di Michael Soncin e Fiona Diwan
Donne ebree protagoniste del XX e del XXI secolo. Anticonvenzionali, coraggiose, in grado di pensare fuori dagli schemi. Personaggi “avanti” nel loro campo, innovatrici, voci fuori dal coro. Capaci di una magnitudo espressiva dirompente. In politica, in letteratura, nella scienza, nelle arti, nella beneficenza, nell’imprenditoria. Un libro ci racconta l’epopea di figure femminili uniche, caratterizzate da uno “sguardo ebraico” sul mondo, da un pensiero laterale e divergente che non si accontenta di accettare la realtà così com’è ma che cerca (per quanto possibile) di cambiarla
Non è una battuta alla Woody Allen. Le donne hanno (quasi) sempre ragione? Forse sì, in particolare alcune (di origini ebraiche). L’ha avuta l’israeliana Ada Yonath quando vinse nel 2009 il premio Nobel per la chimica per i suoi studi sulla struttura e sulla funzione dei ribosomi. Ha avuto ragione Simone Veil quando ha immaginato un’Europa unita e solidale contro lo spettro di tutte le guerre, diventando la prima Presidente del Parlamento europeo. Ha avuto ragione Rita Levi-Montalcini, neurobiologa torinese, quando è andata contro i dogmi dell’intera comunità scientifica mondiale, dimostrando che il cervello è un organo dinamico, tutt’altro che statico, ottenendo poi nel 1986 il Nobel per la medicina. Aveva ragione Melanie Klein, un’altra scienziata della mente di origini austriache, per i suoi lavori pionieristici nei primi anni del ‘900 nel campo della psicanalisi infantile, estendendo il campo delle conoscenze aperto da Freud, quando intuì che il bambino “percepiva” l’oggetto come buono o cattivo.
Dalla scienza al cinema. Che dire di Natalie Portman, che nel 2010 ha creduto con forza nel personaggio de Il cigno nero, quando decise di incarnare un modello di schizofrenia femminile come mai ancora era stato restituito dal cinema, guadagnandosi così un Oscar? Anticonvenzionali e coraggiose, capaci di pensare fuori dagli schemi, voci fuori dal coro, a loro modo personaggi “avanti” nel loro campo. Innovatrici e pugnaci, che hanno saputo dimostrare come l’intelligenza femminile, che sia emotiva oppure razionale, possa rivelare una magnitudo espressiva unica, peculiare, sebbene non necessariamente di genere, significativa e dirompente.
Donne che non mollano, dalla testa dura, capaci di smarcarsi dalla toxic masculinity, lo sguardo maschile sulle donne ha condizionato il destino femminile per secoli, fino a ora. Che siano secolarizzate, religiose, laiche, tradizionaliste, sono tutte figure caratterizzate da uno “sguardo ebraico” sul mondo, un pensiero laterale, divergent come dicono gli americani, con un’attenzione particolare ai diritti dei deboli e a un aspetto progressivo e mutazionale del destino umano, una fiducia nella possibilità del cambiamento.
La lista dei nomi potrebbe essere lunghissima, in tutti gli ambiti del sapere, della creatività, del pensiero, dell’imprenditorialità, della medicina e della ricerca scientifica. Niente name-dropping, per carità, le liste degli ebrei celebri sono noiosissime, si sa, ma onestamente qui è difficile scamparla, visto il poco spazio di queste pagine (ci scuserete!). C’è Bobbi Brown, classe 1957, nativa di Chicago, (e prima di lei che dire di Helena Rubinstein), imperatrice indiscussa della cosmetica contemporanea.
E ancora c’è Annie Leibovitz, che ha rivoluzionato l’arte del ritratto e della fotografia di moda, imponendo canoni visivi innovativi, e prima di lei Diane Arbus, con i suoi epocali ritratti di freaks, capace di ribaltare la sensibilità visiva del suo tempo. E poi Francesca Levi-Schaffer, di origini milanesi, oggi brillante scienziata nel campo dell’immunofarmacologia presso le Hebrew University, membro del comitato del Ministero della Salute Israeliana durante la campagna anti-Covid in Israele, la prima “donna-medico” al mondo per velocità di reazione alla pandemia, diventando un modello per tutti. C’è poi la poetessa di origini ungheresi Louise Glück, nata il 1943 a New York, Nobel per la letteratura nel 2020, le cui liriche hanno commosso generazioni di cultori. E poi, da Tel Aviv, Ayelet Gundar-Goshen, oggi quarantenne, con i suoi romanzi, destinata ad essere tra i nuovi guardiani della letteratura israeliana insieme a Zeruya Shalev, altra scrittrice forse tra le più talentuose della scena letteraria internazionale. E che dire di Mila Kunis, nata a Černovcy nel 1983 nell’allora Ucraina Sovietica, attrice e modella emigrata negli Stati Uniti, regina planetaria della beneficienza, che per il suo paese nativo in grande difficoltà a causa della guerra in corso ha raccolto la cifra di ben oltre 36 milioni di dollari? Dal mondo delle istituzioni abbiamo invece Janet Yellen (New York 1946), economista e politica, la prima donna americana a ricoprire il ruolo di Segretario al Tesoro degli Stati Uniti, dimostrando una competenza e intuito assolutamente fuori dal comune. Da non dimenticare poi la storica dell’ebraismo Deborah Lipstadt (New York 1947), esperta mondiale per i suoi studi sul negazionismo e la Shoàh, celebre per aver vinto il processo contro il negazionista David Irving. Come dicevamo, la lista potrebbe essere infinita. Oggi la chiudiamo qui, ma l’avventura dell’unicità femminile ebraica viene da lontano, inizia secoli fa… (leggetevi il pezzo qui sotto).
