di Fiorella Nahum
Il 25 aprile è sempre stato per me un giorno sacro e irrinunciabile. Sarà per la mia età (ho compiuto 90 anni alla fine di gennaio), sarà perché ho vissuto il primo 25 aprile 1945 sulla mia pelle, nel contesto dell’Alta Italia, quando avevo 11 anni, e dal 1938 avevo dovuto nascondere la mia identità a Tripoli in Libia dov’ero nata e vivevo con la mia famiglia, per paura di essere discriminata e/o perseguitata, e senza aver mai potuto frequentare una scuola pubblica. Mio padre era stato messo a riposo dalle leggi razziali, poi la guerra, i bombardamenti, la separazione da lui per fuggire profughe a Venezia – mia madre, mia nonna e noi tre bambini piccoli – città dove viveva tutta la mia famiglia per parte materna da secoli e generazioni. Ma questa è un’altra storia.
Guardando indietro, rileggo la mia vita come un romanzo inimmaginabile e mi chiedo come io abbia potuto vivere tanti anni e ritrovarmi qui ancora a raccontare, come se fosse ieri, cercando di tirare i fili di tanti storici e indimenticabili eventi che hanno attraversato e determinato la mia vita. Ma queste sono altre storie.
Il 25 aprile 1945, con mia mamma, la mia nonna materna e i miei due fratelli minori, Sandra ed Enzo, ci trovavamo nascosti nella campagna veneta, sotto falso nome, in una casa colonica malandata, senza riscaldamento né servizi igienici, che era stata regalata per il loro matrimonio, all’autista abruzzese di un mio prozio, Clodoveo Stella e alla Nora (così la conoscevo e la ricordo) una bella e generosa donna friulana, che era stata cameriera dei miei nonni a Venezia per anni, e li aveva seguiti a Tripoli, dove aveva conosciuto Stella. Anche questa è un’altra storia.
Quella mattina il cielo era coperto, pioveva, e, fin dalla notte eravamo stati accompagnati, oltre che dai tuoni, anche dal rimbombo dei cannoni che arrivava da mesi a singhiozzo dal Po al Brenta, con un’ininterrotta intensità. Cosa inaudita, nei boschi si vedevano per la prima volta soldati tedeschi scappare a piedi o a cavallo (che probabilmente avevano rubato o requisito dai contadini, sbarazzandosi anche, potendo, dalle divise militari), per fuggire verso il Brennero. Avevamo paura e tutti assieme, Nora e Stella con il loro figlio Sandro, maggiore di me di un anno, mia nonna, mia mamma e noi tre fratellini, ci rintanammo poco dopo l’alba, in un piccolo casotto, seminterrato in parte, in mezzo al bosco, non lontano dalla casa, per aspettare gli eventi. Così ce ne stemmo fermi, zitti e buoni per alcune ore, fino a quando, nella tarda mattinata, tutti i rumori, i rimbombi, le figure che correvano, e anche la pioggia si acquetarono in uno strano e surreale silenzio.
Avevamo paura, e tanto più quando Stella, verso le 11.00 disse “Io non resisto. Per carità non muovetevi, vado a vedere cosa succede, state tranquilli, torno subito”. E sparì fra gli alberi, lasciandoci ancora più preoccupati e spaventati.
Passarono forse 20 minuti: lo vedemmo tornare urlante e trafelato: “L’ottava armata è a Stra!”
Questo momento è scolpito in modo indelebile nella mia mente e in fondo a tutta me stessa, perché mi ha restituito la vita, la memoria, e l’identità per sempre.
Un pianto irrefrenabile ci scosse a lungo tutti, seguito da urla di gioia e di libertà, mentre il cielo si andava rischiarando. E passammo tutta la giornata sullo stradone che collega Venezia e Padova, a gettare fiori ai carri armati del Generale Montgomery: canadesi, neozelandesi, indiani, tutto il Commonwealth che ci sorrideva e ci gettava cioccolata, caramelle e sigarette, ridendo, correndo e abbracciandoci tutti.
Gioia, sollievo e libertà: così oggi ritrovo il mio Venticinque Aprile, che credevo ormai, perduto per sempre.
Fiorella Nahum
Milano 25 aprile 2024