Emancipazione e istruzione: le donne ebree fra il XIX e il XX secolo. Un convegno

Personaggi e Storie

di Marina Gersony
Giovedì 3 novembre si è svolto il seminario internazionale Emancipazione e istruzione. Donne ebree a cavallo tra XIX e XX secolo (Empowerment and Education. Jewish women at the turn of the nineteenth-twentieth century) a Palazzo Morando, nel cuore di Milano. Dedicato alla memoria della Professoressa Anna Maria Finoli – esimia studiosa di Letteratura francese, donna di grande sensibilità e apertura su tutti i temi sociali – l’evento è stato organizzato dall’Associazione Italiana Amici dell’Università di Grusalemme (AUG) e Il Nuovo Convegno, circolo ebraico milanese di cultura, in collaborazione con la Presidenza della Commissione Pari Opportunità e Diritti Civili del Consiglio Comunale di Milano.

Ha introdotto il seminario Elisa Bianchi, Presidente dell’Associazione Amici dell’Università di Gerusalemme, che ha illustrato lo svolgimento della giornata incentrata su temi riguardanti le attività di donne ebree italiane del XX secolo nell’educazione in ambito scolastico, nella fondazione di biblioteche pubbliche, nell’educazione in campo agrario, nell’emancipazione, nel mondo del sindacato operaio; donne protagoniste, molte dele quali impegnate anche su Milano, che proprio in quanto donne sono state poco o per nulla considerate sia dalla società che dall’accademia.

Parole di benvenuto sentite e partecipate di Diana De Marchi, Presidente della Commissione Pari Opportunità e Diritti Civili, Consiglio Comunale di Milano in apertura dei lavori: «Sono orgogliosa di aver promosso la giornata di approfondimento sulla storia delle donne ebree in Italia, donne coraggiose che hanno lavorato per favorire attraverso l’educazione e l’istruzione, l’emancipazione femminile e il loro riscatto sociale per diventare cittadine protagoniste. L’educazione e l’istruzione ha proseguito la Consigliera serve a scoprire il proprio talento, costruire il proprio futuro e abbattere gli ostacoli alla parità. L’impegno delle donne raccontate nel corso di questo seminario sottolinea il valore sociale dell’istruzione per ridare dignità ai lavori delle donne e tutelare gli anelli deboli della società. Donne determinate, tenaci, con una visione verso il futuro aperta ad accogliere nuove esperienze, a sperimentare. Donne filantrope che non donavano soldi ma lavoro. Queste donne testimoniano la capacità di elaborazione innovativa, dell’andare verso gli altri, verso il futuro per includere in modo attivo favorendo l’espressione dei talenti di tutte e di tutti e la condivisione. La trasformazione del modello sociale ed economico attuale deve tenere conto delle conquiste delle donne, delle loro competenze troppo a lungo sottovalutate. Un concetto attuale oggi più che mai in una società complessa come la nostra».

«Il seminario si è avvalso da studiose e studiosi italiani e israeliani attivi in ambiti di sociologia, pedagogia, linguistica, pubblicistica, sindacalismo e storia contemporanea che hanno affrontato vari temi con diverse prospettive», ha ribadito a sua volta Lydia Cevidalli, Consigliera dell’Associazione Amici dell’Università di Gerusalemme. E sono una decina gli interventi dei relatori di cui riportiamo gli abstract di seguito.

Militanti della cultura: donne ebree in Italia nel XIX e XX secolo.