Pasionarie e in prima fila nelle lotte civili: per i diritti degli “ultimi”
“Emancipazione e istruzione. Donne ebree a cavallo tra XIX e XX secolo”
di Esterina Dana
Audaci e controcorrente, concrete e al tempo stesso visionarie, cosmopolite e poliglotte. Donne di estrazione borghese colte e istruite. Essere donne ed essere ebree tra il XIX e il XX secolo in Italia e sentire il dovere di “riparare il mondo” (tikkun olam) è ciò che accomuna le protagoniste del Convegno svoltosi a Milano il 3 novembre 2022 (Si veda Bet Magazine Dicembre 2022, pag. 26 Sebben che siamo donne… ebree, italiane: cent’anni vissuti da pioniere e protagoniste) di cui oggi escono gli Atti. Mosse da una forte tensione etica e sociale, provengono dall’ambito dell’ebraismo laico sensibile ai mutamenti in atto in Italia e all’estero.
Dalla loro posizione di marginalità, sociale in quanto donne, identitaria in quanto ebree, colgono e accolgono i segnali innovativi di emancipazione femminile provenienti dall’estero. Lo fanno agendo i valori fondanti dell’ebraismo in un contesto diasporico non sempre accogliente, quando non dichiaratamente ostile: istruzione ed educazione, pedagogia, lettura e scrittura, filantropia sono il patrimonio concettuale dal quale osservano soprattutto il mondo femminile. Il loro “sguardo ebraico” è caratterizzato dalla percezione di una mancanza (di diritti, di libertà, di giustizia) che esige di essere colmata. Lo fanno, non per caso, a partire dall’istruzione e dall’educazione (Hinukh), corredo necessario per conservare e trasmettere la memoria individuale e collettiva come garanzia di futuro e di speranza.
È in quest’ottica e da questo background che si comprende l’impegno a Torino di Paola Carrara Lombroso (Pavia, 1871 – Torino, 1954). Pedagoga socialista e antifascista, è convinta assertrice dell’educazione come via di affermazione sociale. La sua identità ebraica è imprescindibile dal suo essere educatrice e scrittrice per l’infanzia. Il suo engagement in campo psicopedagogico appare rielaborato laicamente su un passo del Talmud (Il mondo si regge sul respiro dei bambini che studiano-TB, Shabbath 119b) e si intreccia con quello politico, volto a ricomporre il divario di classe, emancipare le donne e realizzare una società giusta. Per promuovere la lettura fin dall’infanzia fonda un giornale per bambini come il Corriere dei Piccoli nel 1908 e crea il progetto delle Bibliotechine Rurali.
Lo stesso scopo è perseguito da Clara Archivolti Cavalieri (Livorno, 1852 – Roma, 1945). Introdotta tra le famiglie di area liberal-moderata, esercita un ruolo fondamentale nella lotta all’analfabetismo tramite l’organizzazione, prima a Ferrara e poi a Bologna, delle Bibliotechine per le scuole elementari. L’iniziativa, volta alla diffusione della cultura popolare e della lettura, rivela il suo impegno psicopedagogico. Viene formalizzata nel 1904 in un primo Comitato da lei presieduto, costituito da nobildonne del mondo ebraico ferrarese, ed esposta anche nel primo Congresso delle donne italiane nel 1908 a Roma. L’ancestrale vissuto ebraico di discriminazione e persecuzione costituisce l’ipersensibile fuoco prospettico della realtà in essere, che spiega l’empatia verso i diseredati e convoglia spesso le forze fisiche, economiche e politiche verso un umanesimo socialista.
