“La bicicletta di Bartali”, un film animato sul coraggio e l’amicizia

di Nathan Greppi

Che si tratti dei due giovani protagonisti nel presente o del campione di ciclismo Gino Bartali nei flashback del passato, quando corrono sulle loro bici la musica diventa coinvolgente e adrenalinica, quasi come se si volesse far percepire allo spettatore la carica di adrenalina che hanno dentro i ciclisti sullo schermo.

In generale, sono tanti gli aspetti interessanti del film d’animazione La bicicletta di Bartali, diretto da Enrico Paolantonio e prodotto da Rai Kids, in una coproduzione che coinvolge Italia, Irlanda e India. In origine nasce da un’idea del regista ebreo romano Cesare Israel Moscati, scomparso prematuramente nel 2019 e alla cui memoria è dedicato il film.

Tratto da un racconto dello scrittore Simone Dini Gandini e già presentato il 21 luglio al Giffoni Film Festival, il film è ambientato principalmente a Gerusalemme in anni recenti, e racconta la storia di David e Ibrahim; il primo è un ebreo israeliano, il secondo un arabo palestinese, che si ritrovano a gareggiare in squadre avversarie per un campionato giovanile di ciclismo. Inizialmente rivali, con il passare del tempo i due diventano amici, cosa che li porta a scontrarsi con le loro famiglie e i loro compagni di squadra.

 

Nonostante il clima di ostilità che David e Ibrahim percepiscono nelle rispettive comunità, entrambi ricevono il sostegno dei loro nonni; proprio il nonno di David, emigrato dall’Italia nel nascente Stato d’Israele nell’immediato dopoguerra, gli racconta di quando da ragazzo aiutò a Firenze Gino Bartali a nascondere nel sellino della propria bicicletta i documenti falsi che lo aiutarono a salvare centinaia di ebrei dalle deportazioni naziste.

Uno dei temi centrali della storia è la paura del diverso: quando David gioca con la sorella minore ad inventare storie, si immaginano un gigantesco serpente che, per fare del male alle persone, penetra nei loro cuori per infondere loro paura e risentimento. Un altro tema importante è la maturità: in un periodo in cui il nipote sta crescendo, sia perché è arrivato il suo momento di dimostrare quanto vale come ciclista sia perché di lì a poco celebrerà il suo Bar Mitzvah, il nonno porta David allo Yad Vashem per raccontargli la storia sua e di Bartali di fronte ai nomi dei Giusti tra le Nazioni italiani, affinché possa essere per lui un modello.

Oltre all’encomiabile colonna sonora di Marcello Panni, la canzone di chiusura è affidata alla cantante israeliana Noa. Invece, per quanto riguarda la trama e le illustrazioni, la pellicola riesce a trasmettere un messaggio positivo, anche se talvolta i dialoghi risultano stereotipati, e si sente che il film non è stato realizzato né da israeliani né da palestinesi. Inoltre, tra poster e graffiti che incorniciano il paesaggio, a volte capitano degli “easter egg” che lasciano perplessi: ad esempio, nel villaggio arabo di Ibrahim si vede un poster con scritto “Visit Palestine”; peccato che fosse stato realizzato nel 1936 da un artista ebreo, Franz Krausz, per promuovere il turismo e l’immigrazione ebraica nella Palestina sotto Mandato Britannico.

In conclusione, La bicicletta di Bartali può sembrare un film eccessivamente ottimista e manicheo, specialmente in questo periodo. Ma forse, questa può essere una ragione per cui vale la pena vederlo: pensare positivo e non perdere mai la speranza in un futuro migliore.