Irena Sendler, soprannominata la Schindler di Varsavia, è appena mancata, a 98 anni, in una casa di riposo della capitale della Polonia. La sua opera di partigiana antinazista è stata conosciuta solo nel 1999, quando una ricerca dell’Università del Kansas ha messo in luce la sua attività durante la seconda guerra mondiale. Di recente il Senato polacco aveva votato all’unanimità un documento raccomandandola per il premio Nobel per la pace.
La sua storia è esemplare. Nel 1942 entrò nella resistenza nazionale e il movimento clandestino Zagota la incaricò di operazioni di salvataggio di bambini ebrei: ne salvò circa 2.500. Fino a quando poté, portò via dal ghetto di Varsavia i piccoli ebrei con un’ambulanza, mettendo a fianco dell’autista un cane, i cui latrati coprivano i pianti dei piccoli. Irena Sendler, il cui nome di battaglia era polenta, con documenti falsi o falsi certificati di malattia, riuscì a entrare e uscire dal ghetto per portare denaro, medicine, abiti, messaggi, ma soprattutto a contrabbandare bambini che poi trasferiva presso famiglie cristiane o conventi. Si assicurò pure che tutti questi atti venissero documentati: scrisse in codice il vero nome del bambino, il nuovo nome e il nome della famiglia o del convento che lo aveva accolto e nascose i foglietti in vasi sepolti in un giardino.
Questo per essere sicura che i bambini potessero tornare alla loro famiglia dopo la guerra o che almeno fosse più facile rintracciarli. Sendler venne arrestata nell’ottobre del 1943. I nazisti le spezzarono le gambe (da allora fu costretta in sedia a rotelle), ma lei non parlò né rivelò l’identità di quelli che aveva salvato; fu condannata a morte, ma i suoi compagni partigiani riuscirono a farla fuggire. Poi visse nascosta fino alla fine della guerra e neppure sotto il regime comunista la sua vita fu tranquilla. Nel 1965 Yad Vashem le conferì il titolo di Giusto fra le nazioni e nel 1991 le venne concessa la cittadinanza onoraria israeliana.