di Stefania Ilaria Milani
Questa settimana Israele ha deciso di ricordare un uomo giusto. Giorgio Perlasca, funzionario comasco classe 1910 e morto il giorno di Ferragosto del ‘92, riceve l’omaggio musicale dell’Istituto Italiano di Cultura di Tel Aviv, diretto da Simonetta De Felicis e da Piergaetano Marchetti, in collaborazione con Raanana Symphonette Orchestra. Così il 9 – 10 – 11 – 12 dicembre si svolgono, tra le città di Petah Tikwa, Raanana e Beer Sheva, quattro concerti diretti da Omer M. Wellber assieme al primo contrabbasso della Fenice di Venezia Matteo Liuzzi e al tenore israeliano Guy Mannheim.
Con le musiche di Strauss, Bottesini, Mozart, Haydn e, soprattutto, con la composizione originale intitolata “His Finest Hour”, che il maestro Moshe Zorman ha appositamente dedicato al nostro grande Giusto tra le Nazioni ispirandosi alla poesia “Per non dimenticare” di Primo Levi, continua il progetto grazie al quale l’Orchestra di Israele si è aggiudicata sia una medaglia d’onore dal presidente della Repubblica polacca, sia un clamoroso successo su Youtube: commissionare a diversi compositori israeliani sette opere inedite per sette salvatori di ebrei durante la Shoah.
«Queste quattro esibizioni sono la prova che ciò che fece mio padre 70 anni fa è un esempio fondamentale per tutti e che la memoria, non solo della sua persona ma anche di questo tipo di umanesimo, è ancora viva» ha dichiarato il figlio di Giorgio, Franco, fondatore dell’omonima associazione nata in Italia per celebrare l’opera del padre mediante attività socio-culturali in favore di profughi e perseguitati che, per motivi ideologici, religiosi o di etnia, versano in condizioni di disagio.
«Quando ho ascoltato la straordinaria storia di Giorgio Perlasca, pensai che tutti avrebbero dovuto conoscerla. E noi abbiamo un unico modo per condividerla: la musica. Dunque era chiaro che da lì a poco avremmo commissionato a un artista un pezzo sulla sua vicenda – afferma Orit Fogel-Shafran, general manager della Raanana Symphonette Orchestra –. La musica è una forma di linguaggio universale e proprio con essa intendiamo raccontare le sue gesta incredibilmente coraggiose.»
Una vita da film
Scoppiata la seconda guerra mondiale, Perlasca fu mandato nei paesi dell’Est come incaricato d’affari con lo status di diplomatico al fine di comprare carne per l’Esercito. All’armistizio tra Italia e Alleati si trovava a Budapest: rifiutandosi di aderire alla Repubblica Sociale Italiana, venne internato per alcuni mesi in un castello. E qui comincia l’avventura. Grazie a un permesso ottenuto per una visita medica, riuscì a fuggire e a rifugiarsi presso l’Ambasciata spagnola, diventò cittadino spagnolo con passaporto intestato a Jorge Perlasca e collaborò con l’Ambasciatore Sanz Briz, che stava già rilasciando salvacondotti per proteggere dalle Croci Frecciate i cittadini ungheresi di religione ebraica.
Tutto bene sino a che Sanz Briz fu costretto a lasciare l’Ungheria per non aver riconosciuto l’autorità del governo di Szalasi e il Ministero degli Interni ordinò di sgomberare le case protette lungo il Danubio. Allora Giorgio Perlasca s’inventa l’impensabile. Perché non fingersi sostituto dell’Ambasciatore? Perché non proseguire a concedere salvacondotti in sua assenza, sfruttando la legge Rivera di riconoscimento della cittadinanza spagnola a tutti gli ebrei sefarditi sparsi nel mondo? Detto fatto, e il resto è storia. A fronte dei 586.555 ebrei ungheresi uccisi dalla furia nazista e dei soli 200.000 sopravvissuti, l’impostore buono ne mise in salvo 5218.
Dopo l’entrata dell’Armata Rossa in città, dopo una prigionia durata qualche giorno e a seguito di un travagliato viaggio attraverso Balcani e Turchia, poté finalmente riabbracciare l’amata patria. Da eroe invisibile si trasformò in uomo comune. Infatti non confidò mai a nessuno, nemmeno ai propri cari, quel che successe nei 45 giorni a cavallo tra il dicembre 1944 e il gennaio 1945. Soltanto alla fine degli anni ’80, quando alcune donne ebree ungheresi, bambine all’epoca delle persecuzioni, scrissero sul giornale della Comunità Ebraica di Budapest l’avviso di ricerca di un diplomatico spagnolo che quattro decenni addietro le aveva sottratte da morte certa, si risalì alla verità. Né Jorge, né console, né tanto meno spagnolo: l’uomo, che in quei freddi 45 giorni di guerra salvò 5218 persone, di nome faceva Giorgio Perlasca, signore italianissimo e molto riservato.
Così il 23 settembre 1989 Perlasca fu insignito da Yad Vashem, l’Ente nazionale israeliano per la Memoria dell’Olocausto, del riconoscimento di Giusto tra le Nazioni. Morì tre anni dopo, appena in tempo per scampare all’inesorabile ombra a cui l’oblio l’avrebbe destinato. Oggi lo troviamo sepolto nella terra di Maserà di Padova, con a fianco l’incisione חסיד אומות העולם .