Giorgio Latis: una storia da riscoprire, una scuola da imitare

Personaggi e Storie

di Sonia Colombo
Ci sono iniziative, legate alla Memoria, che possono cambiare il corso della storia e ci sono vicende che possono ispirare le nuove generazioni. Una di queste è senza dubbio quella dell’istituto Moreschi di Milano, che ha inaugurato una lapide alla memoria dell’ebreo partigiano Giorgio Latis e ha riammesso pubblicamente studenti, docenti e preside, espulsi nel ’38.

Giuseppe d’Acquino, presidente della sezione Anpi E.Curiel, racconta com’è nata l’iniziativa di creare una lapide in onore di Giorgio Latis. «È nata da un incontro. Incontro è una parola che mi piace.»  Infatti, durante la posa delle pietre d’inciampo in via Filippo Carcano, dedicate alla famiglia Latis, ha incontrato il pronipote, omonimo del protagonista della nostra storia. Giorgio ha detto a D’Acquino che mancava un nome alla commemorazione. Quest’ultimo ha poi incontrato il dirigente scolastico dell’istituto Moreschi, Carmela Tué, e insieme hanno dato vita dapprima ad una rappresentazione narrativa su Giorgio Latis durante il Giorno della Memoria e poi all’evento del 27 aprile.

È la prima volta che degli studenti ebrei vengono riammessi in una scuola, seppur simbolicamente. L’istituto Moreschi si erge dunque a luogo della memoria e potrebbe diventare un modello di ispirazione per tutte quelle scuole che desiderino donare ai ragazzi una lezione di educazione civica, dove si integrino perfettamente memoria e speranza.

Bet Magazine-Mosaico ha voluto dare voce a Daniela Dana, al pronipote di Giorgio Latis e a Carmela Tué che, insieme a Giuseppe d’Acquino, all’architetto Giovanna Latis, che ha progettato la lapide di Giorgio Latis e a Roberto Cenati, presidente Anpi provinciale di Milano, hanno dato vita ad un’iniziativa nuova, toccante e fonte d’ispirazione per gli studenti.

La storia di Giorgio Latis

Giorgio Latis nasce nel 1920 a Modena, ma nel ’32 si trasferisce insieme alla famiglia a Milano, in via Verga 15, a pochi metri dall’istituto Moreschi. È uno studente intelligente, colto, ma anche ribelle, infatti ha sempre 8 in condotta. Ama la letteratura e le arti e diventa presto amico di eccellenze dell’ambito culturale milanese, quali Giorgio Strehler, Vittorio Sereni e Franca Valeri.

Nel 1938, a causa delle leggi razziali, viene espulso dall’istituto Moreschi, insieme ad altri 9 compagni, a due docenti e allo stesso dirigente scolastico ed è costretto a continuare gli studi da privatista. Riesce comunque a diplomarsi nel giugno del 1939. Terminati gli studi, ovviando alle leggi contro gli ebrei, va a lavorare presso una ditta di impianti elettrici e, nel tempo libero, si dedica alle sue passioni: insieme ai cugini e alla sorella allestisce un teatro di marionette ( i cui bozzetti sono conservati dal pronipote Giorgio Latis e alcune copie si trovano nella casa di un’amica della sorella)  e rappresenta nei salotti milanesi testi di Dickens, Lorca, Cocteau. Come scopriremo più avanti, le sue doti d’improvvisazione teatrale e il suo ingegno artistico contribuiranno alla salvezza dello stesso Giorgio e di molte altre persone.

Com’è ormai noto, dopo l’8 settembre la situazione per gli ebrei diventa insostenibile: così nel novembre del  ’43, Giorgio accompagna i genitori e la sorella in Svizzera, pensando di salvarli dai nazifascisti. In realtà gli stessi sono stati poi catturati, rinchiusi a San Vittore e in seguito deportati, nello stesso convoglio di Liliana Segre, per poi essere uccisi ad Auschwitz. Giorgio, credendo di aver salvato i familiari, non rimane in Svizzera, come forse avrebbero fatto molte altre persone, ma si arruola nella resistenza e aderisce al movimento Fronte della Gioventù, diretto da Eugenio Curiel, con il nome di battaglia Biondino, poi modificato in Albertino. In seguito ad un arresto, viene condotto a San Vittore e qui comincia a utilizzare le sue doti d’improvvisazione teatrale per fuggire dal carcere. Infatti, approfitta di un momento di confusione durante lo sgombero delle macerie, per fuggire insieme ad altri detenuti, facendo credere a tutti che stesse per scoppiare una bomba. Evaso dalla prigione, si sposta in Piemonte, aderendo al Partito d’azione; qui dà il meglio di sé, organizzando sabotaggi, trasporti di armi ed evasioni di detenuti, assumendo di volta in volta varie identità. Assume così un ruolo di notevole importanza nell’ ufficio Kappa, che assiste i detenuti politici.

