di Anna Lesnevskaya
Fuggiti da Polonia, Germania, Austria e Jugoslavia, gli orfani ebrei trovarono rifugio a Nonantola. Un anno di quiete e speranza, coccolati dalla popolazione locale. Ma dopo l’8 settembre 1943, di nuovo in fuga, verso la Svizzera. E infine lo sbarco al porto di Haifa e la gioia di Erez Israel
Il 18 giugno del 1945 giunse nel porto di Haifa la nave spagnola “Plus Ultra”. Fu la prima nave a salpare alla volta della Palestina dal Mediterraneo occidentale dopo la fine della guerra. A bordo c’erano 400 profughi ebrei sopravvissuti alla Shoah. Tra di loro un 28enne sionista croato, Josef Indig, in compagnia di 46 ragazzi orfani. La loro storia di salvezza è conosciuta come la storia dei ragazzi di Villa Emma, dal nome della magnifica residenza rurale alle porte di Nonantola, paesino vicino a Modena, che tra il luglio del 1942 e il settembre del 1943 ospitò in tutto 73 bambini e ragazzi ebrei, di età compresa tra i 6 e 21 anni, provenienti da Germania, Austria e Jugoslavia. Grazie alla ricerca dello storico tedesco Klaus Voigt e all’attività della Fondazione Villa Emma di Nonantola ora sappiamo come andarono i fatti.
Nel marzo del 1941, Recha Frier, fondatrice dell’aliyah giovanile, affidò una cinquantina di ragazzi ebrei a Josef Indig, membro della direzione nazionale per la Jugoslavia dell’associazione giovanile sionista Ha-Shomer ha-Tza’ir, di ispirazione laica e socialista. Per la maggior parte, i ragazzi, provenienti dalla Germania e dall’Austria, erano figli di emigranti polacchi, le prime vittime delle persecuzioni naziste dopo l’invasione della Polonia e l’inizio della Seconda guerra mondiale. Recha fece arrivare i ragazzi in Jugoslavia, dove lei stessa era fuggita, sperando di mandarli poi in Palestina. Lei e altri 90 ragazzi riuscirono a partire, mentre Indig con la restante parte del gruppo rimasero bloccati a Zagabria dopo l’occupazione italo-tedesca della Jugoslavia il 6 aprile del 1941.
Temendo le persecuzioni degli ustascia, movimento nazionalista e antisemita che capeggiava il nuovo Stato fantoccio in Jugoslavia, Indig organizzò una fuga verso la Slovenia occupata dagli italiani. Il regime fascista, pur avendo introdotto nel 1938 le leggi razziali, non deportava (ancora) gli ebrei presenti sul territorio italiano. Partirono il 4 luglio per Lubiana. Le autorità italiane fecero entrare i ragazzi con gli accompagnatori e autorizzarono il loro soggiorno, nonostante vi fosse il divieto d’ingresso per i profughi ebrei. Come scrive lo storico Klaus Voigt, “rimase l’unica eccezione fino al termine della dittatura fascista”.
La destinazione finale del gruppo era il castello di caccia di Lesno Brdo, non lontano da Lubiana, che Indig aveva affittato con l’aiuto della Delasem, organizzazione di assistenza agli emigranti ebrei in Italia. Nella primavera del 1942 il gruppo si trovò in mezzo ai combattimenti tra gli italiani e i partigiani sloveni. La situazione diventò pericolosa e così, nel luglio del 1942, Indig con 40 ragazzi e 9 accompagnatori partirono per l’Italia con l’autorizzazione del Ministero dell’Interno.
La Delasem aveva affittato per loro una grande villa disabita a Nonantola, vicino a Modena, Villa Emma. Nonantola all’epoca contava circa 10 mila abitanti. All’arrivo alla stazione il 17 luglio i ragazzi furono accolti da una folla di contadini incuriositi che offrirono loro della frutta. Più tardi ai 40 ragazzi tedeschi e austriaci si sarebbe aggiunto un altro gruppo di 33 orfani ebrei provenienti da Spalato, nella fascia costiera della Dalmazia, sotto il controllo italiano. Erano tutti fuggiti dalla Bosnia e dalla Croazia, dove i loro cari erano stati arrestati e deportati dai nazisti. Così i ragazzi di Villa Emma diventarono 73.
