. 111.
6. Balbo 1978.
7. Barazetti 2006, p. 85.
8. Steindler Moscati 2018, p. 164.
9. I primi tre processi sono stati già brevemente accennati nella postfazione della biografia sulla pittrice di Gabriella Steindler Moscati (cfr. Steindler Moscati 2018, pp. 205-209). In questo saggio vengono maggiormente approfonditi e puntualizzati.
10. Schmitt 1988.
11. Straus 1961, pp. 24-25. Moses Mendelssohn (1729- 1786) è il primo filosofo della Haskalah ebraica, che intende coniugare la tradizione religiosa giudaica con il sapere occidentale.
12 Ivi, p. 23.
13. La madre Ida perderà invece due altri figli in giovane età: Hermann nato nel 1879 e Benedikt nato nel 1881.
14. È il fondatore del Central-Verein deutscher Staatsbürger jüdischen Glaubens, nato nel 1803.
15. Cfr. Straus 1961, p. 80, Steindler Moscati 2018, p. 109.
16. Bernardo Dessau si era avvicinato alla Federazione sionista italiana, fondata nel 1901 dall’avvocato ferrarese Felice Ravenna, durante il periodo bolognese, nel 1903 (Bencich 2015, con altre notizie sul sionismo di Dessau).
17 Cfr. Steindler Moscati 2018, p. 37.
18 Per maggiori approfondimenti sull’opera di Moritz Daniel Oppenheim si rinvia a Dröse, Eisermann, Kingreen, Merk 1996.
19 Cfr. Ratti 2014, p. 59.
20 Il diritto di accesso all’istruzione superiore grazie a Helene Lange (1848-1930) e poi il diritto di voto. 21 Bertha Pappenheim e Sara Rabinowitsch studiano e denunciano la
prostituzione delle donne ebree come fenomeno sociale causato dalla povertà
e dalla mancanza di istruzione. 22 Sull’autorealizzazione si rinvia a Hammershøj 2009.
23 Cfr. Straus 1961.
24 Honneth 2002, p. 128.
25 Straus 1961, p. 36.
26 Steidler Moscati 2018, p. 150.
27 Steindler Moscati 2018, p. 55
28 Ratti 2014, p. 59.
29 Steindler Moscati 2018, p. 192.
30 Ivi, p. 192.
31 Dopo l’espulsione di Bernardo dall’Università, i coniugi Dessau si vedono costretti a lasciare Perugia. Dal 1917 fino al 1919 vivono a Firenze, fino a quando Bernardo Dessau non è riammesso nel proprio ruolo di professore.
32 Cfr. Sul concetto di spirale negativa del misconoscimento si rinvia a Greco 2017.
33 Cfr. Steindler Moscati 2010.
34 Nel 1910 Bernardo Dessau ottenne una proposta per andare a lavorare al Technion a Haifa in Palestina, che sarebbe stato terminato nel 1912. La proposta però non si concretizzò e così Dessau abbandonò l’idea di trasferirsi. Cfr. Bencich 2015, p. 111.
35 Per un approfondimento della persecuzione degli ebrei a Perugia si rinvia a Boscherini 2005.
36 Si ringrazia la Dottoressa Fedora Boco per l’informazione.
37 Si rinvia al racconto di «Un uomo» di Montesperelli 1979 che descrive i momenti del rastrellamento nazista. Sebbene l’autore utilizzi nomi fittizi, il racconto descrive quanto hanno vissuto Emma e Bernardo Dessau. Si veda Steindler Moscati 2018, p. 208.
38 Cfr. F. Steindler Dessau 1969, p. 156.
39 Si rinvia, a titolo esemplificativo, alle due statue di prigionieri della Dacia, che si trovano al Museo archeologico di Napoli, inv. 6122, 6116. Cfr. Bober e Rubinstein 2010, pp. 213-214, Busi 2017, p. 384.