Grazie al nuovo incarico, Giorgio entra ed esce dalle Nuove, le carceri di Torino, e realizza scambi di prigionieri. In un’occasione particolare si traveste da ufficiale repubblichino e riesce a far evadere un partigiano dal carcere di Vercelli e due compagni dal carcere di Alessandria, che sarebbero stati altrimenti fucilati il giorno dopo. In diverse lettere, giunte molti anni dopo al pronipote, alcuni compagni di lotta ricordano le sue imprese e la salvezza ottenuta, grazie alle sue azioni d’indubbio ingegno. Giorgio ha infatti combattuto, tra gli altri, con Galante Garrone, Edgardo Sogno e Ada Gobetti, che lo ha citato nel suo Diario partigiano.

Un giorno dopo la liberazione, il 26 aprile 1945, durante le insurrezioni a Torino, Latis si offre volontario per avvertire la Resistenza, che milita sulle colline, di entrare in città. Questa volta si traveste da medico; passa inosservato il posto di blocco di Reaglie, ma al suo ritorno incontra altri soldati repubblichini. Quest’ultimi lo perquisiscono e trovano dei documenti compromettenti, così Giorgio viene immediatamente fucilato. La medaglia d’argento alla memoria gli viene conferita solo nel 1996, a causa di un errore burocratico.

La storia di Latis raccontata da Giorgio, il suo pronipote

Bet Magazine-Mosaico, per approfondire l’avvincente storia appena narrata, ha incontrato il pronipote di Latis, che porta in suo onore lo stesso nome. Lui definisce la vicenda del prozio come «Sacrale e mitica» , primo perchè lui era molto legato a suo padre e ai suoi fratelli, secondo perchè ha fatto delle azioni eroiche prime di morire e a lui hanno dato il suo nome, in quanto è stato il primo maschio della famiglia nato dopo la scomparsa dell’eroe Latis.

È tra l’altro curioso che la storia dei Latis si incroci con quella dei Mortara, infatti la sorella più piccola di Edgardo, Imelde ha sposato Vito Latis e hanno avuto due figli: Leone e Giuseppe. Il primo è il padre di Giorgio Latis e di sua sorella Liliana, mentre il secondo, Giuseppe, ha sposato Giannetta Modena e hanno avuto 5 figli, tra cui Gustavo, padre del pronipote di Giorgio Latis. Quindi il protagonista della nostra storia e Gustavo, padre dell’intervistato, erano cugini e sono nati tutti e due nel 1920, mentre Edgardo Mortara era il loro prozio. Riguardo alla storia della sua famiglia, Giorgio racconta che «La particolarità è che la famiglia di Leone è stata completamente sterminata e Giorgio Latis, come sappiamo, fucilato, mente la famiglia di Giuseppe si è completamente salvata, scappando in Svizzera.» Facendo delle ricerche, il pronipote di Latis ha anche scoperto che non sono stati deportati neanche i compagni di classe di Giorgio, né i professori.

