di Roberto Zadik
La “mistica” rockstar Lenny Kravitz si racconta, come mai prima d’ora, nell’autobiografia “Let Love Rule” e svela il suo lato ebraico paterno e molte altre curiosità, dalla sua famiglia all’esordio nel 1989
Da ormai trentatré anni, dal lontano 1989, il cantautore e musicista newyorchese Leonard Albert Kravitz, detto Lenny, è una vera leggenda contemporanea tanto energica e coinvolgente, nei suoi scatenati live, quanto estremamente introverso e riservato cosicché ben poco si sa su di lui. Un personaggio decisamente carismatico e spesso eccentrico col suo stile così anni ’70, ispirato a Jimi Hendrix e alla psichedelica scena rock dell’era hippie ed il sound grintoso pervaso dalla voce penetrante, dai virtuosismi chitarristici e da testi intimisti e a volte religiosi che, fin dagli inizi, parlavano di fede e di Dio nella splendida Believe o in God is love.
Ma cosa si nasconde dietro lo strabiliante talento di Lenny, brillante vocalist e virtuoso polistrumentista capace di passare da travolgenti ritmi rock, si pensi a successi anni ’90 come Are You gonna go my way e Fly away, a struggenti brani come Can we find a reason e, soprattutto, cosa c’entra Lenny Kravitz con il mondo ebraico?
A rivelarlo è proprio lui stesso nella sua coinvolgente confessione autobiografica Let Love Rule (pp 241, 21 euro, Mondadori). Realizzato assieme ad un biografo esperto come il giornalista americano David Ritz, il testo raccoglie una serie di aneddoti, curiosità e gossip in maggior parte finora inediti. Pagine scorrevoli e dense in cui Kravitz si racconta con schiettezza ed asciutta ironia partendo dalla sua nascita, il 26 maggio 1964, e dal suo ambiente famigliare stimolante ma molto complesso, per arrivare al 1989 anno in cui si ferma la narrazione ed inizia sua la lunga e gloriosa carriera artistica.
Il musicista 58enne ripercorre venticinque anni di vita in un memoir emozionante. Come sottolinea un articolo uscito sul New York Times il 23 settembre 2020 e firmato da Rob Tannenbaum, Lenny nacque in un contesto famigliare colto, altolocato ed immerso nello show business anche se segnato dalle due identità e dalle personalità così diverse dei suoi genitori. Suo padre, descritto come duro e poco comunicativo, è nientemeno che il produttore della rete tv NBC Seymour Kravitz, detto Sy, ebreo americano di origini ucraine mentre la madre è l’attrice afroamericana Roxie Roker, nata a Miami da genitori provenienti dalle isole Bahamas, star della popolare serie tv dei Jeffersons.
Infatti Kravitz si descrive come “un uomo segnato dagli opposti, dall’essere bianco e nero, ebreo e cristiano, sia di Manhattan che di Brooklyn”. Nella prima parte del libro il cantautore newyorchese si sofferma sui conflitti con il padre, con cui fece la pace solamente nel 2005, poco prima della sua morte a 81 anni, e su entrambe le sue origini, ebraica e afroamericana ricordando di chiamarsi Leonard come il suo amato zio morto nella Guerra di Corea e insignito per il suo eroismo di una Medaglia al valore dopo la sua scomparsa.
Molto intenso fu il suo rapporto con i nonni paterni e come sottolineato in un articolo uscito su Forward.com, sua nonna gli preparava specialità ebraiche Est europee come la pasta, nello specifico le farfalle, condite con grasso di pollo fritto (kasha varnishkes) e suo nonno Joe aveva al collo il simbolo ebraico Chai, che significa vita. A proposito del suo ambiente ebraico paterno disse “i film di Woody Allen mi ricordano molto lo humour ebraico in cui sono cresciuto”.
In questa appassionata confessione egli sottolinea di essere stato “un bambino multiculturale, di aver voluto fare il Bar Mitzva come i suoi cugini ebrei e di essere stato l’unico bambino nero alla scuola ebraica” in una costante sensazione di insicurezza e di timidezza che lo perseguitò lungamente. Aneddoti, come la festa di Chanukkà in famiglia, sensazioni e personaggi descritti da Lenny Kravitz con sobria freschezza e assoluta sincerità.
Molto legato alla madre, scomparsa a 66 anni nel 1995, con cui scoprì la musica gospel, il cristianesimo e la star afroamericana James Brown così come il jazz e l’opera, Kravitz descrive approfonditamente la sua infanzia segnata sia dal precoce contatto con la musica. A 5 anni vide le performance dei Jackson Five e in gioventù quelle di Prince, sia dallo scontro con il papà. A questo proposito il musicista rivela, in un’intervista al New York Times, che “nonostante non fosse per niente religioso, mio padre era legato alle tradizioni e andavamo tutti assieme in sinagoga nel periodo delle feste solenni autunnali”. Voleva conservare le tradizioni dopo il dramma della sua famiglia nella Seconda Guerra Mondiale”.
Riguardo alla sua vita privata egli rievoca l’incontro con la fascinosa attrice Lisa Bonet, anche lei nata da una coppia multiculturale, padre afroamericano e madre di origine ebreo russa. Conosciuta nel backstage della serie dei Robinson, in cui la Bonet sosteneva il ruolo della figlia ribelle Denise, fra i due fu subito grande amore e, dalla loro unione , il primo dicembre 1988 nacque la loro figlia Zoe Kravitz che attualmente si definisce ebrea laica, consapevole della propria identità ebraica e afroamericana. “Lisa era la mia versione femminile” scrive Lenny raccontando i difficili inizi nella musica in cui cercava di elaborare un suo stile, il look con lunghe trecce alla Bob Marley e quel modo inconfondibile di cantare e suonare che lo avrebbe contraddistinto nella sua lunga carriera.
Dopo anni di incertezza e fortune alterne, tutto cambiò da quel favoloso 1989 quando la coinvolgente canzone Let Love Rule, che dà il titolo al libro, si rivelò un travolgente successo grazie al suo timbro vocale penetrante e a quella memorabile parte finale in cui sassofono e batteria duellano fra loro. In tema di aneddoti molto interessante anche l’intervista del giornalista Tannenbaum a Kravitz riguardo al libro e ad altri argomenti. “Quando ho scritto questo memoriale” ha affermato la star “ho cercato di provare un sentimento di accettazione e di perdono, provando a comprendere mio padre come uomo e non come genitore e ad accettarmi per quello che sono”. Nell’intervista sul NY Times egli rivela di essere “contro la violenza e il razzismo” sottolineando di essere molto legato alla figlia Zoe che “si è trasferita a vivere da me quando aveva 11 anni, mi ha sempre seguito nei concerti in giro per il mondo e siamo grandi amici, parliamo di tutto”.
Fra le confessioni del libro e dell’intervista Lenny racconta anche del suo rapporto con le droghe e di quando fumava marijuana, come Bob Marley, dagli 11 anni fino ai 35 per poi smettere e ricorda con nostalgia gli anni ’70 e i tempi dei Jackson 5, band da cui emerse come solista la popstar Michael Jackson, e della celebre casa discografica Motown. In conclusione egli ha detto” questo libro,” dedicato a sua madre come la struggente canzone Thinkin of you, “riguarda il mio viaggio interiore per trovare la mia voce”.