Ho conosciuto Lele Luzzati innanzitutto dal punto di vista professionale, come scenografo. Meglio: come co-autore di spettacoli teatrali, inventore di mondi, creatore di giochi, artista di quella deliziosa semi-credulità che ci fa entrare nelle fiabe narrate sulla scena. Da critico teatrale ho seguito con attenzione e piacere gli ultimi trent’anni della sua carriera: gli ultimi lavori con Aldo Trionfo la lunga collaborazione col Teatro della tosse, anzi il costante patrocinio sul lavoro di questa realtà che era una sua creatura, i mille altri contributi al teatro d’opera e di prosa. E poi le litografie, i libri, le mostre, la pratica quotidiana della creazione e del bricolage.
Non è questo il luogo per un’analisi critica. Vorrei solo dire che c’è del metodo nella sua magia. Che non bisogna fermarsi alla superficie così ingenua e cordiale. La lingua visiva di Luzzati era ricca e colta, le sue scelte rigorose, la sua conoscenza della macchina teatrale approfondita e consapevole. La facilità e la leggerezza che il suo lavoro hanno sempre suggerito al pubblico erano il frutto di un piacere vero, del gusto per il gioco con le forme e i materiali; ma anche di una riflessione lucidissima sulla funzione comunicativa della figurazione, sulla sua collaborazione con altre arti, sulla creatività come processo condiviso e attivo.
Pian piano nell’approfondire il mio percorso ebraico, ho compreso quanto fosse ebraico quello di Lele. Non solo nell’uso delle figure e dei simboli della nostra tradizione, ma nelle sue virtù morali: nella gioia dell’incontro, nella responsabilità nei confronti del gruppo, nella tensione verso ciò che più di tutto ci preme di dire, quando siamo artisti o uomini di pensiero, e che non è mai possibile dire davvero fino in fondo, ma cui l’arte può alludere meglio di ogni altra cosa. Capisco che queste parole un po’ pesanti sono profondamente inadeguate rispetto alla soavità e all’ironia dolce di Lele Luzzati, ma sento che sono vere, e non riesco a dirle meglio. Etica e trascendenza sono vocaboli pesanti e Lele era leggero e giocoso come una rondine di primavera; ma questa leggerezza era fatta di etica e amore della trascendenza.
Vorrei ricordare con voi le visite a casa sua, in alto su Genova, la preparazione della grande mostra di Milano, cui mi chiamò a collaborare, quegli spettacoli negli angoli della sua città o a Apricale, in cui esercitava la sua arte non con le immagini ma con la realtà, incollando davanti ai nostri occhi vicoli e case e forti e giardini e pezzi di mare. Vorrei… ma non posso, li tengo nel cuore come ricordi di una persona preziosa, uno di quegli incontri che ti arricchiscono la vita. Sono sicuro che mi resterà dentro per sempre.
Ugo Volli