Monica Miniati, storica, già Università di Paris III, Paris XII, École des Hautes Études en Sciences Sociales, ha parlato di “donne del libro” che non sono soltanto quelle insegne figure femminili di cui la Bibbia narra le vicende, bensì anche quelle ebree che a lunghissima distanza di tempo, animate da un profondo patriottismo e da un’incrollabile fede nel potere salvifico della cultura, hanno operato con determinazione per trasformare il sapere da privilegio in un diritto e una ricchezza che, se condivisi in particolare dalle donne ma non solo, avrebbero avuto importanti ricadute sul processo di costruzione e di modernizzazione dell’intero contesto nazionale.  Già all’inizio degli anni Settanta dell’Ottocento, infatti, le donne ebree sono tra le prime ad esprimersi per affermare il diritto delle donne a un’istruzione all’altezza del loro ruolo di madri di futuri cittadini del nascente Stato Italiano. Alle soglie del Novecento, sono tutt’altro che un esiguo numero coloro che oltrepassano i confini delimitati dalle mura domestiche, nella loro veste di insegnanti, scrittrici, filantrope, assumono il ruolo di “madri sociali”, impegnate in una vera e propria militanza per la causa dell’educazione e dell’istruzione del popolo e in particolare dei bambini, i futuri cittadini, e delle donne, il cui diritto di cittadinanza era ancora tutto da conquistare e da costruire

 

Il ruolo delle donne ebree nel rinnovamento pedagogico dell’inizio del Novecento: la sperimentazione educativa di Aurelia Josz

Gabriella Seveso, Storia della Pedagogia, Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione, Università degli Studi di Milano-Bicocca.

Dalla fine del XIX secolo e poi nei primi decenni del XX secolo, a Milano si è acceso il clima di fervore ed innovazione in campo educativo e formativo: questa situazione era connessa con le riflessioni e con l’esperienza che negli stessi anni emergevano in Europa negli Stati Uniti, e risentiva di una particolare vivacità cittadina sui temi della riforma della scuola e dei curricoli, della formazione, dei metodi educativi. Alla vitalità culturale del capoluogo lombardo contribuì in maniera consistente la comunità ebraica milanese. In questo clima così intenso, alcune donne ebree presero parte in modo vivace al rinnovamento educativo e alla riflessione pedagogica, svolgendo il ruolo di sovvenzionatrici, promotrici, sostenitrici, nei confronti di iniziative educative, e fondando vere e proprie sperimentazioni e dando vita a una fitta rete di relazioni assai significativa nel favorire il confronto tra nuovi modelli educativi e la diffusione di idee in linea con le spinte innovatrici delle scuole nuove e delle scuole attive che stavano animando la scena occidentale. In questa cornice appare interessante e non sufficientemente valorizzata la sperimentazione ideata da Aurelia Josz, insegnante, formatrice e scrittrice, che, a partire dal 1902, diede vita alla prima scuola pratica agraria femminile con la finalità di offrire un percorso formativo alle ragazze dai 13 ai 15 anni che intendessero trovare una collocazione professionale nell’ambito dell’agricoltura, dell’allevamento, della floricoltura, del giardinaggio. La sperimentazione si poneva in continuità con modelli europei ben conosciuti dall’autrice e con le suggestioni delle scuole nuove in merito alle metodologie adottate, focalizzate sulla concretezza, sulla spontaneità dell’apprendimento, sulle attività laboratoriali e sui lavori di gruppo. La proposta di Josz risentiva evidentemente di molteplici stimoli e della fitta rete di relazioni femminili: il legame con Alice Franchetti e la Montesca è attestato da alcuni documenti, così come ipotizzabile una conoscenza del pensiero di Tolstoj e della sua scuola di Jasnaja Poljana. L’esito di queste suggestioni porta Aurelia Josz a mettere in atto una proposta ovviamente innovativa quanto curricolo, metodologia, progettazione di spazi e materiali.

Donne ebree filantrope in Italia e la rivitalizzazione di industria tessile.

Luisa Levi D’Ancona Visiting Fellow European Forum University of Jerusalem; Associate member Faculty of History Oxford University.

