Le scienze senza gli ebrei: il suicidio intellettuale dell’Italia fascista

Personaggi e Storie

di Angelo Guerraggio e Pietro Nastasi*

Con le leggi antiebraiche, intere scuole scientifiche furono cancellate e altre profondamente toccate dall’espulsione  di eminenti studiosi ebrei: una vera e propria decapitazione, di cui il Regime volle ignorare la portata devastante

I decreti legge del 5 e 7 settembre 1938 andarono a colpire, come è noto, gli ebrei stranieri presenti sul territorio nazionale (e nelle colonie) e i docenti e gli studenti italiani di religione ebraica.

Il ministro dell’Educazione nazionale Giuseppe Bottai si distinse per l’applicazione zelante e puntigliosa dei provvedimenti razziali nel settore dell’istruzione. Passava per un intellettuale, un fascista colto e critico, ben visto negli ambienti che si permettevano qualche atteggiamento di fronda nei confronti del regime. Non esitò però a schierarsi apertamente a favore delle vessazioni antisemite e a mostrare un particolare scrupolo nel veicolarle nel settore di sua competenza con una serie di circolari e di disposizioni integrative. Sua è la campagna di “bonifica del libro”, volta a purificare i manuali scolastici dalle contaminazioni giudaiche con la cancellazione di brani, citazioni e qualsiasi riferimento a studiosi di cultura ebraica. Sua è pure la circolare n. 6027 con la quale chiedeva a tutte le università una breve relazione sullo svolgimento della cerimonia inaugurale dell’anno accademico ‘38-‘39 per controllare che i nuovi orientamenti razziali fossero stati colti nella loro importanza e promossi in modo adeguato. Con i provvedimenti del settembre del ‘38, gli studenti ebrei furono espulsi dalle scuole con effetto immediato – si parla di 6.000 allontanamenti – e solo agli universitari fu concesso di concludere il percorso di studi (sia pure in presenza di precarie prospettive occupazionali, visti i provvedimenti fortemente limitativi introdotti per l’accesso alle professioni). Anche i professori ebrei furono estromessi dall’insegnamento e licenziati, così come vennero esclusi da accademie e associazioni culturali e professionali. Non potranno neanche più scrivere libri di testo, pure se questi fossero firmati assieme ad un autore ariano.

La scuola italiana di fisica fu cancellata con un tratto di penna. Bruno Rossi, Enrico Fermi (la cui moglie, Laura Capon, era ebrea), Emilio Segré, Ugo Fano ed Eugenio Fubini emigrarono tutti negli Stati Uniti; Giulio Racah si trasferì all’università ebraica di Gerusalemme, Bruno Pontecorvo a Parigi. Un altro disastro fu rappresentato dalla dispersione della scuola torinese di biologia fondata da Giuseppe Levi con la perdita per la scienza italiana dei suoi allievi, futuri premi Nobel, Salvatore Luria, Rita Levi Montalcini e Renato Dulbecco. La chimica perse due fra i principali cultori del settore industriale della disciplina: Giacomo Maria Levi e Renato Levi.

Gli esiti della legislazione antisemita sulla comunità matematica furono devastanti. Vennero allontanati dall’insegnamento Guido Ascoli (ordinario di Analisi matematica a Milano), Ettore Del Vecchio (ordinario di Matematica generale e finanziaria a Trieste), Federigo Enriques (ordinario di Geometria superiore a Roma), Gino Fano (ordinario di Geometria analitica a Torino), Guido Fubini (ordinario di Analisi matematica al Politecnico di Torino), Guido Horn d’Arturo (ordinario di Astronomia a Bologna), Beppo Levi (ordinario di Analisi matematica a Bologna), Tullio Levi-Civita (ordinario di Meccanica razionale a Roma), Arturo Maroni (ordinario di Geometria analitica a Pavia) , Giorgio Mortara (ordinario di Statistica a Milano), Beniamino Segre (ordinario di Geometria analitica a Bologna), Alessandro Terracini (ordinario di Geometria analitica a Torino) (1).

 

Tullio Levi Civita

Definire devastante per le sorti della ricerca matematica italiana il loro allontanamento dall’università non è eccessivo: basti pensare, tra gli altri, ai nomi di Enriques (uno dei “padri” della scuola italiana di Geometria algebrica) e di Levi-Civita, uno dei più stimati studiosi italiani a livello internazionale. Fu una vera e propria decapitazione; al confronto, valutandone le conseguenze, l’altrettanto grave sopraffazione compiuta con il giuramento del 1931 perde quasi di importanza. L’eliminazione dall’università di questi insigni studiosi fu accompagnata dal tentativo di riscrivere la storia della scienza italiana per mostrare che essa era essenzialmente opera di ricercatori di razza ariana e che i contributi di quelli di origine ebraica erano stati davvero minori. Il biologo Sabato Visco, il cui nome rimane legato al Manifesto della razza, in un suo intervento alla Camera nella primavera del ‘39 dichiarava che l’università italiana aveva perduto i suoi docenti ebrei “con la più serena indifferenza” guadagnando in “unità spirituale”, senza che si fossero verificate le previsioni catastrofiche di alcuni “ben pensanti” (2).

