di Roberto Zadik
L’identità è sempre un discorso complesso e capita spesso che molti se ne dimentichino, la nascondano o la mostrino eccessivamente all’esterno. Succede anche che essa venga data per scontata o non considerata e che a un certo punto le persone sentano il bisogno di “tornare alle origini” o in senso religioso, i famosi “baal teshuva”, ebrei che non erano praticanti e decidono di diventare osservanti o di appartenenza. Ebbene il grande attore ebreo americano, Dustin Hoffman – protagonista di tanti capolavori, come “Lenny” dedicato al comico Lenny Bruce, “Il maratoneta” del bravo regista suo correligionario John Schlesinger e “Cane di paglia” o “Rainman” – è scoppiato a piangere riscoprendo la storia delle sua famiglia.
L’acclamato interprete californiano, 78 anni, con una trentina di film alle spalle, diversi Oscar e una carriera di successo continua a recitare e sta partecipando alla serie televisiva “Trova la tue radici” (Finding Roots) dedicata al background famigliare di famose star hollywoodiane. A dare la notizia il sito israeliano “Times of Israel” che si è soffermato sulla forte emozione provata da Hoffman quando per immedesimarsi nella fiction ha studiato la storia dei suoi antenati paterni concentrandosi sull’importanza della propria identità ebraica.
Com’è successo a molti ebrei ashkenaziti, Hoffman è di origini ebraiche rumene e ucraine e figlio di sopravvissuti alla Shoah e a varie persecuzioni. Per anni ha cercato di reprimere la propria ebraicità, assimilandosi con lo show business e il mondo del cinema. Sposatosi due volte, la prima con l’attrice Ann Byrne da cui ha avuto una figlia Jenna e con l’imprenditrice Lisa Gottsegen, Hoffman ha una storia famigliare molto tormentata. Perseguitati dai pogrom e dall’antisemitismo ucraino e romeno, che fu molto violento, Hoffman non conobbe mai suo nonno perché venne ucciso dai bolscevichi durante la Guerra Civile Sovietica.
Da parte materna, il nonno Frank ha rischiato la vita mentre cercò di salvare i suoi parenti dai massacri antiebraici. Fra le vicende famigliari del protagonista del “Laureato” dell’amico Mike Nichols, quella della moglie dello zio Sam Hoffman, che venne arrestata per aver cercato di corrompere un ufficiale russo e mandata in campo di concentramento sovietico.
Storie di gulag, di pogrom e di emigrazioni verso l’Argentina si nascondono dietro le spalle imperturbabili e riservate di Hoffman che è passato alla storia per personaggi indimenticabili e per quell’aria timida e tenace che l’ha sempre caratterizzato come interprete e a livello caratteriale. Pur essendo parte dello show business da più di cinquant’anni, è un uomo pieno di misteri e di complessità e della sua vita privata si sapeva molto poco.
A questo proposito Hoffman guardando le foto di sua nonna è crollato in una reazione emotiva inaspettata e ha definito sua nonna “un personaggio eroico” per la capacità di resistenza alle violenze antisemite subite da lei e dalla sua famiglia. Egli ha anche espresso un rimorso che solo adesso a quasi 80 anni, sta finalmente imparando la storia dei suoi parenti e le sue lacrime, ha spiegato, sono state causate non solo da un senso di tristezza ma anche dalla rabbia di essere stato privato di questa eredità per tutta la sua vita.
Quando gli è stato chiesto durante un’intervista al sito com’è stato tornare alle proprie radici ebraiche, Hoffman ha risposto “sono ebreo, mettetevelo bene in testa e non è come essere neri che è evidente. Quando sei ebreo è qualcosa che ti viene annunciato e io mi sento più vicino al microfono che me l’ha dichiarato”.