“Herbert era una tavolozza piena di colori, un mondo intero agli occhi di noi milanesi sempre un po’ grigi”: è forse questa l’immagine più potente ed efficace di Herbert Pagani che ci restituisce l’amico e cantautore Marco Ferradini. Un’immagine e un nome che tornano finalmente alla luce dopo anni di oblio, grazie a una serie di iniziative organizzate proprio da Ferradini: un doppio CD, uscito lo scorso 25 settembre, ( “La mia generazione”), e una serata-tributo, alla Palazzina Liberty di Milano, in programma per sabato 6 ottobre che porterà sul palco, a cantare i successi di Pagani, gli amici e i protagonisti di un tempo: da Alberto Fortis, a Fabio Concato, Eugenio Finardi, Shel Shapiro, Caroline Pagani, Federico l’Olandese Volante, Fabio Treves e molti altri. Oltre al CD, Ferradini ha in cantiere anche un libro di testimonianze e uno spettacolo teatrale. Tutto per ricordare e far conoscere un artista eclettico, anticonformista, coraggioso, innovativo, come pochi altri ce ne furono nella Milano degli ultimi anni ’60 e di tutto il decennio successivo. Un artista, che come ha detto ancora Ferradini, per la Milano di quel periodo, fu come una finestra aperta sul mondo.
Pagani in effetti fu un cittadino del mondo e la sua arte fu in certo modo il riflesso di quella condizione. Nato a Tripoli, cresciuto fra l’Italia, l’Austria, la Svizzera e la Francia, già da molto piccolo cercò di mescolare i tanti colori, le tante lingue e linguaggi in mezzo a cui si trovava a crescere, fino a crearne poi, a sua volta, di nuovi. Arturo Schwarz del resto, ha osservato come sin dall’infanzia Herbert Pagani avesse usato il disegno come una sorta di esperanto, per comunicare e farsi capire da tutti.
La necessità di comunicare è rimasta intatta negli anni successivi e nell’età adulta come uno snodo essenziale del suo essere artista e della sua produzione artistica. Il concetto stesso di “comunicazione” sembra aver dato senso e conciliato i tanti mezzi utilizzati da Herbert Pagani per esprimersi e stabilire un dialogo con l’altro: “Le discipline della comunicazione comunicano fra loro” diceva.
La sua arte fu spesso precoce e dirompente.
Fu precoce nella pittura, quando a vent’anni, nel 1964, espose le sue chine e incisioni alla galleria Pierre Picard di Cannes ottenendo gli elogi di un poeta come Jean Rouselot e l’attenzione della stampa parigina – oltre che di Federico Fellini e del suo fotografo di fiducia, Michelangelo Durazzo. Fu dirompente quando nel 1966 introdusse nel mondo ancora ingessato e vecchio stile della radio, un programma come “Fumorama”, dove jingle e gag si alternavano a canzoni dai testi impegnati e poesie di Neruda.
Il contributo di Herbert Pagani al mondo radiofonico fu dirompente e innovativo al pari di quello che diede alla musica del suo tempo. Dopo averlo sentito cantare a Parigi, nel 1971, il poeta Louis Aragon, scrisse: “Ho la sensazione che Pagani abbia inventato un genere nuovo di canzone e questo non succede tutti i giorni. È impossibile, secondo me, parlare di canzone contemporanea senza tenere conto della sua esistenza. La sua comparsa è analoga all’apparizione dei più grandi”.
Pagani utilizzò la musica per comunicare e affrontare temi talvolta scabrosi, talvolta universali, talvolta eminentemente personali – quello della famiglia per esempio (in “La mia generaazione”), del suicidio (in “L’albergo a ore”), o ancora dell’antisemitismo e della millenaria persecuzione degli ebrei (in “La stella d’oro”) – che Pagani trattava con schiettezza, con grande chiarezza e coraggio.
Quando nel 1975 una risoluzione dell’Onu equiparò il sionismo al razzismo, Pagani intervenne apertamente e senza remore in difesa di Israele, con la canzone “Arringa per la mia terra“. Fu una presa di posizione netta ed esplicita che provocò per Pagani l’irrimediabile rottura con il mondo della sinistra, sia italiana che francese, nelle cui file aveva militato e nei cui ideali aveva creduto. Cantava infatti: “Io, ebreo di sinistra, me ne sbatto di una sinistra che vuole liberare gli uomini a spese di una minoranza, perché io faccio parte di questa minoranza. Se la sinistra ci tiene a contarmi fra i suoi non può eludere il mio problema. E il mio problema è che dopo le deportazioni in massa operate dai romani nel primo secolo dell’era volgare, noi siamo stati ovunque banditi, schiacciati, odiati, spogliati, inseguiti e convertiti a forza.”
“Arringa per la mia terra” fu la manifestazione forse più decisa ed esplicita a favore di Israele. Ciò tuttavia non gli impedì, negli anni successivi, di impegnarsi attivamente per la pace fra arabi e israeliani. Anzi, negli anni ’80 fino alla sua tragica scomparsa nel 1988, dedicò gran parte delle sue energie proprio alla “battaglia” per la pace nel Medio Oriente, per la pace nella terra nella quale aveva finalmente trovato le sue radici e nella quale, alla fine, volle essere seppellito.
La musica, la pittura, l’impegno politico ed ecologista (negli anni ’80, per esempio, per la salvaguardia di Venezia)… Nonostante i molteplici fronti su cui Pagani fu impegnato, dopo la morte, il suo nome e la sua produzione artistica sono cadute rapidamente nel dimenticatoio. Herbert era “una persona piena di talento che non amava le mezze misure, che ti diceva tutto in faccia senza stare lì a girarci attorno, era sincero, anche duro”, ha osservato Ferradini. E’ stato dimenticato, “perché a volte le persone di talento danno fastidio ai mediocri: Pagani era un artista incredibile.”
La mia generazione – Tributo ad Herbert Pagani
Sabato 6 ottobre, ore 21.00
Palazzina Liberty . Largo Marinai d’Italia – Milano
Ingresso unico Euro 20 (e’ consigliata la prenotazione)
Info: eventi@lisolachenoncera.it – Tel. 331.1174083