Proseguendo il racconto, il pronipote aggiunge che, come in molte famiglie ebraiche, non si è parlato della guerra fino agli anni ’80, poi, negli anni ’90, lui ha iniziato ad intervistare sia i suoi parenti che molti partigiani, tra cui, a Torino, alcuni che avevano collaborato con Latis e che sono stati liberati da lui; ha trascritto tutto in modo che tali racconti, così appassionati, non andassero persi e, come dice lui « Ho salvato il salvabile». Ha aggiunto inoltre che « A casa nostra c’è stata un po’ di rimozione, perchè il tutto è stato molto traumatizzante: sia mio padre che suo fratello sono stati espulsi da scuola, hanno dovuto fare la maturità privatamente, non potevano lavorare, poi mio padre, dopo la guerra, ha dovuto rimboccarsi le maniche e laurearsi il più in fretta possibile e le notizie dei parenti non arrivavano. Tutte queste informazioni sono arrivate a noi un po’ per volta.» Ha aggiunto poi che la medaglia d’argento all’eroe Giorgio Latis è stata conferita più tardi perchè, nonostante lui e il padre l’avessero già richiesta tra gli anni ’60 e ’70, una discrepanza sulla data della morte e altri dettagli, sono stati la causa di un ritardo nell’assegnazione della stessa, che gli è stata conferita solo nel 1996. Nel 2022, in Via Filippo Carcano, a Milano sono state depositate le pietre d’inciampo in onore dei genitori e della sorella di Latis e, probabilmente nel 2025, in occasione dell’ottantesimo dalla liberazione, Latis avrà anche una sua lapide, sempre nel palazzo di Via Carcano a Milano. La lapide, all’interno dell’istituto Moreschi, al momento, non è a disposizione di tutta la cittadinanza. A Torino, in corso Chieri, dove Latis è stato fucilato, esiste invece già da tempo un monumento in suo onore.

Riguardo all’iniziativa dell’istituto Moreschi, l’intervistato ha aggiunto «Mio padre è stato intervistato anche al Parini e hanno fatto delle ricerche sui Latis, ma la riammissione simbolica di studenti e professori ebrei al Moreschi, che io sappia, è unica. È stata un’idea della preside» Tra l’altro la professoressa Tué è dirigente scolastico della scuola da solo un anno.

La storica e lodevole iniziativa del Moreschi, tra memoria e speranza

La targa posta all’Istituto Moreschi in memoria di Giorgio Latis

Altre scuole come il Berchet, il Parini e il Manzoni, tra le altre, hanno aperto gli archivi per ritrovare delle documentazioni a proposito degli studenti e dei docenti espulsi a causa delle leggi razziali, ma il Moreschi è il primo istituto a riammetterli simbolicamente. A questo proposito, Giuseppe d’Acquino racconta com’è nata l’iniziativa: lui e il dirigente scolastico, Carmela Tué, hanno consultato le lettere di esclusione dalla scuola, causa leggi razziali, che l’allora preside della scuola: Arturo Loria, anch’egli ebreo, aveva mandato ai docenti. A proposito di quest’ultimo, il licenziamento e le difficoltà incontrate per ottenere la pensione, lo hanno portato ad una morte prematura nel dicembre del 1939, a soli sessantadue anni. Prima di questo evento tragico egli ha però contribuito, insieme ai docenti Elsa della Pergola ed Eugenio Levi  (i due docenti espulsi dal Moreschi)  alla rapida costituzione della scuola ebraica di via Eupili, dove molti studenti ebrei hanno potuto diplomarsi nel settembre del ’43, quando i tedeschi stavano già occupando Milano.

Riguardo all’esclusione di Latis e degli altri 9 studenti non c’è traccia; si nota solo che nel registro dell’anno prima erano iscritti e poi l’anno successivo non più. Le lettere di esclusione dei docenti, insieme ai registri con i nomi degli studenti mancanti, sono stati determinanti per D’Acquino e per la preside, tanto da portarli alla decisione di riammetterli, seppur simbolicamente. Racconta D’Acquino: «Non si è trattato quindi di una rievocazione, ma proprio di una riammissione, simbolicamente molto forte anche perché si è svolta nello stesso istituto scolastico, al cospetto di circa 100 persone: studenti, genitori, partigiani, forze dell’ordine, il prete del quartiere, rappresentanti del carcere San Vittore e molte altre autorità ancora«

“Anche la scenografia  è stata molto importante – continua il dirigente Tuè – perché la memoria e la speranza hanno accompagnato i vari interventi, sapientemente diretti da D’Acquino: l’intervento del  prof Pittini con la storia del Moreschi ha condotto i presenti  nel passato, la riammissione degli espulsi ed il canto di due studentesse del Moreschi, tratto da The Partisan di Leonard Cohen, ha chiuso l’evento in segno di speranza, commuovendo tutti.» Il dirigente  scolastico racconta inoltre che l’evento è stato preceduto da un racconto scenico sulla vita di Giorgio Latis, realizzato dai ragazzi, con l’aiuto dell’associazione Anpi, e tenutosi in occasione del Giorno della Memoria, il 27 gennaio.

