di Vittorio Robiati Bendaud
«Nel Corano, gli ebrei sono descritti con le loro proprie specifiche caratteristiche degenerate, quali uccidere i profeti di Allah, corrompere le Sue parole inserendole in luoghi sbagliati, consumare frivolmente il benessere degli altri popoli, rifiutare di prendere le distanze dal male che essi compiono e altre oscene caratteristiche originate dalla loro profondamente radicata lascivia…soltanto una minoranza degli ebrei mantiene la parola data… Non tutti gli ebrei sono uguali. Quelli buoni diventano musulmani, i cattivi no». Così, pochi anni fa, scriveva Muhammad Sayyid Tantawi, Grande Imam dell’Università Al-Azhar (Il Cairo) e principale autorità dell’Islàm sunnita, morto nel 2010.
Oltre allo sdegno, le parole appena riportate di un’eminente autorità religiosa islamica rendono palpabili i peggiori spettri che, in relazione all’Islàm, turbano le menti e i cuori di molti di noi. Qualcuno, per fugare il problema, potrebbe dire che si tratta di un’opinione isolata, incoerente con le voci più “autentiche” e tradizionali della dottrina e della prassi islamica: purtroppo non è così, ed è sotto gli occhi di tutti. Qualcun altro potrebbe invece sostenere che l’Islàm, in relazione all’ebraismo, sia stato e sia, in definitiva, riducibile solo a queste frasi: si tratta di un’altra tentazione, anch’essa imprecisa e parziale.
In questa necessaria premessa, chi scrive sa molto bene che le “radici giudaico-cristiane dell’Occidente” sono una costruzione culturale assai recente, in parte artefatta, eretta dal pensiero occidentale. Come tali, radici estremamente fragili. Al contrario, ed è innegabile, sono esistite davvero civiltà e culture “islamo-giudaiche”, pur tra mille difficoltà e sofferenze, con talvolta qualche episodio di prosperità.
Al riguardo, per rendere ancora più complicato e paradossale il quadro di insieme, va ricordata un’eccezionale ambiguità. Il Vangelo e i primi scritti sacri del Cristianesimo ebbero origine, com’è noto, in ambienti ebraici, in seno a un universo linguistico dominato dall’aramaico e dall’ebraico, con riferimenti continui all’ebraismo, agli ebrei e alla Torah. In generale, proprio da quanto riferito da tali scritti, anche gli elementi di polemica e di contrapposizione si muovevano dapprincipio all’interno del contesto socio-culturale ebraico, senza che degenerassero in stragi o in disprezzo della Torah e della Tradizione di Israele. Ciononostante, una civiltà culturale “ebraico-cristiana”, intesa in un senso di sinergia e di vicendevole tutela e arricchimento, non è mai nata, se non -forse- in tempi recentissimi. È esistito, purtroppo, l’esatto contrario: disprezzo e persecuzione, arrivando, infine, alle camere a gas.
Al contrario, il mondo arabo-islamico ha trovato origine da un diverso testo sacro, il Corano, scritto in un’altra lingua – l’arabo – e con riferimenti a contesti ben diversi, sia geografici sia simbolico-culturali, sia sociali. Nel Corano, in relazione all’ebraismo, troviamo riportate vicende nefaste, persecuzione e strage, e l’accusa verso gli ebrei di aver alterato e sovvertito la lettera della Torah e la sua comprensione. Paradossalmente, nelle società e nelle culture originate da questo testo sacro vi fu un certo spazio per la nascita e la sopravvivenza per alcuni secoli, pur tra mille rovesci e mille sofferenze da parte ebraica, di una cultura comune e condivisa.
Il paradosso, la difficoltà e l’esperienza del limite sono dunque le categorie necessarie da assumere per cercare di comprendere (forse!) quanto è successo e ciò che c’è in gioco.
Con l’avvento dell’Islàm e con le grandi conquiste musulmane del VII e dell’VIII secolo, si creò e consolidò un immenso impero, esteso dalle coste occidentali del Marocco sino all’India. Per molti secoli la stragrande maggioranza del popolo ebraico ha dimorato in queste terre. In tali contesti, – tra l’850 e il 1250 il Talmùd Bavlì è divenuto normativo per l’intero ebraismo diasporico -, sono nate le prime grandi raccolte di normativa halakhica, si è stabilizzato il rituale liturgico, è nato il pensiero ebraico (parlante per lo più la lingua araba) e, infine, la lingua e la letteratura ebraica ebbero il loro più grande momento di splendore prima dell’epoca contemporanea. Parallelamente, va ricordato tuttavia, che in questi 400 anni, gli ebrei sperimentarono anche diffuse e feroci discriminazioni, vessazioni e persecuzioni in seno al mondo islamico.
Dal 1250 circa, iniziò un graduale e rapido abbrutimento delle condizioni di vita degli ebrei, con un conseguente declino delle comunità ebraiche in seno al mondo arabo-islamico (1250-1800). Come poc’anzi ricordato, anche il precedente periodo, che una certa “vulgata” storico-filosofica presenta spesso come l’age d’or e di grande collaborazione, ebbe, a seconda dei tempi e dei luoghi, momenti assai cupi e drammatici. Ecco perché gli storici spesso oscillano tra la riduzione di quest’epoca unicamente a “persecuzione e pogrom” oppure, all’opposto, tendono ad alimentare il mito dell’epoca d’oro tra ebraismo e Islàm, incuranti delle fonti coraniche e di molti disastri successivi che, quantomeno richiederebbero studio e interpretazione.