Nell’arcipelago delle forme di integrazione ebraica dell’Italia liberale, la filantropia assume un ruolo particolarmente importante delle donne ebree: nell’agire filantropico, dentro e soprattutto fuori dalle comunità ebraiche, esse trovano un legittimo spazio di manovra, contatti con altre donne similmente orientate e un’opportunità per avere un impatto sulla società circostante. Tra i vari settori in cui si specializzano (educazione, mestieri e agricoltura, lotta alla prostituzione), merita attenzione il ruolo di alcune filantrope ebree nel mondo dell’imprenditoria tessile. In particolare, si concentra sull’opera di Alice Hallgarten Franchetti a Città di Castello, Virginia Mieli Nathan all’Antonella vicino a Firenze e Isabella Goldschmidt Errera tra Firenze e Bruxelles nel creare laboratori tessili femminili, rivalutando antiche tradizioni tessili locali e l’aspetto più propriamente artistico, preoccupandosi al contempo di esportare e far conoscere i lavori prodotti a livello locale nazionale e transnazionale. Non si tratta dunque solo di dare alle donne povere intorno a loro, ma di filantropia nel senso moderno di “empowerement” e impatto a lungo termine

 

Clara Archivolti Cavalieri, fondatrice delle bibliotechine scolastiche.

Mirella D’Ascenzo, Dipartimento di Scienze dell’Educazione, Università di Bologna.

Clara Archivolti (1853-1945) è stata una protagonista nella diffusione della cultura popolare e della lettura nelle scuole elementari nella prima metà del Novecento in Italia. Dopo il matrimonio con il ricchissimo bibliofilo Giuseppe Cavalieri, costituì a Ferrara il Comitato delle “Bibliotechine delle scuole elementari del Regno”, iniziativa che intendeva promuovere la nascita di biblioteche nelle scuole e nelle classi elementari, sotto l’alto patronato della Regina Elena. Nel 1907 spostò le attività nella città di Bologna, che divenne sede del Comitato centrale, grazie alla collaborazione del Comune e delle personalità delle culture locali, che contribuirono al successo dell’iniziativa, con la relazione di un primo Catalogo sistematico (1906), l’avvio di un “Bullettino delle biblioteche scolastiche italiane” (1911) e la trasformazione in “Associazione nazionale per le biblioteche delle scuole elementari (1916). Nel primo dopoguerra, tuttavia, l’iniziativa cominciò a perdere vigore, sia per ragioni familiari sia per il contesto politico generale, tanto che nel 1929 fu assorbita nell’“Associazione nazionale fascista per le biblioteche delle scuole italiane” e nel 1932 nell’“Ente Nazionale delle biblioteche popolari scolastiche”, nel quadro della fascistizzazione della scuola e della società.

 Paola Carrara Lombroso e la sua opera di educatrice e scrittrice per l’infanzia.

Sabrina Fava, Storia della Pedagogia e letteratura per l’infanzia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano.

Paola Carrara Lombroso (1871-1954) è stata un’intellettuale italiana di rilievo che dedicò tutta la propria esistenza alla scrittura, al giornalismo per ragazzi e all’ambito educativo in genere. La sua idea di educazione derivava in particolare dalla sintesi tra identità ebraica, ricerca in campo psicologico e dal movimento di pensiero generato in campo educativo dagli studi di Ellen Key. Al principio del Novecento, nel 1909 sul Corriere dei Piccoli (1908-1995), il più importante settimanale per ragazzine nell’Italia di quegli anni, Paola Carrara Lombroso (con lo pseudonimo di Zia Mariù), inizio a dare vita al progetto delle “Bibliotechine per le scuole rurali”.  I bambini della borghesia raccoglievano opere letterarie di qualità per mezzo del loro operato. Infatti, coloravano cartoline illustrate, le vendevano e con il denaro ricavato acquistavano racconti da destinare alle scuole di campagna. Questo progetto si sviluppò tra il 1909 e il 1954 e consente di ricostruire il percorso di crescita di alcuni bambini nel corso del Novecento e di incontrarli, una volta diventati adulti, come intellettuali e politici tra Fascismo e Repubblica.

Emancipazione e riscatto sociale: Rina Melli pubblica Eva.

Susanna Garruti, pubblicista e ricercatrice.

