di Francesco Cappellani
È uscito nel 2016, nelle meritevoli ed attente “Edizioni Via del Vento” di Pistoia, uno striminzito libretto di Else Kotànyi Jerusalem dal titolo “Liberazione e altre prose inedite”. Claudia Ciardi, traduttrice dal tedesco e curatrice del testo, scrive nella postfazione che le prose pubblicate sono le prime di questa autrice mai apparse in Italia. Eppure oltre un secolo fa, nel 1909, la Jerusalem aveva pubblicato a Vienna, presso il noto editore Samuel Fischer, un romanzo dal titolo “Lo scarabeo sacro” che ebbe un impatto enorme sull’opinione pubblica della capitale dell’impero austro-ungarico al punto che fino al 1926 si contarono ben 40 ristampe.
La scrittura al servizio della difesa dei diritti delle donne
Else Kotànyi nasce a Vienna nel 1876 terza di sei figli di un ricco commerciante di vini ungherese di origine ebraica. Studia per quattro anni filosofia all’Università senza però sostenere esami e laurearsi essendo a quel tempo vietata alle donne questa possibilità. Nel 1901 sposa nella Sinagoga di Vienna Alfred Jerusalem.
Inizia a pubblicare alcuni racconti ed in particolare un saggio centrato sull’educazione al matrimonio. Da qui inizia il suo coraggioso percorso in difesa del rispetto e dei diritti della donna tenendo conferenze e scrivendo articoli su questo tema allora assai poco considerato se non addirittura ignorato. Si unisce all’eterogeneo gruppo della Jung-Wien fondato nel 1891 e gestito dall’intraprendente critico letterario Hermann Bahr, a cui appartenevano, anche se in ordine sparso, molti di quegli intellettuali che caratterizzeranno l’incredibile “esplosione d’intelligenza” della Vienna degli inizi del secolo scorso. L’organo ufficiale del movimento era il settimanale Die Zeit diretto da Bahr. Il Café Griensteidl era il punto d’incontro degli artisti tra i quali scrittori come Hugo von Hofmannstahl, Arthur Schnitzler, Stefan Zweig e, per pochi anni, anche il saggista ed implacabile polemista Karl Kraus.
L’intento della Jung-Wien era quello di abbandonare il naturalismo ottocentesco volgendosi ad un modernismo che sfocerà nella straordinaria esperienza della Secessione, con pittori come Gustav Klimt, Egon Schiele e Oscar Kokoschka ed architetti come Otto Wagner, Joseph Maria Olbricht ed Adolf Loos. Jung-Wien tendeva a sfidare il moralismo ipocrita e formale del tempo in favore di un’apertura verso i problemi socio-psicologici e sessuali che Freud aveva disvelato, con una grande attenzione sia alla letteratura straniera che verso alcuni giovani autori come Robert Musil e Joseph Roth e, in campo musicale, Arnold Schoenberg.
Tuttavia molti segnali portano a presagire il crollo dell’impero, come l’ondata montante dei nazionalismi da una lato ed il totale immobilismo della classe politica asburgica tesa solo a mantenere lo “status quo “ come unica terapia per evitare la dissoluzione dell’impero.
La “Finis Austriae” non viene avvertita, la vita a Vienna è piacevole e garbata, così Stefan Zweig la ricorda nel libro “Il mondo di ieri”: “Non fu un secolo di passione quello in cui nacqui e fui educato. Era un mondo ordinato, con chiare stratificazioni e comodi passaggi, era un mondo senza fretta…….Il tempo e l’età avevano altre misure. Si viveva più comodamente”.
La realtà però è più complessa, si va sviluppando il razzismo antisemita rappresentato dal sindaco di Vienna Karl Lueger che afferma che è lui a decidere chi è ebreo, veicolando messaggi assorbiti entusiasticamente dal giovane Adolf Hitler, ma soprattutto c’è un sottoproletariato in continuo aumento che vive in una condizione sempre più miserevole e senza alcuna possibilità di riscatto.
La prostituzione, un problema sociale dell’epoca
Su questi temi, ma in particolare sulla condizione delle prostitute si inserisce il romanzo di Else Jerusalem “Der Heilige Skarabäus” (lo scarabeo sacro), ambientato in una casa di tolleranza, la Rothaus, che racconta con spietata lucidità il falso perbenismo e la doppia morale della buona società viennese che fingeva di non vedere la vera situazione in cui versavano le ospiti delle “case di piacere”. La descrizione realistica degli abusi continui, delle perversità, e delle miserabili condizioni in cui queste donne, spesso adolescenti, vivevano in stato di semi-schiavitù senza alcuna sicurezza sociale, decimate da infezioni e da malattie veneree, con una elevata casistica di suicidi, mettono per la prima volta prepotentemente in evidenza il lato oscuro della sfavillante società viennese. In quegli anni, su una popolazione di circa 1.700.000 abitanti, si contavano oltre 50.000 prostitute.