Anche per la figlia di Luigi Cremona (fondatore della scuola italiana di geometria), Itala, risentita con il razzista Paolo Orano che aveva citato il padre come ebreo, non c’erano dubbi che i contributi dati dagli italiani di origine ebraica fossero stati minimi: “Ho letto col più vivo interesse e con intensa comprensione di italiana, di fascista e di cattolica, il suo interessantissimo Gli ebrei in Italia, così saturo di verità, e di dottrina e così tempestivo per il suo contenuto (…). Lei vuol dimostrare – ciò che è – che il contributo dato alle scienze e all’arte, dagli italiani di origine ebraica, nell’ultimo secolo e mezzo, è minimo. Benissimo (…). È vero che dalla fine dell’800 a oggi, nell’insegnamento universitario della matematica, vi è una notevole prevalenza di studiosi ebrei. Ma così non è stato nel periodo aureo delle matematiche superiori in Italia, che dal 1850, o giù di lì, viene fin verso la fine del 1800, quando nell’agone emersero quasi simultaneamente Brioschi, Cremona, Beltrami, Bellavitis, Dini, Betti, Battaglini e Casorati, ingegni di primissimo ordine che onorando l’Italia, ebbero fama e celebrità oltre Alpi. E furono essi i fondatori della Scuola Matematica Italiana. Ebbene, tutti questi, cui molti altri nomi potrei aggiungere, erano cristianissimi. Gli ebrei vennero dopo e furono loro allievi” (3). La signora Cremona non si rendeva conto di fare un grave torto alla generazione risorgimentale dei matematici italiani, ben rappresentata da suo padre che, partecipando per intero al processo di formazione del nuovo Stato, aveva dato un impulso non secondario all’emancipazione degli italiani ebrei e al loro inserimento nelle strutture statuali. Per questo, i matematici ebrei “vennero dopo e furono loro allievi”. Se i matematici della generazione risorgimentale non badavano alla religione dei loro allievi, badavano moltissimo alla loro qualità. Insomma, i matematici ebrei erano stati allievi di maestri non ebrei (Cremona, Betti, Bertini, Dini, Veronese, Ricci-Curbastro) e a loro volta avevano formato allievi non ebrei (Severi, Chisini, Conforto, Fantappié, Krall e Zappa, solo per fare qualche nome). In occasione del secondo congresso nazionale dell’Unione Matematica Italiana, nel ’40, il presidente Luigi Berzolari sentiva la necessità di ribadire che “anche dopo la dipartita dei professori di razza ebraica, non è venuta meno la produzione scientifica nel nostro Paese, anzi, che nel clima fascista essa ha ripreso nuova vita e vigore”. D’altra parte, il ministro Bottai fu caldamente applaudito nel suo intervento inaugurale quando esclamò: “Più che un trionfo è una rivelazione: la matematica italiana, non più monopolio di geometri d’altre razze, ritrova la genialità e la poliedricità tutta sua propria (…) e riprende con la potenza della razza purificata e liberata, il suo cammino ascensionale”. La “rivelazione” di Bottai si era già palesata ai matematici italiani incaricati di redigere un elenco degli studiosi che costituivano il vanto della disciplina nel nostro Paese, in preparazione della Esposizione Universale di Roma del ’42 (che non avrà mai luogo per lo scoppio della guerra). Ebbene, non un solo nome di matematico ebreo è menzionato in questo elenco! Anche a costo di rendere farsesca la presentazione di alcuni settori di ricerca.

* All’impatto delle Leggi razziali sul mondo della matematica ha dedicato un ampio dossier (curato da Angelo Guerraggio e Pietro Nastasi) il numero 104 della rivista Lettera matematica, trimestrale di cultura e di informazione matematica del Centro Pristem.

 

 

NOTE
(1) Furono altresì espulsi dalle Università: Cesare Rimini, incaricato di Analisi matematica a Bologna; Eugenio Curiel, assistente di Meccanica razionale a Padova; i liberi docenti Alberto Mario Bedarida, Giulio Bemporad, Bonaparte Colombo e Bruno Tedeschi. Inoltre Guido Castelnuovo e Gino Loria, già in pensione, venivano privati delle cariche accademiche mentre Vito Volterra, che già nel ‘31 e nel ‘35 aveva “lasciato” l’insegnamento e le cariche accademiche per essersi rifiutato di giurare fedeltà al fascismo, veniva ora radiato dall’Unione Matematica Italiana assieme a Giulio Vivanti e agli altri nomi prima citati. Giorgio de Santillana, allievo di Enriques e raffinato storico della matematica, scelse la via dell’esilio negli Stati Uniti dove fece un’importante carriera.
(2) Cfr. Antonio Di Meo (a c. di), Cultura ebraica e cultura scientifica in Italia, Editori Riuniti, Roma, 1994.
(3) La lettera si trova in P. Orano, Gli ebrei in Italia, Pinciana, Roma, 1937 (ma ristampa 1939).