Nel 1901 nasce a Ferrara Eva il primo giornale di propaganda socialista pensato esclusivamente per le donne. A dirigerlo è Rina Melli, giovanissima attivista del Partito Socialista che lo sovvenziona, lo scrive quasi interamente e ne cura la pubblicazione. Nata in una famiglia della borghesia ebraica di Ferrara, abbandona il tetto paterno per unirsi con matrimonio civile a Paolo Maranini, giornalista e dirigente del Partito Socialista ferrarese. Propagandista instancabile, fondatrice di leghe braccianti negli anni degli scioperi agrari tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, Eva diventa lo strumento che affianca un’intensa attività politica di Rina Melli, un giornale che parla alle donne del popolo, una pubblicazione speciale, come lei stessa lo definisce, un periodico per l’emancipazione ed il riscatto sociale delle donne.  Tema portante è il lavoro delle sue diverse articolazioni, al centro vi sono le lavoratrici assoggettate a sfruttamento e disparità, l’impianto editoriale è improntato all’educazione per renderle consapevoli della propria condizione, della necessità di organizzarsi collettivamente e di abbracciare la fede socialista. La cifra stilistica comunicativa in Eva e prosaica e liturgica con l’utilizzo della parabola, del dialogo e del racconto, in una costante opera di proselitismo di marcato tratto anticlericale. Parimenti il periodico affronta i temi della dialettica emancipazionista del diritto al voto di divorzio, ruolo della donna nella famiglia e nella società, alla maternità e alla cura dei figli con decisa impronta educativa, un reiterato accorato invito alla libera scelta e al protagonismo femminile. Trasferita la redazione a Genova, Eva termina la pubblicazione nel 1903. Rina Melli prosegue la sua attività politica e di giornalista collaborando con diversi periodici, tre quali Il Popolo diretta da Cesare Battisti e la Difesa delle Lavoratrici che annovera Anna Kuliscioff tra le fondatrici.

Olga Lombroso Fiorentino; una maestra di agraria nella Milano del primo Novecento.

Marco Fiorentino, esperto di comunicazione aziendale e ricercatore di storie ebraiche italiane.

Olga Lombroso Fiorentino si può inserire, pur senza una visibilità pubblica evidente né voluta e un impegno politico diretto, semplicemente con il suo lavoro e il suo esempio, in quel gruppo di donne che a Milano, tra fine Ottocento e i primi trent’anni del Novecento, incisero in maniera significativa sull’evoluzione politica e sociale italiana, quali Anna Kuliscioff, Alessandrina Ravizza, Ersilia Majno… La vita di Olga si sviluppa attraversando tanti momenti del Secolo breve: arrivata ragazzina da Verona in una Milano ricca di fermenti, sotto la guida di Aurelia Josz diviene una “maestra di agraria” innovativa e appassionata, prima nelle campagne lavorando alle Cattedra Ambulanti di Agricoltura, poi nelle istituzioni pedagogiche milanesi più avanzate dell’epoca: la Scuola Rinnovata della Ghisolfa di Giuseppe Pizzigoni, la Scuola all’Aperto Umberto di Savoia al Parco Trotter, la Scuola per “Anormali” Zaccaria Treves. Giovane vedova insegna alla scuola ebraica di Milano nel periodo eroico del ‘43. Ha saputo guidare con polso fermo la famiglia nel tragico periodo della persecuzione antiebraica nella rocambolesca fuga in Svizzera. Dopo la guerra ha ripreso con la solita passione e generosità la sua attività di insegnante sino al ritiro a Ivrea tra il suo orto e gli affetti familiari. La sua storia è stata studiata attraverso fotografie, memorie e documenti che provengono dagli archivi familiari e da quelli delle istituzioni che ne hanno visto svolgere l’attività, tra gli altri archivi della Società Umanitaria di Milano e della Casa del Sole al Trotter. La sua figura è stata ricordata in occasione del centenario della fondazione della Scuola all’Aperto Casa del Sole al Trotter dove ha insegnato Agrarie ed Economia domestica, dal 1922, data di fondazione, fino al 1952; a lei si deve la creazione dell’Azienda Agricola della Scuola.

