Davide Ferrario, un giovane regista che ha al suo attivo vari film (Tutti giù per terra, Se devo essere sincera, fra gli altri), è lautore e sceneggiatore del documentario La strada di Levi che ricostruisce il cammino compiuto da Primo Levi dopo la liberazione da Auschwitz avvenuta nel gennaio 1945, fino allarrivo a Torino dove egli giunse in ottobre, ben nove mesi dopo.
Il film, presentato recentemente anche alla Festa del cinema di Roma e al Film Festival di Londra, ripercorre le migliaia di chilometri del viaggio che lo scrittore raccontò nel libro La tregua, pubblicato nel 1963. Esso è il testo, il vangelo a cui fa riferimento il regista, è la traccia che gli ha indicato la via, che egli ripercorre, passo dopo passo, con tutte le deviazioni verso nord e verso est che dilatano i tempi del ritorno, per via delle ferrovie impraticabili, o per la burocrazia russa o per il precario status degli italiani bloccati nella parte sovietica dellEuropa postbellica.
E sulle tracce dello scrittore, Ferrario e la sua troupe hanno attraversato la Polonia, lUcraina, la Bielorussia, la Moldavia, la Romania, lUngheria, la Slovacchia, lAustria, la Germania. Come Levi, anche il regista vi ritorna descrivendo eventi attuali dellEuropa orientale. Non è un film su Primo Levi, dice. È un film sul viaggio di Primo Levi. Il film tratto dal romanzo dallo stesso titolo, La tregua, è di Rosi.
Il film si apre con alcune immagini delle Torri Gemelle distrutte, pochi giorni dopo l11 settembre. Nel commento alle immagini il regista spiega che proprio come il viaggio di Levi ebbe luogo durante la tregua tra la fine della Seconda Guerra e linizio della Guerra Fredda, anche questo cammino si compie durante la tregua attuale, quella dei giorni nostri, il periodo fra la caduta della cortina di ferro e linizio della guerra al terrorismo.
Il film scorre attraverso il luoghi che Levi ha descritto nel suo libro e presenta limmagine attuale dellEuropa post comunista. Nella repubblica Ceca e in Polonia si racconta il collasso dellindustria dellacciaio che nellera sovietica dava lavoro a decine di migliaia di operai: adesso vi sono solo poche centinaia di persone che lavorano per una compagnia inglese. In Bielorussia, lultimo paese comunista dEuropa, la macchina da presa inquadra lagente del KGB che ha accompagnato la troupe, che mette in bocca ai direttori del kolchoz, le fattorie collettive, parole filocomuniste. Poi non manca una sosta anche a Cernobyl, dove il silenzio è la cosa che sconvolge di più; si è soffermato in remote, deserte città rumene e moldave, abbandonate dagli abitanti che sono emigrati allovest; o nelle vaste distese ucraine, dove Levi dice di essersi riabituato alla natura dopo il lungo tempo di Auschwitz; e in Germania, dove viene mostrata la sede del NPD, ossia il partito neonazista. In Germania naturalmente non cè solo questo, dice Ferrario, ma non si può negare che siano proprio i neonazisti a rappresentare i fantasmi del passato, che è tuttaltro che morto e non è senza influenza sullEuropa di oggi. Come i contadini ucraini sono i nostalgici del passato sovietico, i neonazisti tedeschi sono i nostalgici del passato dEuropa.
Per tutto il viaggio, il filmato è accompagnato da brani tratti dal libro che contribuiscono a rendere più evidente il confronto tra lEuropa di ieri e quella di oggi. Il film non cerca scene o ambienti che si adattino alle parole di Levi ma si concentra sugli elementi umani citati da lui, che ritroviamo nei fenomeni contemporanei.
Come il viaggio di Levi, anche il film ha termine a Torino, in corso Re Umberto 75, che vide non solo lultima tappa del cammino dello scrittore nellottobre del 1945, ma anche lultima fermata della sua vita, con la sua morte nel 1987.