Ebrei in Asia

di Ilaria Myr

Non se ne sa molto, e quel poco che si sa sembra essere sempre ammantato di un’aurea di leggenda: ma la presenza di Ebrei in Asia nei secoli è in realtà una pagina di storia poco conosciuta, che risale ad epoche lontane, e di cui oggi rimane solo qualche resto. Proprio per fare luce su questo mondo ebraico, quasi sepolto dalla Storia, si è tenuto a Milano il 3 giugno un convegno intitolato “Antiche e nuove vie della seta. Ebrei in Asia”.Organizzato dall’Accademia Ambrosiana e dall’Associazione Italia-Israele, in collaborazione con Fondazione Italia Cina, istituto Italo-Cinese Vittorino Colombo, con il patrocinio del Cdec, l’appuntamento ha visto l’intervento di esperti della materia e dei luoghi. che hanno ripercorso le strade degli ebrei in India, Cina, Afghanistan e in Asia centrale, all’epoca delle deportazioni staliniste.

Ebrei in India

Dell’India ha parlato Gabriella Steindler Moscati, analizzando i tre diversi gruppi ebraici presenti nel Paese nell’epoca pre-indipendenza: quello di Cochin, presente forse già nel 1° millennio nella penisola, quello di Bnè Israel, sulla costa occidentale, e quello dei baghdadi, stanziatosi principalmente nelle città di Bombay e Calcutta. “Si tratta di gruppi molto diversi fra loro negli usi e costumi – ha spiegato la studiosa -. In particolare, i Baghdadi sono i più occidentalizzati, mentre quelli di Cochin, salvaguardando la fede ebraica avevano elaborato un sincretismo religioso per inserirsi meglio nel contesto indiano. Sicuramente il commercio delle spezie ha portato molti mercanti e viaggiatori a venire in India fra il XVII e il XVIII secolo. Con la costituzione, poi della Compagnia delle Indie orientali, nel 1750, si consolidano le due comunità di Cochin e Benè Israel”. L’arrivo dei Baghdadi avviene proprio in quest’epoca e quella successiva, agevolato dal clima di Pax voluto dalla Gran Bretagna (Pax Britannica). Fuggiti in India dalla zona della Persia e della Siria a causa delle persecuzioni islamiche, i baghdadi cominciano ad avere un ruolo importante nella società indiana: costruiscono anche maestose sinagoghe lungo rotta delle Indie, e in particolare a Bombay e Calcutta, dove nasce ufficialmente la comunità ebraica. Ma con tutta probabilità si spinsero anche in Birmania e Shanghai, dove tutt’oggi esistono delle tracce del loro passaggio. “I Baghdadi si impiegarono nella vasta rete dell’amministrazione britannica. Avevano un alto tenore di vita dall’impostazione occidentale, e davano enorme spazio anche alle donne, molte delle quali erano avvocati e medici. Subivano l’influsso della cultura dominante anglosassone anche nel contesto scolastico, dove studiavano in inglese”. Nel tempo, nelle grandi città arrivano anche gli altri ebrei di Benè Israel e Cochin, andando ad ampliare la popolazione ebraica.

La situazione cambia nel XXI secolo con la questione dell’indipendenza e l’intensificarsi della lotta con i musulmani – siamo negli anni ’40 – , che porterà poi alla fondazione del Pakistan. In questi anni la comunità comincia a temere per la propria incolumità: si rende infatti conto che la potenza coloniale britannica fino ad allora aveva protetto i suoi interessi, ma con la caduta del regime coloniale cosa sarebbe accaduto? “La situazione macroscopica di disagio si segue attraverso il bollettino della comunità di Calcutta, Shemà – continua Steindler -, in cui compaiono molti appelli spaventati. In particolare nel 1947, con il degenerare della situazione politica in Bengala, che portò a scioperi e atrocità, la comunità comincia a chiedersi se non sia il caso di chiedere al governo britannico lo status di minoranza, in modo da avere una rappresentanza in sede governativa, che possa tutelarne i diritti”. Intanto, arrivano in India anche gli ebrei che vivevano nella zona entrata a far parte del neo-costituito Pakistan. Una volta costituiti lo Stato di Israele e quello indiano, molti ebrei, grazie anche al sostegno del nuovo primo ministro Nehru, riescono ad arrivare sani e salvi in Eretz Israel.

Ebrei in Cina

La situazione degli ebrei in Cina è assai diversa. “Notizie di ebrei in Cina si hanno già a partire dall’VIII secolo – ha spiegato Monsignor Pierfrancesco Fumagalli, vice prefetto e dottore della Biblioteca Ambrosiana, direttore della classe di studi dell’Estremo Oriente dell’Accademia -.E’ soprattutto con la nascita dell’Islam che molti ebrei provenienti dalla Persia si stabiliscono qui, in particolare a Kaifeng (regione dell’Hennan), dove nel 1163 viene costruita la prima sinagoga: anche per questo Kaifeng è considerata la Gerusalemme della Cina”. Notizie sull’ebraismo in Cina si hanno anche dal Milione di Marco Polo, che racconta come alla corte dell’imperatore ci fossero buddisti, cristiani, musulmani ed ebrei. “Questa convivenza rientra nella concezione cinese di allora delle religioni, considerate come le dita di una mano: possono esistere, finché obbediscono alla mano, cioè alle norme dell’Impero. Oggi lo stesso vale con il regime comunista: le religioni sono tollerate finché non vanno contro il partito”.

