di Redazione
Cresciuto in una famiglia ebraica milanese, dove il verde presente in casa era rappresentato da una palma liofilizzata se non proprio sintetica, senza nessuna cultura del verde, Jonathan Fargion ora è un architetto del paesaggio con tanto di laurea in architettura a Milano, specializzazione al New York Botanical Garden e carriera molto ben avviata presso uno degli studi di architettura più prestigiosi di New York. La sua passione e il suo lavoro sono l’architettura del paesaggio, la progettazione cioè di “spazi aperti”. Si è occupato di diverse case di campagna per newyorkesi facoltosi, di town houses nella stessa New York e ha, da poco, ultimato il giardino di uno dei più eleganti alberghi di Yaffo, in Israele, ricavato da un antico monastero, che verrà tra poco inaugurato. Lo abbiamo incontrato e intervistato sul suo lavoro.
Come sei arrivato al landscape?
L’esperienza, puramente architettonica, maturata nello studio di Massimiliano Fuksas a Roma e di Daniel Libeskind a New York mi hanno arricchito ma, paradossalmente, mi hanno anche allontanato dalla progettazione edilizia costituita da materialità, mattoni, cemento e altro.
In un mondo dove occorre sempre più vigilare sugli equilibri ecologici e dell’ambiente, il mio interesse si è rivolto verso la natura e ho pensato di utilizzare quello che già sapevo di architettura rivolgendomi verso il paesaggio.
Che cosa intendi?
Forme, odori, colori, morfologia del terreno, tipologie di fiori e di piante sono gli elementi fondamentali del paesaggio; allo stesso tempo, però, occorre tenere presente tutto un tessuto tecnico/architettonico molto sofisticato che comprende drenaggi, muri di contenimento, sedute, terrazze e vialetti. Tutto questo richiede di coniugare conoscenza tecnica e sensibilità estetica.
Insomma, da grande, ti sei innamorato del verde.
Essendo un paesaggista, non ho solo un’idea funzionalistica della natura, ma mi piace esaltarne le caratteristiche estetiche. Lavorare con il paesaggio significa, per me, facilitare il dialogo tra l’uomo, l’arte, la natura.
Come e dove metti in pratica questa tua idea?
Dovunque io possa intervenire. Non ho mai rifiutato nessun lavoro: dai grandi spazi ai terrazzi, è una soddisfazione per me poter suggerire come meglio far crescere cespugli e alberi. Anche chi acquista una semplice pianta, sa che deve occuparsene, entrare in sintonia con essa, amarla e gioire quando sta bene e diventa rigogliosa.
Quali dei tuoi lavori ti ha dato maggiori soddisfazioni?
Ho progettato una casetta sospesa tra gli alberi che mi ha divertito moltissimo; un giardino agli Hemptons su uno terreno difficile, scosceso e molto ventoso; spazi verdi in parecchi negozi di marchi di lusso. Sono tutte commesse private che arrivano allo studio per il quale lavoro. La mia aspirazione è però di progettare un grande spazio pubblico verde.
Che differenza farebbe?
Mai come vivendo in una metropoli, mi sono reso conto dell’importanza degli spazi aperti e verdi per restituire riposo agli occhi e sollievo allo spirito. Nei parchi pubblici, tutti hanno l’aria più contenta e gioviale. Passeggiando, incontri una comunità di persone che cerca pace ed equilibrio, sembrano tutti più amici, più disponibili all’incontro.