di Davide Foa e Jonathan Misrachi
Il pensiero antiebraico del filosofo al centro di un convegno
Heidegger e nazismo costituiscono un binomio che accompagna accese discussioni filosofico-politiche sin dagli anni ’80. Da un anno, però, il dibattito ha assunto nuovi e decisivi elementi: gli inediti Quaderni Neri. Rimasti in un archivio per più di quarant’anni, sono stati pubblicati solo nel 2014, come lo stesso Heidegger aveva richiesto.
L’uscita dei Quaderni Neri, nei quali compare un antisemitismo “metafisico”, ha inevitabilmente provocato intensi dibattiti, capaci di coinvolgere l’intera opinione pubblica, come raramente accade nel caso di una diatriba filosofica. Protagonista principale, in Italia e non solo, della riaperta questione è Donatella Di Cesare, docente di filosofia presso la Sapienza di Roma, nonché autrice del libro Heidegger e gli ebrei: i Quaderni Neri.
«Vorrei che il mio libro aprisse un dibattito, che non fosse un’ultima parola», ha dichiarato la Di Cesare in occasione di una giornata di studi organizzata presso l’Università Statale di Milano il 16 ottobre e intitolata “Filosofia, ebraismo e antiebraismo”.
Nel corso della mattinata, la Di Cesare ha discusso con alcuni professori dell’Università Statale di Milano, come Patrizia Pozzi, docente di Storia del pensiero ebraico, e Alberto Martinengo, ricercatore in filosofia teoretica; il tutto introdotto e moderato da Anna Linda Callow, docente di lingua e letteratura ebraica.
«Sappiamo poco dell’antisemitismo europeo», ha dichiarato Patrizia Pozzi, sostenendo che l’immagine dell’ebreo presente nei testi di Heidegger abbia radici profonde nell’antico pensiero occidentale. Il filosofo tedesco, influenzato evidentemente da stereotipi che, secondo Pozzi, «nascono da un suo percorso biografico e culturale», ha quindi classificato l’ebreo come «ente lontano dall’essere».
L’atteggiamento di Heidegger è comune a diversi autori tedeschi che decisero di confrontarsi con l’ebraismo per difendere la cultura occidentale; costoro, come Heidegger, non si impegnarono nel conoscere la lingua e la cultura ebraica, ma preferirono mostrarsi come profeti, vedendo nell’ebraismo un intralcio per l’occidente e nell’ebreo un mero calcolatore, estraneo al concetto di spirito.
Rispondendo alla prima relatrice, la Di Cesare ha confermato la grande ignoranza in Heidegger della cultura ebraica e soprattutto la sua non volontà di conoscerla, atteggiamento comune alla filosofia e cultura tedesca di quegli anni, tendente verso la negazione dell’altro. La cosiddetta “questione ebraica” posta dai filosofi tedeschi non è altro che il frutto dell’incapacità di comprendere appieno l’ebraismo che, non essendo solo una religione, è difficile da definire. Riconoscendo gli ebrei come un popolo, i tedeschi affrontano la questione ebraica non solo come problema teologico, ma anche politico:“sono uno Stato nello Stato, sono un pericolo perché seguono leggi diverse”.
Kant, Giordano Bruno, Nietzsche: tanti sono i filosofi che, come Heidegger, elaborarono teorie antiebraiche. «Heidegger va visto all’interno di questo contesto», ha specificato Di Cesare, secondo cui l’antisemitismo heideggeriano ha radici nell’antigiudaismo cristiano. Nel suo libro, l’autrice sostiene inoltre che l’odio antisemita degli anni ’30 non sarebbe che un nuovo episodio del Bellum Iudaicum, la guerra contro gli ebrei, iniziata già nell’antichità con lo scontro tra Roma e Israele. Il Bellum Iudaicum degli anni ’30 doveva essere una guerra silenziosa, da combattere non sul fronte, dato che il nemico era interno, ma in luoghi simili a discariche, come le camere a gas.