La giornata dei ragazzi a Villa Emma si divideva tra lavoro e studio. Il mezzadro Ernesto Leonardi li addestrava nelle pratiche agricole. Più tardi fu allestito anche un laboratorio di falegnameria. Alcuni ragazzi ebbero la possibilità di lavorare nel magazzino della Delasem, che insieme alla sezione per l’assistenza ai profughi, fu trasferito a Villa Emma alla fine del ’42. Così a Nonantola arrivò anche Goffredo Pacifici, vicedirettore della sezione, che subito conquistò la simpatia dei ragazzi per la sua indole pacata. Lo chiamavano Cicibù.
La direzione della Delasem proibì ai ragazzi di uscire nel paese non accompagnati. Loro non mancavano di violare la regole e scappavano di nascosto. Nacquero amicizie con i nonantolani. In paese molti non tolleravano il regime fascista. Tra loro, il medico condotto Giuseppe Moreali, amante della musica. Si avvicinò molto a Indig e al pianista Georg Bories (Boris Jochvedson), ebreo russo e musicista di talento che insegnava la musica ai ragazzi. Moreali presentò loro il giovane sacerdote don Arrigo Beccari, economo del seminario attiguo all’antichissima abbazia di Nonantola.
L’8 settembre del ’43 il maresciallo Badoglio annunciò l’armistizio con gli Alleati. Le truppe tedesche occuparono l’Italia settentrionale, arrivando già il 9 settembre a Nonantola. I ragazzi non poterono più restare a Villa Emma. Una trentina di loro fu accolta in seminario, dove il rettore, monsignor Ottaviano Pelati, convinto da don Beccari, acconsentì a nasconderli insieme a Indig. I sacerdoti e il dottor Moreali si diedero da fare per trovare una sistemazione agli altri ragazzi. Furono accolti nelle case dei contadini e artigiani del paese e delle frazioni circostanti. Ma questa situazione non poteva durare a lungo. Indig, con Aldo Pacifici della Delasem, pensò alla fuga verso la Svizzera. Tra il 6 e il 14 ottobre, in tre gruppi, i ragazzi raggiunsero col treno Milano e da lì arrivarono a Ponte Tresa. Il comune di Nonantola rilasciò loro i documenti d’identità italiani senza l’annotazione obbligatoria dell’appartenenza alla “razza ebraica”. Nella notte guadarono il fiume Tresa, al di là del quale si trovava la Svizzera, rischiando di essere scoperti e catturati dalle guardie di frontiera tedesche. In Svizzera la maggior parte del gruppo fu riunita da Indig in un istituto per l’addestramento agricolo e dopo la fine della guerra partirono via Barcellona alla volta della Palestina Mandataria.
Solo un ragazzo del gruppo di Spalato, Salomon Papo, non poté fuggire con gli altri. Al momento della fuga si trovava in un sanatorio nell’appenino modenese, dove era stato mandato poco dopo l’arrivo a Nonantola perché malato di tubercolosi. Nel marzo del 1944 fu arrestato e deportato ad Auschwitz dove perse la vita. Anche Cicibù, Goffredo Pacifici, non sopravvisse alla Shoah. Dopo la fuga dei ragazzi, rimase in Italia per aiutare altri ebrei a passare la frontiera con la Svizzera. Insieme al fratello fu arrestato a Ponte Tresa il 7 dicembre del 1943 dalla milizia fascista e deportato ad Auschwitz il 1 agosto del 1944.
Per aver salvato i 73 ragazzi ebrei di Villa Emma il dottor Giuseppe Moreali e don Arrigo Beccari furono onorati nel 1964 dallo Yad Vashem con il riconoscimento di Giusti tra le Nazioni. Nel 1965 il sacerdote e il medico si sono rivisti con alcuni dei ragazzi di Villa Emma in Israele. Né don Arrigo, né gli abitanti di Nonantola si credevano eroi. Il sacerdote, a chi gli chiedeva del suo aiuto ai ragazzi ebrei, rispondeva: “Cosa avrei dovuto fare, se non quello che ho fatto?”.
INFO Convegno internazionale
Ai ragazzi di Villa Emma sarà dedicato il Convegno
Le strade del mondo · 7a edizione
Davanti a Villa Emma
La costruzione di un luogo per la memoria
dei ragazzi ebrei salvati a Nonantola
17-18-19 giugno 2016
Nonantola, Cinema Teatro Troisi
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