di Rossella De Pas
Come è nata l’idea di fondare il Comitato per la Foresta dei Giusti in Italia?
L’idea è nata all’incirca una decina d’anni fa, più o meno all’epoca in cui uscì il mio libro sulla storia di Dimitar Pesev (ndr, “L’uomo che fermò Hitler. La storia di Dimitar Pesev che salvò gli ebrei di una nazione intera”, Milano 1999). Fu in quell’occasione che ebbi modo di conoscere il medico armeno Kuciukian, il quale stava facendo un lavoro per ricordare i Giusti che salvarono gli armeni durante il genocidio del 1915-16.
L’idea che sta alla base della creazione del Comitato è quella di rendere universale la categoria di Giusto.
Organizzammo un convegno internazionale all’Università di Padova e lì cominciammo a ragionare sulle diverse “tipologie” di Giusto: per ogni genocidio o crimine contro l’umanità, infatti, si possono individuare degli elementi comuni, ma poi subentrano le specificità.
Rispetto alla Shoah, per esempio, si parla di Giusto per indicare il non ebreo che ha salvato l’ebreo a rischio della propria vita.
Nel caso armeno, invece, Giusto è non solo colui che ha portato aiuto, che ha salvato delle vite umane, ma anche chi si impegna a preservare il ricordo di quel genocidio contro chi lo nega. Non si può dimenticare infatti che la Turchia, per lungo tempo, ha rifiutato di parlare di genocidio armeno e ancora oggi le sue posizioni sull’argomento sono controverse (nel 2006 lo scrittore Ohran Pamuk fu denunciato dal governo turco per aver accennato al genocidio degli armeni durante un’intervista rilasciata ad un giornale svizzero, ndr)
In Bosnia un’associazione affiliata a Gariwo (Gardens of the Righteous Worldwide), la Gariwo Sarajevo, ha considerato il ricordo di chi, durante la guerra, prestò soccorso alle popolazioni delle diverse etnie, come un modo per portare avanti un processo di conciliazione dei popoli di quella regione: ci sono stati Giusti fra i serbi, fra i croati, i musulmani…
Giusto in questo caso è colui che si è impegnato – ed è impegnato – nell’opera di conciliazione dei popoli. Proprio in seguito all’esperienza bosniaca, sono stato chiamato per lavorare sui Giusti del Ruanda, dopo il genocidio della popolazione di etnia tutzi durante la guerra civile del 1994. In Ruanda ci troviamo di fronte ad una situazione per alcuni aspetti simile a quella dei Giusti che salvarono gli ebrei: chi prestava aiuto, metteva a rischio la propria vita. Il caso ruandese tuttavia è molto complesso anche sul piano della definizione di “Giusto”: è accaduto molto spesso che chi salvò delle vite, poi ne uccise a sua volta delle altre.
Nel frattempo io, per mio conto, ho cercato di capire come era nata l’esperienza di Yad Vashem, e quale fu il ruolo di Moshe Bejsky, il magistrato israeliano la cui attività fu decisiva non solo nelle attività del Comitato dei Giusti in Israele ma anche nella definizione dell’attuale concetto di “Giusto”. Da quella mia ricerca ho tratto anche un libro, (ndr “Il tribunale del bene. La storia di Moshe Bejski, l’uomo che creò il Giardino dei Giusti”, Milano 2003) che è stato poi pubblicato in Israele, e tradotto in Spagna, in Brasile, in Bosnia, e che ricostruisce il percorso e i principi che sono stati alla base della fondazione del Giardino dei Giusti in Israele: i dibattiti interni, le problematiche; il partito più “dogmatico” ed il partito più “elastico”. Questo per dire come all’inizio le cose non furono semplici nemmeno in Israele. I primi due direttori del Comitato israeliano, Moshe Landau e Moshe Bejski, avevano idee diverse per esempio su Oskar Schindler. Alla fine ha prevalso l’approccio di Bejsky, ovvero una visione più ampia – e anche complessa – di “Giusto”, inteso non tanto come colui che compie un atto di eroismo, ma come colui che, per quanto è nelle sue possibilità oggettive, agisce per il bene altrui.
In molti casi, si è visto infatti, che anche gesti non particolarmente rischiosi, servirono a salvare delle vite – fra l’altro, proprio in Italia la maggior parte dei Giusti non ha messo a rischio la propria incolumità. Se si fosse applicata una formula rigida di Landau, avremmo avuto ben pochi italiani riconosciuti come Giusti – il che sarebbe stato sbagliatissimo.
Voi tendenzialmente seguite Moshe Bejski
Io tendenzialmente seguo Moshe Bejski. Sono contrario a creare la santificazione dei Giusti. Di fatto è nel mondo cattolico che si tende a vedere i Giusti come santi: uno rinuncia alla propria vita, rinuncia a se stesso per aiutare gli altri. In realtà il criterio che adottiamo per il riconoscimento di un Giusto si basa sulla considerazione che quella persona ha prestato aiuto a qualcuno perchè poteva farlo e sentiva di doverlo fare, non certo perchè si sentisse un santo!
Questo è stato il secondo passo del mio percorso.
Il terzo è sintetizzato nel mio ultimo libro, appena uscito (ndr “La bontà insensata. Il segreto degli uomini giusti”, Milano 2011). In esso ho cercato un po’ di ricostruire l’idea di Bene e dei suoi “pensatori”: ci sono state persone, intellettuali, filosofi, che hanno dato a questa idea una grande rilevanza nella letteratura, nella filosofia, nella memoria. Vasilij Grossman per esempio affronta questo tema nelle sue opere: nel nome del Bene universale, dice, sono state commesse le azioni più atroci; ciò che ha salvato e salva l’uomo è la bontà “insensata”.