 Anna Kuliscioff: coraggio e forza esemplari

Marina Cattaneo, Vicepresidente Fondazione Anna Kuliscioff.

Anna Rozenstejin, Anna Kuliscioff, da Zurigo dove si iscrive a Filosofia, scelta coraggiosa e impegnativa per una giovane diciottenne, fuori dagli schemi, e favorita dall’educazione in una famiglia liberale e benestante, di origine ebree, alla laurea in Medicina, al diventare “la dottora dei poveri”. L’incontro con Andrea Costa, i primi arresti e i soggiorni in carcere in cui contrae la malattia che la affliggerà tutta la vita. L’unione turbolenta con Costa, la nascita della figlia, l’insofferenza di Anna per una relazione non paritaria. La separazione da Andrea, il suo spirito libero, il ritorno all’Università con la scelta di Medicina, il cammino per ottenere la laurea, l’andare sempre avanti. L’incontro con Filippo Turati, il loro sodalizio (il Carteggio). Le battaglie per l’emancipazione della donna (“Monopolio dell’uomo”) e per il voto alle donne (“Polemica in famiglia”). La difesa delle lavoratrici il suo giornale. La capacità di Anna di analizzare i fenomeni politici e sociali, la perspicacia nel prevedere i loro sviluppi (Prima Guerra Mondiale, nascita del fascismo) ed essere anche dotata di uno humour e non traspare dall’immagine a lei abitualmente tramandata.

 Apprendere dalle esperienze, imparare dal dolore, realizzare giustizia e libertà: Amelia Rosselli, 1870 – 1954.

Marina Calloni, Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale, Università degli Studi di Milano-Bicocca.

Amelia Rosselli – nata a Venezia come Pincherle Moravia – era fino ad alcuni decenni fa conosciuta soprattutto come la “madre dolorosa” di Carlo e Nello (uccisi in Francia nel 1937) e di Aldo, morto nel 1916 durante la Prima Guerra Mondiale. Grazie alla pubblicazione delle sue Memorie, Amelia è stata reintrodotta nel panorama culturale italiano. Era stata infatti una nota scrittrice di teatro e saggista fra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, prima dell’avvento del fascismo. Oltre che commedie e drammi, Amelia aveva scritto libri per l’infanzia, poiché riteneva che l’educazione fosse uno dei principali doveri morali e diritti civili. Educazione e apprendimento avevano così per Amelia un doppio significato.  Da una parte l’educazione significava cura per lo sviluppo dell’infanzia e delle giovani generazioni, mentre dall’altra l’apprendimento significava un processo di conoscenza che sarebbe durato tutta la vita. Amelia impara dalle sue esperienze esistenziali attraverso un processo di Selbstdenken, che significa pensare da sé, in modo autonomo e originale, secondo la tradizione del “secolarismo ebraico”. Diventa poliglotta – conosce tedesco, francese, inglese – per via delle diverse nazioni dove è anche costretta ad abitare durante l’esilio. Impara dalle culture in cui si trova a vivere. Apprende dai lutti, tanto da diventare una ghostwriter perché i suoi figli non siano dimenticati. Amelia impara rielaborando il dolore, pur rimanendo ferma nei principi in cui credeva, ovvero la pratica di giustizia e libertà nella vita di tutti i giorni.

La vita di Ita Yellin e Yehudit Harari come esempio di donne emancipate.

Margalit Shilo, Land of Israel Studies Department, Bar Ilan University.

Ita Yellin (1868-1943) e Yehudit Harari (1885-1979) hanno scritto due straordinarie e appassionanti autobiografie che ritraggono le loro vite nella Palestina Ottomana e Mandataria. Entrambe hanno ritenuto che la storia della loro vita rappresentasse non solo la sfera privata, bensì anche il modo in cui tentavano di plasmare la sfera pubblica. In un’inedita contrapposizione tra autobiografia femminile e autobiografia maschile, emergono realtà che vedono l’istruzione e la condizione delle donne nel “Vecchio Yishuv” (l’antica comunità ultraortodossa) e nel “Nuovo Yishuv”, (la nuova comunità sionista). E ancora: il capitale culturale educativo delle due eroine; l’introduzione di nuovi modelli di amore e di relazioni coniugali; il contributo delle donne nella sfera pubblica: Ospedale Ezrat Nashim, istruzione per tutti i livelli, vedere la vita in terra d’Israele come una missione e il progetto della nuova Donna Ebrea. 