Tutt’oggi ci sono ancora presenze di alcune famiglie ebraiche, a cui un imperatore Ming aveva dato dei soprannomi particolari: Ai, Shi (equivalente dell’inglese ‘Stone’), Gao, Jin (‘Gold’), Li, Zhang, e Zhao. Anche a Garbin, nella Manciuria settentrionale, si ha una comunità ebraica, che verso la fine del 1800 e all’inizio del 1900 diventa il centro politico, economico e culturale più grande e importante per la popolazione ebraica della regione (vedi anche Bollettino giugno 2013, pag. 4).

La mancanza però di continuità di rapporti fra le comunità cinesi e gli ebrei di regioni occidentali ha lentamente portato al declino dell’ebraismo cinese autoctono.

Nel XX secolo, con l’avvento della Repubblica popolare, le religioni subiscono un trattamento molto limitato: solo cinque sono ufficialmente ammesse, e fra queste non c’è l’ebraismo. Durante la guerra, arrivano molti stranieri fuggiti dall’Europa: esemplare è il caso dei 15.000 ebrei salvati a Shanghai, a cui è dedicato il Museo ebraico di Shanghai, tutt’oggi visitabile. Ma non mancano anche molti rifugiati provenienti dall’Urss. E’ in questi anni che molti missionari, desiderosi di ricostruire i rituali ebraici in Cina, riescono a portare al sicuro molti oggetti di valore.

“Oggi, al di là dei molti stranieri ebrei che vivono in Cina per lavoro, non esiste una comunità ebraica legata a quella originari – commenta Mons. Fumagalli -. nella società, però c’è molto interesse nei confronti dell’ebraismo, e non mancano i rapporti accademici fra Israele e le università cinesi (i rapporti diplomatici fra i due Stati sono iniziati solo nel 1992, ndr). Ci sono però sempre più casi di giovani che risalendo alle proprie origini ebraiche decidono di emigrare in Israele, alla riscoperta delle proprie radici”.

La ‘Ghenizah afgana’

Notizie interessanti sull’ebraismo vengono anche dall’Afghanistan. Di recente infatti sono stai trovati, probabilmente in una grotta del nord del paese, circa 200 documenti risalenti al X-XI secolo (Ghenizah significa “archivio”), che danno molte informazioni sulla presenza ebraica all’epoca nella regione di Khorasan.”Di tratta di documenti di vario tipo – ha spiegato Ophir Haim, che sta studiando il nuovo materiale per il dottorato a Gerusalemme -: documenti legali, lettere, registrazioni finanziarie, poesie, traduzioni bibliche e commenti. Le lingue utilizzate sono molte: ebraico, aramaico, arabico, giudeo-arabico, persiano”.

Fra questi, vi è il Trattato di Avodà Zarà della Mishnà. Alcuni testi di Saadia Gaon (882-942), la traduzione del Libro di Geremia in antico giudeo-persiano e lavori di letteratura caraita.

Interessante, poi, è notare come in alcuni documenti si parli di un certo Abu Nasser, che in realtà in altre carte è menzionato come Abu Yehudà. “Questo forse significa che gli ebrei all’epoca usavano nomi diversi con i vicini musulmani – ha spiegato Chaim -. Sono documenti preziosi, che raccontano la vita ebraica di allora in quei luoghi. E non è escluso che ce ne siano molti altri nelle caverne sparse fra le montagne”.

Le deportazioni ebraiche durante Stalin

Infine, l’ultima importante testimonianza diretta è stata quella di Mons. Edoardo Canetta, che ha parlato della storia degli ebrei deportati in Asia Centrale (Kazakistan) da Stalin.

“Fino a prima della rivoluzione bolscevica vivevano, nella zona che poi sarebbe diventata sovietica (escluse però le Rep. Baltiche) circa 5,5 milioni di ebrei – ha spiegato – il 97% dei quali parlava principalmente yddish. Con la rivoluzione molti ebrei aderiscono alla frangia dei menscevichi; in generale però, l’avversione nei confronti della religione si riflette anche sugli ebrei. Già nel 1918 la separazione della Chiesa dallo Stato e dalla scuola porta alla chiusura di molte scuole ebraiche, che hanno un ruolo importante di conservazione della lingua e della cultura.

Una volta Stalin al potere, la strategia diventa chiaramente quella di far diventare l’ebraismo non più una religione, ma un’etnia integrata nel sistema sovietico. Con il periodo delle Grandi purghe, che colpì soprattutto gli intellettuali, furono moltissimi gli ebrei – artisti, poeto, scrittori,letterati, musicisti, ecc.. – a finire nei campi sovietici. Ma questa sorte non toccò solo le donne. Canetta ha infatti scoperto che nel campo di lavoro di Alzhir, destinato alle donne dei “nemici del popolo” (fra cui ad esempio la moglie del dissidente Nikholai Bukharin) il 17% era costituito da ebree. Oggi il campo (Alzhir è l’acronimo russo di ‘Campo di Akmola per le mogli de traditori della patria) ospita un museo in cui Canetta ha potuto esaminare oltre 2 milioni di schede delle detenute, scoprendo che le ebree erano spesso delle letterate e donne di grande cultura. Studiando anche i campi vicini, lo studioso ha anche scoperto che invece in un altro lager c’erano autorità di tutte le religioni – ortodosse, cattolici, ecc.. – ma non rabbini. “Con rammarico ho però notato che quello che ho scoperto non interessa molto alle comunità ebraiche locali – ha spiegato – ma è invece arrivato il momento di riappropriarsi della propria storia ignorata fino a oggi”.