di Raffaele Turiel
Ho scritto qualche riga al rientro dal mio recente viaggio ad Auschwitz Birkenau, un viaggio della memoria per me particolare in quanto figlio di uno dei pochissimi membri della Comunità di Rodi sopravvissuti alla deportazione.
Due giorni sotto la pioggia ed il gelo ad ascoltare Marcello Pezzetti e le voci degli anziani sopravvissuti senza poter fare a meno di pensare alle migliaia di nostri fratelli in vestiti di tela e zoccoli di legno condannati a morte certa dalla scientifica programmazione nazista.
Mi si chiede cosa penso del dibattito in corso rispetto al significato del giorno della Memoria; esprimo, da non addetto ai lavori, alcune riflessioni rispetto alle quali ritengo di avere trovato una sorta di riscontro anche nell’ambito di questa mia recente esperienza.
Parto da una considerazione espressa da più voci, e ricordo quella del Presidente della CER, Riccardo Pacifici, rivolto alle scuole romane. Il Giorno della Memoria non è per noi ebrei, ma per coloro che ebrei non sono. Funziona questa formula nei riguardi del target di coloro che ci circondano? O siamo invece prigionieri della retorica che impedisce che un messaggio universale si diffonda realmente?
La mia conclusione è che funzioni. Nel corso del mio soggiorno in compagnia di scuole pubbliche e di autorità ho notato, una volta di più, come il bisogno di conoscere e l’acquisizione di consapevolezza riguardo all’Olocausto investa le coscienze di giovani ed adulti allo stesso modo.
Non dimentico che, per molti anni, lo studio delle vicende storiche nel tempo più vicine a noi, veniva in buona misura trascurato nelle scuole e che, nel dopoguerra, ci sono state generazioni che hanno concluso il programma delle superiori giungendo a coprire a malapena il secondo conflitto mondiale, certamente senza tempo per approfondire lo studio del più esteso genocidio di massa.
Erano gli anni, ante giorno della memoria, del ricordo intimo, delle cerimonie per pochi, dell’elaborazione del lutto da parte dei sopravvissuti alcuni dei quali, solo dopo anni, si convinsero della necessità di raccontare la propria esperienza. Sono anni che hanno lasciato una sorta di vuoto.
Quando ci poniamo, correttamente, in una prospettiva critica, a volte estremamente critica, rispetto alla “gestione” di questi temi probabilmente sottostimiamo l’effettivo livello di conoscenza dei nostri interlocutori. Così come accade per Israele, quando abbiamo la possibilità di introdurre le persone alla conoscenza dei fenomeni che ci coinvolgono, la risposta è straordinariamente positiva
Non sono le cerimonie pubbliche del 27 gennaio, ma l’indotto di iniziative generate a corollario di questa ricorrenza che le conferiscono valore. Mi riferisco ai progetti scolastici di ricerca dedicati, al numero di scuole italiane che visita i campi di sterminio, alla presenza ormai famigliare dei testimoni che diffondono tra i giovani gli anticorpi alla discriminzazione. Non c’è controprova, ma trovo difficile pensare che, in assenza di una bandierina nel giorno del calendario che segna la liberazione dei prigionieri di Auschwitz, ci troveremmo in un simile contesto di attenzione, comunicazione, dibattito.
E creatività che non ti aspetti. Come definire il sobrio documentario in bianco e nero realizzato dalla televisione commerciale per eccellenza, Sky, traendo spunto dal libro sull’allenatore Arpad Weisz deportato ad Auschwitz? Una efficace leva non convenzionale per relazionarsi con gli alunni, come attesta una maestra ringraziando l’autore del libro. Si sarebbe mossa Sky, se non motivata dalla volontà di offrire un proprio contributo giornalistico originale alla giornata del 27 gennaio?
Che le strade per accedere e confrontarsi con questo terribile abisso della storia moderna siano le più disparate, posso confermarlo ricordando un episodio il cui ricordo mi lega alla memoria di mio padre Boaz Z”L. Dovevo essere un adolescente assai fastidioso, con il vizio di continuare a chiedere dei campi di sterminio, dinanzi al quale mio padre mi suggerì, per soddisfare la mia curiosità, di leggere non già un trattato di storia, ma un romanzo, QBVII di Leon Uris. Un best seller degli anni ‘70 dell’autore di Exodus, difficile da reperire, che ho riacquistato on line per farne omaggio alla mia compagna di viaggio, Maria Chiara Carrozza, Ministro dell’ Università e della Ricerca e che consiglio a tutti i lettori del Bollettino.