La preside del Moreschi Carmela Tuè durante l’evento per Giorgio Latis e gli studenti ebrei espulsi

Ciò che l’ha particolarmente colpita – sostiene il dirigente – è stato l’intervento di uno studente che, invitato ad esporre le proprie considerazioni, ha comunicato alla platea di aver imparato dalla vita di Giorgio Latis che tutto può essere superato, soprattutto grazie a competenze delle quali non sempre siamo consapevoli e che, non necessariamente, bisogna essere bravi a scuola per essere dei vincenti: Giorgio Latis si è salvato quasi fino alla fine grazie alle sue competenze teatrali e alle sue doti d’improvvisazione.

Alla domanda: come hanno reagito gli altri studenti a questo importante evento, la preside ha insistito su alcuni momenti particolarmente toccanti: uno studente ha detto che  Latis era un ragazzo come loro perché anche lui frequentava il Moreschi, camminava per gli stessi corridoi; l’unica differenza è che ha avuto la sfortuna di nascere in particolari anni della Storia. Magari nessuno sapeva che aveva uno spirito così nobile. Una studentessa ha aggiunto che questa storia porta un messaggio di sicurezza e coraggio. Un altro: «È stato bello sentire che uno studente non perfetto è riuscito a fare cose così grandi.» Alcuni ragazzi, in seguito al Giorno della Memoria, hanno poi continuato a far lezione fuori dalla classe, in punti strategici dell’istituto, vicino a lapidi, a monumenti e a documenti, perché potessero immergersi nella storia dell’istituto Moreschi.

Ma il Moreschi potrebbe diventare un modello per altre scuole? «L’intento è di interagire con il territorio, in senso lato, ed in particolare con le altre scuole: è un proposito per il futuro..», risponde Tuè. Secondo la preside e D’Acquino, il Moreschi ha dato vita ad un’iniziativa singolare ed unica. Essa potrebbe fungere da stimolo, tuttavia bisogna considerare che molti istituti non hanno le stesse caratteristiche del Moreschi e non si conoscono i nomi di tutti gli studenti espulsi: mancano i documenti, ma si può provare. Da qui la necessità di creare rete con le altre scuole del territorio. Riguardo ai progetti futuri e alla frequentemente contestata Giornata della Memoria, Tué ha poi aggiunto «Da ex docente ho vissuto il Giorno della Memoria rispettando un minuto di silenzio oppure commentando un film o un documentario. Da Dirigente, desidero che l’iniziativa Giorgio Latis e il Giorno della Memoria vadano sempre a braccetto e non solo nelle giornate ufficiali a loro dedicate. Esse seguiranno un percorso itinerante: le classi faranno lezione anche nell’androne che ospita le lapidi, perchè fare lezione lì significa portarli davanti ad un monumento che rappresenta tutta una storia.» Non a caso infatti anche il consiglio di istituto del Moreschi ha accolto la donazione di Fabrizio Dusi – La memoria rende liberi – opera esposta al Binario 21. E’ intenzione della preside, inoltre, riaprire l’archivio del Moreschi, accantonato di recente per motivi logistici e di spazio.

L’evento che si è realizzato al Moreschi è stato ideato in tutte le sue fasi come una rappresentazione scenica, così come sostiene d’Acquino: «Nel presentare le persone che sono intervenute, ho fatto riferimento al tempo, perché è un elemento essenziale della vita, al luogo perché la scuola è il luogo fisico, culturale e generazionale dell’incontro tra il tempo passato (la memoria), rappresentato dal leggio e dalle targhe sui muri, e il tempo futuro (la speranza) ,rappresentato dai ragazzi e delle ragazze che stanno anche simbolicamente in attesa, sulle scale, pronti ad essere protagonisti. Senza memoria la speranza non riesce a crescere

La preside sostiene inoltre che «D’Acquino ha diretto l’evento come un direttore d’orchestra, dove ogni elemento s’incastrava in modo sincronico e diacronico con il successivo, un po’ come Giorgio Latis, quando guidava le sue marionette.» Secondo D’Acquino bisognerebbe fare un film su Latis e sulla commemorazione al Moreschi. Il film, al momento è  solo un’idea, ma D’Acquino e la preside stanno già preparando un documentario sulla storia del Moreschi e sul periodo delle leggi razziali. La preside del Moreschi conclude con queste parole: «Quell’evento rappresenta l’inizio di qualcosa, non la fine.»

