di Paolo Castellano
È abbastanza chiaro che negli ultimi anni, lo scrittore Eshkol Nevo abbia rinnovato i suoi atteggiamenti intellettuali e letterari, intraprendendo un percorso più “militante”, legato soprattutto alle problematiche attuali della società israeliana. In una nostra intervista del 2015, il Nevo del passato infatti dichiarava che preferiva non esporsi in prima persona nel dibattito politico, rispetto ad altri suoi colleghi (Amos Oz e David Grossman), scegliendo di prendere posizione soltanto in occasioni davvero importanti.
Le ultime dichiarazioni dello scrittore israeliano, pronunciate il 18 novembre presso la Sala Buzzati della Fondazione del Corriere della Sera, parlano invece di un cambio di rotta. Intervistato dal duo giornalistico Annalena Benini (Il Foglio) e Davide Frattini (Corriere della Sera) nell’ambito della ricchissima kermesse culturale milanese Book City, non ha risparmiato critiche a Donald Trump e all’attuale governo israeliano guidato da Benjamin Netanyahu.
«Non sono un ministro ma non serve esserlo per capire che oggi Israele non dialoghi con i propri vicini (i palestinesi ndr). La colpa è nostra e loro. Bisogna tornare al tavolo dei negoziati per cercare la pace ed essere disponibili a fare delle concessioni», ha risposto Nevo a una domanda del pubblico. Lo scrittore israeliano ha inoltre spiegato perché in libri come Neuland (edito nel 2012 da Neri Pozza) sia presente il timore di una guerra imminente, una condizione esistenziale d’allerta incarnata dal personaggio maschile Dori: «La guerra ha un prezzo molto chiaro e visibile, ma c’è anche un prezzo che non si vede e assomiglia a un tormento. Ho un parente che dopo aver combattuto la guerra del Kippur, per 45 anni, ogni notte, si sveglia urlando a causa dei flash back», ha svelato Nevo. «Ci sono altri miei amici invece che hanno partecipato, oltre 10 anni fa, alla guerra in Libano. Ai miei occhi ci sono ancora dentro fino al collo», ha poi aggiunto.
Lo scrittore israeliano ha inoltre detto che è impossibile vivere spensieratamente quando si teme che da un momento all’altro un razzo possa colpire la propria città, in questo caso Ra’anana (luogo dove vive l’autore). «La preoccupazione del genitore aumenta. Ho tre figlie e devo ammettere che hanno perso la loro innocenza tre anni fa. Alla fine della guerra erano diverse. Per questo ho voluto scrivere Neuland, che è un libro contro la guerra. So benissimo di essere una voce di opposizione in Israele. Ma quello che voglio dire con i miei libri è che dobbiamo parlare della pace e dobbiamo cedere qualcosa agli altri perché il prezzo di questo conflitto è intollerabile. Per non vivere così, vale la pena di negoziare».
Nevo ha inoltre dichiarato che tale sentimento di precarietà ormai non appartiene solo agli israeliani ma anche ad altre democrazie occidentali: «Quando 5 anni fa parlavo di queste cose, della guerra perpetua, vedevo che c’era una differenza tra il pubblico israeliano e quello americano. Oggi non è più così. Ho incontrato diverse comunità ebraiche americane e durante le mie presentazioni annuivano empaticamente. Lo stesso è accaduto in Francia. Negli Stati Uniti l’antisemitismo è cresciuto molto a causa del nuovo Presidente americano che è razzista nei confronti dei messicani. Dobbiamo rammentare che siamo tutti uguali e che i politici manipolano le persone».
Eshkol Nevo ha pure chiarito alcuni temi del suo nuovo romanzo Tre piani (Neri Pozza), svelando che il regista Nanni Moretti ha acquistato i diritti del libro per fare un film ambientato a Roma.
«C’è una scena di Tre Piani in cui un ladro bussa alla porta di un appartamento. Il malfattore cerca un rifugio per 24 ore, con la speranza di sfuggire alla polizia. C’è qualcuno che lo accoglierebbe in casa? Ecco, ho immaginato allora che questa cosa possa accadere. Ho pensato che certe volte una persona può decidere di fare qualcosa di sbagliato, o comunque fare una scelta che altri non farebbero», con questa riflessione lo scrittore ha espresso la sua preferenza per quei temi che implicano complicate decisioni. Nevo ha parlato inoltre della sua identità ebraica: «Il mio stile e le mie storie hanno poco a che fare con l’ebraismo. Dico questo per le reazioni che ho rilevato nei miei lettori. Le storie che scrivo colpiscono tutti, sono universali. Mi leggono sia ebrei che non ebrei. Certo, la lingua che utilizzo per scrivere i miei romanzi è l’ebraico, un idioma antico che contiene una musica ancestrale. Ma ripeto: non penso che bisogna essere ebrei né per capirli né per scriverli».
Nevo ha poi dichiarato ai lettori milanesi che in Tre Piani ha voluto inserire un episodio che richiama le rivendicazioni della nuova generazione di israeliani del 2011, quando una folla di giovani occupò le vie di Tel Aviv e di Gerusalemme per protestare contro l’aumento dei prezzi delle case: «Nell’estate del 2011 una ragazza di 25 anni venne buttata fuori di casa dal padrone. Non aveva soldi a sufficienza per prendere in affitto un altro appartamento. Decise così di acquistare una tenda e piazzarla nella via più frequentata di Tel Aviv, nel Boulevard Rothschild. Poi mise un messaggio su Facebook che recitava: “Ho messo la mia tenda qui, chi vuole venga”. Verrà raggiunta da 20mila persone». Nevo ha argomentato che i leader della protesta erano stati dei suoi studenti. Lo scrittore israeliano infatti insegna scrittura creativa in diverse università d’Israele. «È stato un evento drammatico per me. Mi sono sentito preso in causa perché in quel periodo dicevo che i giovani non parlavano del futuro del Paese. Ho allora scelto di sostenerli. Non hanno ottenuto molto ma ho visto gruppi diversi della società che hanno cooperato per elaborare una riflessione sul futuro», ha affermato con decisione. Nevo ha poi detto che in Israele i politici vengono eletti sulla base della manipolazione sul passato: «Anche il peggior politico statunitense eletto parla del futuro. In Israele parlare di futuro è invece un tabù e volevo metterlo nel libro».
La politica in Nevo è dunque un mezzo attraverso cui i personaggi possono capire qualcosa di nuovo su loro stessi e forse tale riflessione può aver rappresentato la scintilla che ha innescato la metamorfosi letteraria “militante” dell’autore israeliano: «Quando scrivo non mi interessa la politica semplice, ma in che modo la politica ti possa cambiare come persona. Per questo ritengo che la protesta Rothschild abbia portato a un cambiamento della società israeliana».