Con “Vita e destino” Grossman è stato uno dei primi a denunciare le atrocità dei sistemi totalitari, a mostrare le somiglianze tra totalitarismo nazista e totalitarimo comunista: in entrambi i casi, furono commessi i crimini peggiori, ma con l’idea che ciò servisse ad un bene superiore, valido per il Bene dell’Umanità.
Nazisti, comunisti, turchi, fondamentalisti islamici, sono tutti accomunati e animati dalla convinzione di agire per il Bene del genere umano e per questo si sentono giustificati a commettere i delitti più spaventosi. L’Uomo, secondo Grossman, è attratto da queste idee di Bene universale e “ad ogni costo”, ne subisce il fascino intellettuale, se così si può dire. Ciò che lo salva, per fortuna, è la bontà insensata, la bontà insita nell’uomo, quella che non nasce dalle ideologie ma semplicemente dalla compassione, dall’aiuto verso il prossimo, ovvero dalla sua “umanità”.
Un’altra figura di cui parlo nel mio libro è Hannah Arendt, la quale ha posto un problema chiave, a mio avviso: e cioè che la morale sembra poter cambiare come cambiano le mode, secondo le stagioni, i gusti del momento; ma ciò che rimane invariato nell’uomo è la sua capacità di discernere il bene dal male; la capacità di pensare con la propria testa, di giudicare, di interrogare la propria coscienza.
Ecco, i Giusti, se si vuole, sono coloro che hanno pensato da soli, che si sono interrogati, che hanno agito secondo la propria coscienza, non secondo le idee imposte da altri.
Hans Jonas, un altro pensatore di cui parlo nel mio libro, sostiene che gli unici miracoli sono quelli compiuti dagli uomini: ad Auschwitz l’idea di D-o è stata salvata dai Giusti. Ad Auschwitz abbiamo assistito a D-o che si ritira dal mondo; chi ha fatto sì che D-o continuasse a vivere sono stato i Giusti.
Ecco, con questo libro ho cercato, diciamo così, di spiegare il pensiero di coloro che si sono interrogati e hanno fatto luce sull’idea di Giusto.
Il ricordo dei Giusti è qualcosa che si deve trasmettere di generazione in generazione – al pari del ricordo delle vittime. I Giusti non hanno cambiato la storia, ma hanno agito nello spazio loro concesso, quello della loro sovranità, ovvero quello della loro coscienza, senza pensare a quel che avrebbero potuto ottenere dal quell’azione.
Il messaggio che si vuole trasmettere, specie ai giovani, attraverso la creazione dei Giardini dei Giusti è proprio questo: che l’uomo può sempre intervenire nelle cose, anche attraverso una piccola azione.
La memoria dei Giusti è qualcosa che si proietta, deve proiettarsi sul tempo presente e futuro, non deve rimanere ancorata al passato bensì creare una sorta di staffetta morale.
Ad esempio in Ruanda il console italiano Costa, che adesso tra l’altro è candidato per il premio Nobel per la pace, ha seguito l’esempio di Perlasca: durante la guerra caricava sulla sua macchina ragazzini di etnia tutzi e li portava alla frontiere. In questo modo è riuscito a salvare almeno un centinaio di vite.
Questo è un esempio di ciò che intendo per “staffetta” della memoria.
Sono ormai circa 10 anni che il Comitato per il Giardino dei Giusti è attivo. Quali sono le prospettive per il futuro?
Innanzitutto va notata, l’attenzione che oggi finalmente si presta al discorso sui Giusti: prima non ne parlava nessuno, ora invece è uno dei temi di cui si discute durante il Giorno della Memoria, in particolare tra i giovani. Vedo anche che molti comuni in Italia sono interessati a scoprire e ricordare i “loro” Giusti e a commemorarli attraverso la creazione di Giardini dei Giusti.
Sto lavorando perché si possa fare una Giornata Europea per i Giusti: con Marek Halter in Francia stiamo lanciando una campagna per questo. Scriveremo un documento che sottoporremo al Parlamento europeo a Strasburgo perchè questa nostra iniziativa vada in porto.
E poi penso che ci sia la possibilità di coinvolgere anche gli educatori nelle scuole con un programma di educazione alla solidarietà; dietro al discorso dei Giusti c’è la storia ma si può fare anche filosofia, etica…
In fondo io ho fatto così: partendo dalle storie dei Giusti ho risposto a domande di filosofia e di etica; non basta raccontare la storia di Perlasca, bisogna inquadrarlo, bisogna ragionarci su.
Per quanto riguarda il Giardino dei Giusti, quali sono state le reazioni e l’accoglienza a Milano?
Abbiamo dovuto un po’ imporci per evitare che il messaggio del Giardino non venisse politicizzato. Io ho voluto fortemente che la politica rimasse fuori, che il Giardino fosse un’istituzione apolitica, un patrimonio di tutti i milanesi, indipendentemente dalle idee politiche degli uni o degli altri.
Il giardino è stato creato dal “Comitato Foresta dei Giusti-Gariwo”, dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e dal Comune di Milano.
Abbiamo un comitato internazionale di esperti e anche quest’anno c’è stata la cerimonia per la comunicazione del riconoscimento di nuovi Giusti.
Nel giardino di Milano abbiamo già consegnato l’onorificenza di Giusto a figure la cui opera di soccorso è stata riconosciuta a livello internazionale . E’ possibile consultarne l’elenco sul nostro sito (www.gariwo.net).
Certo, a Milano non è possibile fare un Giardino dedicato a 20.000 Giusti come a Yad Vashem: ma la cosa importante è presentare e ricordare figure la cui azione sia riconosciuta come significativa e “costruttiva”; è far passare il messaggio insito nella creazione stessa di un Giardino dei Giusti.
Poi, ci sono anche dei nuovi sogni, ma non le dico tutto.