«Una volta pubblicati, non è stato possibile immettere i Quaderni Neri nelle categorie del pensiero di Heidegger», spiega Martinengo, anche se i testi in questione hanno in un certo senso colmato quel vuoto nel pensiero heideggeriano in merito al rapporto tra filosofia e politica. Il ricercatore ha quindi analizzato le tre reazioni seguite alla pubblicazione dei Quaderni Neri: c’è chi ha deciso di abbandonare del tutto Heidegger, chi invece ha pensato di rilanciare una discussione critica e chi ha preferito sminuire la questione, dando poco valore ai nuovi testi inediti. Martinengo ritiene che «quest’ultima reazione sia la meno sostenibile: non si può non considerare lo scandalo dei Quaderni Neri». La «più filosofica», è quella di chi, come la Di Cesare, rilancia la discussione.
In Germania, la loro pubblicazione ha prodotto uno shock nel mondo accademico: l’Università di Friburgo ha deciso di cancellare la cattedra intitolata a Heidegger. «Così facendo – spiega la Di Cesare – i tedeschi hanno dimostrato di reagire all’evento cancellando Heidegger stesso». La filosofa italiana critica fortemente una posizione di questo tipo, “rottamatoria”, sottolineando come «chi cancella Heidegger non fa che ripetere il gesto di negazione dell’altro, compiuto dal filosofo nei riguardi della cultura e della religione ebraica».
D’altra parte, è ugualmente nocivo l’atteggiamento di chi decide di mantenere di un autore solo alcune opere, sminuendo il valore dei Quaderni Neri. Lo stesso filosofo avrebbe da ridire dinanzi a un comportamento del genere: non era forse lui stesso ad avere voluto che gli inediti fossero pubblicati solo decenni più tardi? Quasi sicuramente allo scopo di riproporsi alle nuove generazioni con un lascito scomodo.
Heidegger: «Gli Ebrei all’origine della democrazia decadente»
Nella sessione pomeridiana, si sono alternati negli interventi Davide Assael, collaboratore della Fondazione Centro Studi Campostrini, Cosimo Nicolini Coen, laureando in Filosofia del diritto, Alessandro Vigorelli Porro e per concludere la stessa Donatella Di Cesare. Davide Assael ha affrontato l’argomento per primo confermando le posizioni della Di Cesare, riconoscendole il merito di non aver “soggettivizzato” il pensiero di Heidegger, ossia di non aver diviso le opinioni politiche dal suo pensiero filosofico, riconoscendo un collegamento consequenziale fra la sua visione filosofica e il suo antisemitismo metafisico.
«Separare Heidegger e l’antisemitismo vuol dire evadere dal contesto europeo. L’ebreo, per Heidegger, è un germe culturale innesso nella società democratica, che per lui è un elemento decadente – afferma Assael al Bollettino -. La società ideale per Heidegger è gerarchica e con a capo un uomo solo, la democrazia moderna non è vista di buon occhio e con lei gli ebrei, accusati di averle dato origine».
Cosimo Nicolini Coen ha poi parlato di “Radici e ritorno, l’ebraico come terreno di prova nella filosofia”, confutando l’immagine dell’ebreo offerta dal filosofo tedesco. Per Heidegger l’ebreo inaugura un processo di decadenza, ma secondo Nicolini Coen «in questo suo fraintendimento storico vi è una tendenza dell’ebreo di riadattare il fondamento etico con i valori universalistici, ed e per questo motivo che vi è stata un’incompatibilità fra il mondo ebraico ed Heidegger».
Alessandro Vigorelli Porro fa un passo più avanti, individuando addirittura una convergenza fra Heidegger e la Qabbalah ebraica: nonostante Heidegger, nella sua formazione, abbia approfondito bene altri mondi (come quello greco o romano) senza mai avvicinarsi a quello ebraico, vi sarebbe una convergenza fra il Zimzum della Qabbalah ebraica, ossia la ritrazione divina, e la ritrazione dell’essere pensata da Heidegger.
Donatella Di Cesare, poi, ha concluso la giornata di studi entrando in dialogo con i relatori presenti e con il pubblico, compiendo così un ulteriore passo in questo acceso e ancora attuale dibattito filosofico.