Questi serie di brevi articoli che leggerete sul Bollettino Magazine, nella loro incompletezza, cercheranno di rendere conto di questa storia, la cui conoscenza è divenuta vitale e necessaria per i nostri giorni, tanto per la contrapposizione quanto per il difficile ma necessario dialogo, che si spera sia franco da entrambe le parti e non ingenuo.
La Mezzaluna e gli ebrei d’Arabia
Gli ebrei dimorarono nella Penisola arabica già da alcuni secoli prima dell’avvento dell’Islam, in alcuni casi arretrando la loro presenza ai tempi biblici. Si trattava dell’Arabia Felix delle antiche mappe e delle antiche vie delle spezie e degli incensi, all’incrocio tra l’Africa Orientale e l’Oriente asiatico e indiano.
Molti ebrei giunsero nei territori arabici dopo la distruzione del II Santuario e dopo il 135 e. v., mentre successive ondate migratorie di singoli e di gruppi ebraici provennero dall’Impero Bizantino, per sfuggire alle dure misure antigiudaiche. Gli ebrei si integrarono con la popolazione locale, organizzandosi in clan e tribù, formando alleanze con altri gruppi e introiettando alcuni valori tipici delle società desertiche. Le attività principali dei gruppi ebraici colà residenti furono in particolar modo la coltivazione della palma da dattero, il commercio e la lavorazione artigianale dei metalli.
L’influenza ebraica in Arabia fu non irrilevante, ma anzi abbastanza capillare, sì che la fede di Israele venne adottata, pur per un breve periodo, come religione di Stato dalla casa regnante dello Yemen. Nonostante l’alto grado di integrazione e assimilazione, tuttavia gli ebrei erano visti come un gruppo separato, con propri usi e custumi.
Sino alla nascita di Muhammad, il monoteismo, in un contesto per lo più pagano, era testimoniato unicamente dagli ebrei e dai gruppi cristiani locali, spesso nestoriani, giudeo-cristiani o di altre confessioni minoritarie. Il giovane Muhammad, come ci testimoniano alcune fonti tradizionali islamiche (Ibn Hishām, Ibn Ishāq), ebbe modo in entrare in contatto con ebrei e, in particolare, con monaci cristiani siriaci, dalla cui pietà e zelo religioso fu fortemente impressionato.
In questa prospettiva, alcuni fanno derivare parte dell’impianto mistico-spirituale dell’Islàm nascente dai monaci cristiani convertiti alla fede islamica (con il conseguente retaggio di antigiudaismo cristiano che in questo modo, almeno in una certa misura, entrò nell’Islàm) e parte dell’apparato normativo-giuridico della nuova fede da ebrei convertiti.
Nel settembre 622 e. v., Muhammad, appartenente alla tribù dei Quraysh della Mecca, allora centro spirituale dell’Arabia pagana e oggetto di un annuale pellegrinaggio, dovette rifugiarsi, per via delle sue idee religiose e morali affermanti il puro monoteismo, nella fertile oasi di Yathrib, conosciuta anche come Madina. Si trattò dell’Hijra, che segna l’inizio dell’era islamica. Giungendo a Madina, Muhammad entrò per la prima volta in contatto con nutrite e organizzate comunità ebraiche, strutturate in tribù, che peraltro costituivano gran parte della popolazione locale. Si trattava delle tribù dei Banū ‘l-Nahīr e dei Banū Qurayza, entrambe di cohanim e, infine, dei Banū Qaynuqa. Le uniche fonti che raccontano l’incontro-scontro tra Muhammad e le tribù ebraiche di Madina sono gli antichi testi della tradizione islamica. Le tre tribù ebraiche ebbero, in diverso modo, gravi disaccordi con Muhammad ivi inclusi, secondo il Corano, tradimenti di alleanze e incomprensioni, sì che, alla fine, tutte vennero sconfitte. A due venne data la possibilità di scelta tra la conversione e l’esilio, mentre alla terza, i Banū Qurayza, tra la conversione e la morte. Il giorno della sconfitta dei Banū Qurayza vide l’uccisione di circa 600-900 ebrei, che rifiutarono la conversione all’Islàm. Il cupo risentimento generato dall’opposizione a Muhammad da parte degli ebrei di Madina trovò abbondantemente eco nei riferimenti negativi agli ebrei nel Corano e negli altri primi scritti islamici.
Una situazione differente si ebbe con la conquista, nel settimo anno dell’Hijra (629), dell’oasi ebraica di Khaybar, dove peraltro trovarono, secondo alcune fonti, rifugio le tribù esiliate da Madina. La presa di Khaybar coincise con il primo territorio indipendente conquistato dai musulmani e divenuto così proprietà islamica. Gli ebrei capitolarono dopo un mese e mezzo di resistenza a Muhammad, il quale, alla fine, concesse loro di permanere in quel luogo, purché metà dei loro guadagni d’allora in poi venissero destinati ai musulmani. Questa decisione divenne un locus classicus per le successive discussioni legali sullo status degli abitanti non musulmani delle terre conquistate dall’Islàm.
Gli ebrei, alla fine, tuttavia, con il Califfo ‘Umar I vennero definitivamente per sempre scacciati dall’Arabia, compresi quelli di Khaybar.
Alcune fonti: “Il Corano e gli ebrei. La storia di una tragedia”, J. Bouman, Queriniana; Encyclopaedia Judaica; Enciclopedie de l’Islam.