La paura di diventare invisibili

Daniela Dana, presidente dell’Associazione Figli della Shoah, ha incentrato il suo intervento sui ragazzi, i principali fruitori di un’iniziativa importante come quella che si è tenuta al Moreschi, coloro che potranno trasferire la memoria alle future generazioni. Ha notato con piacere che le targhe commemorative non sono state collocate sul muro, ma ad altezza visiva dei ragazzi: «Non una targa ma una specie di mensola che li spingesse a soffermarsi, ad aprirsi al ricordo» , ha detto Dana a Bet Magazine-Mosaico. Ha aggiunto inoltre che si è particolarmente commossa durante l’evento perchè tra i 10 ragazzi espulsi c’erano anche sua suocera ed il  fratello, Silvana e Aldo Samaia, che per fortuna sono riusciti a salvarsi e a  fuggire in Svizzera. La presidente dei Figli della Shoah è rimasta particolarmente colpita dall’iniziativa della dirigente scolastica del Moreschi, perché anche se altre scuole, in passato, avevano già scavato nei propri archivi scolastici, lei ha fatto un passo in più.

«Li ha simbolicamente riammessi scandendo i loro nomi, uno a uno. È stato importantissimo per i ragazzi di oggi pensare che in passato, nella stessa scuola, altri ragazzi sono stati estromessi: è qualcosa che i giovani capiscono molto bene, perché sono molto sensibili al tema la diversità», ha raccontato Daniela Dana.

Nel suo intervento si è soffermata sul concetto di invisibilità, che ha colpito tutti gli alunni del ’38, a causa delle leggi razziali, e i ragazzi l’hanno ascoltata attentamente. Ha spiegato loro quanto sia stato terribile per gli studenti di allora essere diventati all’improvviso invisibili, isolati ed emarginati e lo ha fatto davanti ad una platea di adolescenti che, attraverso i like sui social, è particolarmente sensibile al tema. Nel ’38 i nominativi delle famiglie ebraiche scomparivano anche dagli elenchi telefonici. Allora Daniela Dana si domanda: «Quanti ragazzi di oggi hanno paura di diventare invisibili?  Se non avete un profilo social, voi non esistete e se non esistete, chi vi cerca, chi vi considera più?» Daniela Dana ha aggiunto «I ragazzi sono stati toccati moltissimo dall’evento perché la loro scuola si è trasformata in un luogo della Memoria.

Il valore didattico dell’evento organizzato dal Moreschi è per Dana, come «Rimettere idealmente un banco vuoto in una classe, in memoria di coloro che l’hanno dovuto ingiustamente abbandonare.» Secondo lei, sia a livello storico che formativo, non è pensabile trattare il tema della Shoah, partendo da Auschwitz, ma bisogna necessariamente iniziare dalle leggi razziali e antisemite: tutti i genocidi iniziano con una negazione dei diritti civili e i ragazzi possono trarre da questo insegnamento spunti importanti per analizzare gli eventi contemporanei, senza semplificazioni e inappropriati parallelismi.

Gli uomini sono fatti di memoria e speranza

L’evento tenutosi al Moreschi lo scorso 27 aprile è stato dunque un piccolo grande evento, dove una dirigente scolastica decide di riammettere pubblicamente, seppur in modo simbolico, gli studenti e i docenti ebrei espulsi e lo fa appellandosi alla Costituzione, fornendo una grande lezione ai ragazzi di educazione civica: «Visto l’articolo 3 della Costituzione si decreta la riammissione simbolica nell’Istituto Nicola Moreschi dei docenti, del preside e degli studenti.» Così ha dichiarato la preside Carmela Tué, insegnando così alle nuove generazioni il ruolo fondamentale della Costituzione, a protezione dei nostri diritti. Nella sua preziosa testimonianza Daniela Dana ha dichiarato a Bet Magazine-Mosaico «Se all’epoca ci fosse stata la Costituzione, quegli alunni non sarebbero stati mai espulsi.»

Memoria e speranza devono andare a braccetto, come ci insegnano la letteratura e Giuseppe d’Acquino, che confida a Bet Magazine-Mosaico queste preziose parole: «Gran parte della letteratura mondiale è fatta di memoria e speranza. La sintesi di memoria e speranza è il sogno ed è per questo che Shakespeare nella sua opera, La tempesta, dice che siamo fatti della stessa materia di cui son fatti i sogni. Perché noi siamo fondamentalmente fatti di memoria e di speranza. La memoria è così importante che bisognerebbe farci una materia di studio e di insegnamento».