La Jerusalem fu la prima ed unica donna che ebbe il coraggio di presentare alla società borghese e benestante viennese, che frequentava assiduamente le “case di piacere”, quale fosse la realtà dello sfruttamento e del commercio della prostituzione agli inizi del novecento nella civilissima Vienna.
La scrittrice aveva maturato una conoscenza approfondita sulle condizioni di vita delle donne nei bordelli, avendo seguito, come rappresentante della Lega delle Donne contro la Tratta di Esseri Umani, il processo iniziato nel novembre del 1906 a carico di Regine Riehl che gestiva una “casa” con oltre venti prostitute tenute in stato di cattività, trattate come schiave e frustate a sangue per ogni minima ribellione, grazie alla tacita connivenza di funzionari corrotti della polizia.
La prostituzione, nel romanzo della Jerusalem, appare un fenomeno insito nella società borghese di cui costituisce una parte integrante pur rimanendo accuratamente nascosta nella produzione letteraria austriaca di quegli anni. Un fenomeno che l’autrice riconduce a quella che chiama “Tyranney des Gedankens” (tirannia del pensiero) che da sempre ha obbligato la donna ad “occupare un posto scelto da altri, che possono spostarla a proprio piacimento. La donna è ora abituata a questa condizione di passività: lei è “gewöhnt zu warten, gewählt zu werden” (“abituata ad aspettare di essere scelta”). A causa di questa abitudine, imposta fin dalla tenera età, la donna è rimasta in una condizione di subordinazione – o condizione di Unding, “non cosa” – nonostante si fosse diffusa l’idea che anche le donne dovessero essere incluse in ambiti della società prima preclusi, come gli studi universitari” (1).
Else smaschera i vizi e la sfrenatezza della borghesia austriaca; nelle parole della Ciardi “ne viene fuori un Paese corrotto che si nasconde perfino a se stesso e perciò incapace di ascoltare i primi preoccupanti scricchiolii della propria architettura politica”. Naturalmente il libro percuote come un colpo di maglio la Vienna edonista ed estetizzante di inizio secolo, viene subito tacciato di immoralità e la società patriarcale viennese parla di scandalo in quanto scritto da una donna, ma la gente lo legge avidamente e diventa un bestseller; verrà tradotto in inglese solo nel 1932 col titolo “The red house” diventando presto introvabile malgrado la guardinga presentazione dello Spectator del 23.09.1932 che recita: “Readers who can stomach the subject of this novel will find it exceedingly well done. Those who cannot (the theme is prostitution) are advised to leave it alone”.
Sarà l’unico romanzo scritto da Else, che, dopo il divorzio dal primo marito, si risposerà nel 1911 con un affermato embriologo polacco. Si trasferiranno in Argentina dove il marito ottiene una cattedra all’Università di Buenos Aires e diverrà in seguito direttore dello zoo. Anche questo matrimonio non dura a lungo.
Else rientra in Europa nel 1925; in occasione della traversata dell’Atlantico sulla nave “Cap Polonio”, incontra Albert Einstein con cui discute lungamente sui concetti della teoria della relatività. Nel 1928 entra a far parte della Lega Mondiale per la Riforma Sessuale e si reca Berlino per collaborare alla riduzione cinematografica del suo romanzo che sarà presentato sugli schermi, dopo vari tagli della censura, col titolo “Die Rothausgasse” (Il vicolo della casa rossa) diretto dal regista Richard Oswald. Scrive in seguito vari altri saggi e racconti e nel 1929 un dramma dal titolo “Lapidazione a Sakya”.
Negli anni trenta il suo romanzo viene sequestrato dalla polizia nazista, tolto dalla circolazione in quanto appartenente alla letteratura “nociva ed indesiderabile”, e poi bruciato nell’ambito della distruzione dell’arte “degenerata” voluta dal ministro per la propaganda Joseph Goebbels.
Else si interessa a problemi di filosofia e psicologia, di disagio sociale della società femminile, e nel 1939 scrive per l’editore Oprecht di Zurigo il suo ultimo saggio dal titolo “La trinità delle forze umane”.
Morirà a Buenos Aires nel 1943 completamente ignorata dal mondo letterario al punto che il suo romanzo, dopo il 1945, sarà totalmente dimenticato.
Solo in tempi recenti, a seguito di alcuni studi sulla letteratura femminile del novecento, è stato riscoperto il suo testo e nel 2016 l’editore Albert Eibl della DVB-Verlag (Das Vergessene Buch) di Vienna, lo ha ripubblicato con un’ampia introduzione della germanista e psicoterapeuta Brigitte Spreitzer, cui si deve un profondo e scrupoloso lavoro di ricerca sulla vita e le opere di Else Jerusalem altrimenti sconosciute o cadute nell’oblio.
(1) Silvia Girotto: “Sessualità e morale: le contraddizioni della Vienna di inizio Novecento”. https://www.andergraundrivista.com/tag/else-jerusalem/