di Paolo Castellano
Cosa contraddistingue l’identità di un ebreo quando egli subisce un esilio? Le risposte possono essere molteplici soprattutto parlando di Diaspora. Nonostante abbiano dovuto abbandonare in passato la loro sede d’origine, le comunità ebraiche sparse per tutto il mondo si sono arricchite culturalmente grazie ai Paesi in cui sono giunte, superando in parte il trauma dell’allontanamento dalla terra d’Israele. Ma è possibile individuare il nucleo di un’identità? Secondo il matematico ed esperto esegeta ebreo Haim Baharier l’identità ebraica risiede soprattutto nella lingua. Questo suo pensiero è stato elaborato il 10 settembre a Milano, presso la Sinagoga centrale di via Guastalla, dove egli ha tenuto una lezione dedicata al tema della Diaspora nell’ambito della Giornata Europea della cultura ebraica. Inoltre, come ha sottolineato Baharier, un appuntamento annuale dedicato ai temi ebraici è importante “affinché le comunità ebraiche provino a spiegare cosa significa essere ebreo oggi rispetto al passato”.
Haim Baharier nella sua lezione domenicale ha inizialmente citato il famosissimo passo biblico riferito alla torre di Babele, che è la prima testimonianza di diaspora: «L’esilio è stata la prima emergenza dell’ebreo. Il Testo infatti racconta la diaspora dalla terra di Babele. Il passo che voglio prendere in considerazione narra di una città e di una torre che in ebraico chiamiamo migdàl. La costruzione di questa torre inoltre evoca la dinamica di qualcosa che cresce e sembra sfuggire a qualsiasi controllo». Come riporta la tradizione esegetica ebraica l’innalzamento dell’edifico fu un affronto degli uomini a Dio poiché l’umanità voleva in qualche modo paragonarsi al divino. Baharier in seconda battuta si è soffermato sui primi versi del famoso episodio della Genesi: “Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole”.
Baharier ha illustrato all’attento pubblico le diverse interpretazioni dei maestri della tradizione ebraica. Egli ne ha infatti citate due: «Rabbi Eliezer sosteneva che al tempo si parlassero 70 lingue diverse, invece Rabbi Jochanan sosteneva che si parlasse un’unica lingua del mondo». Come ha spiegato ulteriormente Baharier, Rav Jochana avrebbe fatto riferimento alla lingua di santità, Lashon Hakodesh.«La lingua di santità è quella che unifica i valori e viene chiamata la lingua della creazione», ha puntualizzato Baharier. Secondo il celebre esegeta la caratteristica di un valore è quella di essere insuperabile: un vero valore non può cancellarsi e non può essere superato.
«La coesistenza ci dà un compito, abbiamo lo scopo di far coesistere tutti i valori anche se si escludono», ha argomentato Baharier. La lingua che parliamo ha dunque una funzione di controllo sul pensiero: «La torre di Babele allora è frutto di una mancanza di comunicazione tra l’uomo e il divino. L’umanità mise in atto un progetto folle che mirasse al cielo. Il vero miraggio però è un altro. Le città dovrebbero essere permeate da un’etica della condivisione allargandosi sempre di più. Quando invece si attua un restringimento, c’è una ribellione di popoli»
Haim Baharier ha terminato il suo intervento lanciando una provocazione sulla società di oggi criticando l’attuale lingua internazionale che dovrebbe mettere in comunicazione tutto il mondo: «La lingua del mondo non ha più il Lashon, la creatività. Oggi la comunicazione è una specie di treno, come l’inglese, tutti lo usano ma cosa significa questo inglese?». Baharier ha infine esclamato: « Per gli ebrei è vivente colui che parla. Siamo difronte a una questione di responsabilità ed etica. Dobbiamo tener presente che il pensiero è irresponsabile mentre la parola evoca la responsabilità».