di Marina Gersony
Martin Heidegger, un antisemita? Un nazista? Un Giano bifronte dai due volti, uno encomiabile e l’altro ignobile? Come si conciliano la grandezza del filosofo con le sue scelte meschine? E come sottrarsi a questa visione dissociata e dissociante? La semplificazione (o l’urgenza) mediatica ha portato, secondo i casi, a equazioni lapidarie: se è stato un grande filosofo, allora non è stato nazista; se è stato un nazista, allora non è stato un grande filosofo.
Che il grande pensatore di Meßkirch avesse aderito al partito nazista per un certo periodo della sua vita è cosa risaputa e tuttavia ancora oggetto di interpretazioni. In questi giorni il dibattito sul suo presunto coinvolgimento nelle vicende storiche e politiche del nazismo riaccende polemiche (spesso strumentali) e dubbi mai fugati su un caso che richiederebbe una risposta oggettiva e finalmente definitiva.
«Se qualcuno, nel contesto italiano, si è affrettato a tacciare di tenebre Heidegger, chiudendo così il tema del totalitarismo con un gesto altrettanto totalitario, non è mancato chi, dal versante opposto, lo ha subito assolto liquidando immediatamente la “questione”. Entrambi i gesti, del tutto inadeguati, anche rispetto alla gravità dei temi che vorrebbero rimuovere, sono profondamente antifilosofici», osserva nella premessa Donatella Di Cesare, professore ordinario di Filosofia teoretica alla Sapienza di Roma e vicepresidente della Martin Heidegger-Gesellschaft. Nella monografia densa (e necessaria) Heidegger e gli ebrei. I «Quaderni neri» (Bollati Boringhieri, pagg. 360 € 17,00), la studiosa getta un’ulteriore prospettiva sul pensiero del filosofo tedesco, puntualmente oggetto di polemiche ma anche di nuovi spunti e rivelazioni.
Di cosa trattano dunque i Quaderni Neri? Cosa contengono i 34 Schwarze Hefte rilegati con tela cerata nera, consegnati da Heidegger al figlio e «chiusi a doppia mandata» con la richiesta (solo in parte disattesa) di essere pubblicati al termine delle sue opere complete? Privi di annotazioni personali e private, i quaderni raccolgono testi puramente filosofici durante un periodo di quasi quarant’anni, dal 1930 al 1970. Pubblicati in parte da Klostermann in Germania nella primavera del 2014, l’uscita dei rimanenti Hefte è prevista nei prossimi anni.
Da Lutero e fino ad Adolf Hitler, inizia così il tormentato viaggio nella storia di Heidegger; un affaire mediatico al centro delle riflessioni della Di Cesare. Con il rigore e la meticolosità della studiosa, divide il libro in quattro grandi capitoli: Politica e filosofia; La filosofia e l’odio per gli ebrei; La questione dell’Essere e la questione ebraica; Dopo Asuschwitz. Emergono così analisi e riflessioni sul “nazismo per caso” del filosofo tedesco, il suo antisemitismo, il non-detto della questione ebraica, la Metafisica del sangue; il Weltjudentum. Il complotto mondiale ebraico; il giudeobolscevismo e non solo.
Tutto parte, in ultima analisi, dalla breve adesione al nazismo del filosofo tedesco, senza la quale non ci sarebbe dibattito (o meglio, il dibattito non sarebbe lo stesso). Nonostante la versione ufficiale sia ormai più o meno accettata – “trattasi di un intermezzo politico” -, o meglio, di un atto spinto dalle circostanze più che da convinzione profonda, la sua militanza nazionalsocialista non è stata digerita del tutto e contribuisce a offuscare la sua figura di pensatore e di uomo. «Di quell’errore politico non gli restò che prendere atto, – annota la studiosa – le sue dimissioni furono accolte il 27 aprile 1934. Nel complesso si trattò solo di un anno – un periodo circoscritto, una parentesi scabrosa della sua vita, un incidente di percorso, un nazismo accidentale». Un incidente che dovette pesare a lungo sulla sua coscienza anche se molti continuano a sostenere che non si sia mai pronunciato esplicitamente riguardo al nazismo.
Le questioni messe in evidenza nel libro ruotano intorno alla Seinfrage, il rapporto tra l’Essere e l’Ebreo. Nei Quaderni neri Heidegger scrive chiaramente che la “questione ebraica” è una questione metafisica. Del resto l’Ebreo sembra essere insediato nel suo cuore e nella sua mente, ne parla in modo ossessivo senza tuttavia quasi mai citarlo, termini come «ebreo», «ebraico», «ebraismo» compaiono rare volte nelle pagine degli sterminati quaderni, anche se la presenza ebraica è e ovunque: nella colpevole assenza ai funerali del suo maestro ebreo Husserl (ammise in seguito l’errore); nelle riflessioni sul “Non essere dell’Ebreo” in Mein Kampf, nei suoi rapporti ambigui nei confronti dei suoi studenti ebrei all’università e così via.
Qual è dunque il rapporto tra l’Essere e l’Ebreo? In che senso viene imputata agli ebrei la colpa più grave, da cui dipende il destino dell’Occidente? E perché questa accusa viene mossa negli anni Trenta, dopo le leggi di Norimberga (1935), mentre inizia la guerra planetaria che dovrebbe condurre la Germania nazionalsocialista al dominio del mondo? L’antisemitismo metafisico, come ben sintetizza la quarta di copertina, solleva inquietanti e gravi interrogativi e rinvia alla responsabilità della filosofia nello sterminio.
Heiddegger prese in seguito le distanze dal nazismo, ci fu la svolta, la Kehre, e il suo distacco divenne sempre più marcato ed evidente. Ma la domanda, il dubbio, nel sottofondo rimane: la sua adesione fu uno sbandamento come molti pensavano (tra cui la stessa Hannah Arendt che fu sua allieva e amante) o fu una condivisione più ampia (e sottile) di quella filosofia aberrante a cui era in qualche modo legato? E’ vero che la sua opera, come hanno sostenuto alcuni suoi allievi o discepoli, come Karl Löwith o Levinas, abbia contribuito all’elaborazione dell’ideologia nazista?
Nell’inverno del 1933 (pagina 88), «prima che fra loro cadesse un lungo silenzio fino al 1950, Heidegger inviò un’ultima lettera alla Arendt che gli aveva espresso il suo disappunto per le voci che circolavano. Si diceva che all’università Heidegger discriminasse gli ebrei e che si comportasse da antisemita. Heidegger si difese negando con forza e respingendo con sarcasmo quelle voci, ma si trattava di una difesa talmente ambigua da volgersi in un’autoaccusa».
Disse Hannah Arendt: «La triste verità è che molto del male viene compiuto da persone che non si decidono mai ad essere buone o cattive». Chissà chi era davvero Martin Heidegger, il grande filosofo che non resistette, anche se solo per un istante, al fascino maledetto del nazismo.