La “Fattoria delle fanciulle”: l’opera di Hannah Meisel tra realtà storica e fiction.

Sara Ferrari, Docente di Lingua e Cultura Ebraica, Università degli Studi di Milano. Scrittrice e traduttrice.

Nel 1911 l‘agronoma di origine russa Hannah Meisel, giunta della Palestina ottomana durante la seconda Aliyah, decise di fondare sulle rive del Lago di Tiberiade una comunità agricola dedicata esclusivamente alle pioniere di Eretz Israel, la cosiddetta Havvat ha-alamot, “La Fattoria delle fanciulle”. Lo scopo del progetto era di fornire alle giovani un’adeguata formazione che permettesse di valorizzare e di definire il ruolo della donna all’interno del Movimento pioneristico. Hannah Meisel credeva che la principale area di attività delle donne fosse il lavoro domestico, ma credeva anche che queste ultime dovessero comunque contribuire alla rivoluzione agricola sionista. Durante gli anni della sua attività il corpo studentesco della fattoria poté annoverare i nomi di donne che in seguito avrebbero ricoperto vari ruoli importanti nel movimento sionista-laburista, tra cui la poetessa Rachel, mito sionista è simbolo mai scalfito dal tempo dello Yishuv.  Nonostante la breve durata del progetto “La Fattoria delle fanciulle” non riuscì a superare le gravi difficoltà sorte durante il primo conflitto mondiale e fu chiusa nel 1917 l’impresa di Hannah Meisel ebbe un’influenza notevole sullo status della donna in Israele. Ancora oggi, infatti, gli storici sostengono che l’opera di Hannah Meisel ha cambiato significativamente la situazione della donna, fornendo un audace inizio a ogni futura azione femminile nello Yishuv.  Non è un caso se nel 2006 la scrittrice Shulamit Lapid (1934) ha deciso di ambientare il secondo atto della sua saga familiare dedicata alle origini di Israele nella Havvat ha-alamot di Hannah Meisel. La stessa Lapid ha dichiarato che le protagoniste di questi romanzi sono simili a grandi donne i cui nomi sono assenti dai libri di storia. Eppure, come Hannah Meisel ha dimostrato, anche da loro mani è sorta la nazione.

 

In conclusione del seminario le parole di Paola Vita Finzi, Università degli Studi di Pavia, presidente di Il Nuovo Convegno e vicepresidente AUG: «Alle persone in sala porto il saluto del nuovo convegno che, per chi non lo sa, è un circolo culturale ebraico milanese che più o meno mensilmente organizza eventi. Dato che per anni mi sono occupata di studi di genere sono particolarmente sensibile all’argomento di questa giornata. Questa giornata ha la caratteristica di essere nata dalla collaborazione di tre enti (Comune, AUG e Nuovo Convegno), cosa non sempre facile. Sono sicura che ad Anna Maria Finoli, una grande amica, sarebbe piaciuta questa manifestazione nata da collaborazioni e su una tematica così importante sulle donne».

INFO: Chi desidera onorare la memoria della Professoressa Anna Maria Finoli attraverso questa iniziativa e contribuire alle spese per l’organizzazione del Seminario e la pubblicazione degli Atti può versare la propria libera offerta cliccando www.aiaug.org/come-sostenere (specificare nel messaggio: «Pubblicazione atti seminario in memoria Finoli») oppure si può effettuare un bonifico sul conto intestato Associazione Italiana Amici dell’Università di Gerusalemme presso la banca Crédit Agricole IBAN: IT63S0623001631000043898488 (causale: «Pubblicazione atti seminario in memoria Finoli»).