di Nathan Greppi
Quando, nei primi anni ’20, viveva a Mosca, il pittore Marc Chagall si era messo ad insegnare arte in un orfanotrofio ebraico nel quale molti bambini erano giunti come profughi dall’Ucraina, dove in quel periodo si erano verificati numerosi massacri di ebrei. In tale occasione, Chagall ascoltò le terribili tragedie alle quali i bimbi avevano assistito: avevano visto i loro genitori venire uccisi, le sorelle violentate, e loro stessi, fuggendo dagli assassini che li braccavano, dovettero lottare contro la fame e il freddo.
Queste testimonianze erano solo tasselli di un mosaico più ampio: tra il 1918 e il 1921, nei territori dell’attuale Ucraina avvennero ben 1.100 pogrom, nel quale vennero sterminati tra i 50.000 e i 200.000 ebrei, a seconda delle stime fatte dagli storici. Eppure, essi sono poco studiati, forse perché “messi in ombra” dagli orrori che avrebbero avuto luogo in Europa vent’anni dopo. A gettare un fascio di luce su un capitolo storico tanto buio di recente è il saggio In the Midst of Civilized Europe: The Pogroms of 1918-1921 and the Onset of the Holocaust. Il libro è stato scritto da Jeffrey Veidlinger, storico e docente di Studi Ebraici dell’Università del Michigan.
La maggior parte dei massacri avvenne nella regione di confine nota come “Zona di residenza”, così chiamata poiché sotto il dominio dello zar era l’unica area dell’Impero russo dove gli ebrei avevano il permesso di risiedere in modo permanente. Negli anni precedenti ai fatti narrati erano già avvenuti dei pogrom, in particolare tra il 1903 e il 1905, anno d’inizio della Rivoluzione russa. E anche durante la Prima Guerra Mondiale i militari russi prendevano spesso di mira gli ebrei.
Quando la Russia si ritirò dalla guerra, nel 1917, gli ebrei cominciarono a nutrire speranze, anche perché con la caduta dell’Impero in Ucraina sorsero più stati indipendenti, che in un primo momento sembrarono garantire maggiore libertà e tolleranza. Tuttavia, in quel periodo sorse uno scontro generazionale tra i giovani che erano appena stati in guerra e i più vecchi, poiché i primi erano molto più ostili agli ebrei dei secondi.
Con lo scoppio nel 1918 della guerra civile nell’ex-Impero, tra forze comuniste e anticomuniste, gli ebrei si ritrovarono presi di mira in quanto associati al comunismo, il che portò a numerosi pogrom e massacri: in particolare, risalta la testimonianza di un massacro avvenuto nel marzo 1920 a Tetiiv, piccolo centro dell’Ucraina centrale; nel corso di un pogrom durato 10 giorni, i nazionalisti bianchi diedero fuoco ad una sinagoga affollata, uccidendo almeno 1.100 persone solo con quel gesto.
Ci sono stati anche casi di ebrei che, dopo essere sopravvissuti ai pogrom, hanno cercato vendetta contro i loro carnefici: in particolare, ebbe una certa eco mediatica l’omicidio del leader politico ucraino Symon Petliura, avvenuta a Parigi per mano del poeta ebreo Sholom Schwartzbard. Questi disse di aver agito per vendicare i pogrom avvenuti nell’Ucraina indipendente durante la guerra civile, quando alla guida del paese vi era proprio Petliura, identificato come il mandante degli eccidi. In seguito, si tenne un processo dove le discussioni sul coinvolgimento o meno del politico ucraino nei pogrom furono molto accese, mentre l’accusa sosteneva che Schwartzbard avesse agito per conto dei servizi segreti sovietici.
A parte il libro di Veidlinger, la storia degli ebrei ucraini nei primi decenni del ‘900 è stata trattata anche nei romanzi I cani e i lupi di Irène Nemirovsky (1940) e Addio Volodia di Simone Signoret (1985).