È dirimente la postazione ebraica nel caso di Rina Melli (Ferrara, 1882 – Pavia, 1958). Madre ebrea ortodossa, padre ebreo laico (come lei), appartiene “antropologicamente” alla borghesia ebraica, allora motore economico e politico della città di Ferrara, il cui humus culturale vanta la presenza di figure come Felice Ravenna, uno dei fondatori della Federazione sionistica italiana e amico e collaboratore di Theodore Herzl. Per la Melli, quella femminile è una questione di classe, che la vede giornalista e assiduamente impegnata politicamente, nonché attiva sindacalista e unica partecipante femminile alla neonata Camera del Lavoro. Nel 1901 fonda Eva, il primo periodico in Italia di esclusiva propaganda per le donne ignorate dalla stampa socialista. L’attenzione al linguaggio (informale) e l’uso della forma dialogica, immediatamente recepibile dalle classi più svantaggiate culturalmente, rivelano la sua impronta didattico-educativa: appreso che l’emancipazione risiede nella capacità di autoeducarsi, la lettrice diventa essa stessa educatrice: lilmod (imparare) u’lelamed (e insegnare).
Dallo stesso substrato concettuale si sviluppa la complessa e altrettanto innovativa idea di educazione come autoformazione e apprendimento continuo di Amelia Pincherle Rosselli (Venezia, 1870 – Firenze, 1954). Patriota di tradizione mazziniana, antifascista e scrittrice polimorfa, intende la narrazione come un modo per “dare nuove forme al mondo”. L’educazione formale, acquisita attraverso lo studio, e informale, acquisita dalle esperienze di vita, rappresenta un principio morale e civile finalizzato alla formazione delle giovani generazioni e rimanda all’impegno per il miglioramento della società. È in questi valori che Amelia cresce i figli Aldo, Carlo e Nello, indirizzandoli agli studi nel rispetto della loro personalità e inclinazione: “Educa il bambino secondo la sua strada” si legge nel libro dei Proverbi 22,6. Conoscitrice della Bibbia e della storia delle religioni, non è praticante. I valori etici dell’ebraismo restano “nei principi immanenti di giustizia e libertà” applicabili nella vita quotidiana.
La lezione di Aurelia
È impossibile non sottolineare l’importanza delle istituzioni scolastiche senza associarle al nome di Aurelia Josz, pedagogista fondatrice nel 1902 a Milano della prima Scuola Professionale Agraria Femminile. Offrire un’istruzione qualificante alle ragazze che ambiscono a una collocazione professionale nell’agricoltura, che le affranchi da un’attività ridotta alla sola sfera domestica e che le tuteli dallo sfruttamento è la sua mission. Il valore del lavoro agricolo e di un ritorno alla terra, reale e sognata, è tema centrale dell’ebraismo sionista a cui Aurelia aderiva.
Il fil rouge ideologico che ispira molte delle figure citate nel volume è il socialismo di Anna Kuliscioff (Moskaja, Cherson, 1854 – Milano, 1925). Medico e giornalista russa naturalizzata italiana, attivista politica socialista, fondatrice e principale esponente del Partito Socialista Italiano insieme a Filippo Turati (1892), influenza Paola Carraro Lombroso, frequentandone il salotto familiare in cui introduce l’attualità politica, il dibattito economico e l’impegno a favore delle classi subalterne. Ma anche Rina Melli, incontrata a Milano nel 1910, di cui ospita gli articoli su La Difesa delle Lavoratrici, periodico socialista da lei creato nel 1912. Anna Kuliscioff lotta per l’uguaglianza sociale e politica del proletariato e delle donne, nonché per il loro diritto di voto. Elabora un testo di legge per la tutela del lavoro minorile e femminile che, presentato al Parlamento dal Partito Socialista Italiano, viene approvato nel 1902 come legge Carcano, nº 242.
Le donne ebree trovano nella filantropia lo spazio per sostenere e tutelare gli svantaggiati, in linea con la tradizione di assistenza espressa nella zedaqah: non carità o beneficenza, ma atto dovuto di giustizia sociale, come espresso nelle mizvòt she ben adàm la-haverò. Nello specifico, dare dignità al lavoro delle donne ne favorisce l’autodeterminazione. In questo senso va sottolineato il ruolo della filantropia nel settore tessile, “espressione artistica femminile al contempo contadino ed ebraico”, laddove il sostegno alle donne bisognose si declina in una chiave imprenditoriale dall’impatto duraturo sulla società.
In merito alla filantropia, non va dimenticata l’ADEI-WIZO. L’associazione, fondata in Italia nel 1927 allo scopo di operare per il progresso dell’umanità a livello nazionale e internazionale, è impegnata ancora oggi in attività assistenziali e culturali.
L’entusiastica partecipazione femminile ebraica alla vita nazionale italiana è bruscamente interrotta dalle leggi razziste del 1938. Alcune delle protagoniste del rinnovamento politico e sociale italiano emigrano (in Svizzera, in America, in Terra di Israele), alcune muoiono nei campi di sterminio, come Aurelia Josz ad Auschwitz. Ma la Resistenza e la nascita della Repubblica italiana fu l’occasione per ritornare attive nella vita pubblica e culturale dello Stato.
Donne ebree protagoniste. Tra il XIX e il XX secolo, a cura di Elisa Bianchi e Paola Vita Finzi, Guerini e Associati, 2023, 21.00 euro.