di Mino Chamla
Simonino da Trento Dalla propaganda alla storia. Una mostra al Museo Diocesano Tridentino, un catalogo che “fa storia a sé”.
L’invenzione del colpevole. Il “caso” di Simonino da Trento dalla propaganda alla storia è il titolo di una esposizione che si è tenuta di recente presso il Museo Diocesano Tridentino. A lasciarne traccia duratura provvederà il poderoso e ponderoso catalogo che, come si dice in questi casi, fa storia a sé; e una storia nient’affatto effimera…
Il sottotitolo dice già tutto, non solo nell’indicare quella che è, a tutt’oggi, l’accusa del sangue (Trento 1475), contro gli ebrei, forse più celebre di sempre, ma soprattutto nel dichiarare la solida prospettiva nella quale si è proceduto per allestire la mostra: dalla propaganda di secoli – attraverso stampa, culto e soprattutto “arte sacra”, in senso lato –, alla rigorosa storicizzazione, quasi a portare a compimento quanto intrapreso con l’abolizione ufficiale del culto di San Simonino in data 28 ottobre 1965 (si noti: la data della dichiarazione Nostra Aetate, con la quale il Concilio Vaticano II sancì una svolta straordinaria nei rapporti ebraico-cristiani di duemila anni; la coincidenza fu voluta e cercata).
Si è detto dell’arte sacra ricollegabile al culto di Simonino. In effetti, una buona parte del catalogo è dedicata a un’analisi molto tecnica di quanto esposto nel MDT, e quindi rappresentazioni, quadri, vetrate…, cose un tempo collocate nelle chiese e in altri luoghi, al centro di un culto locale fervido e praticato con passione (con tanto di miracoli “verificati”), e ora pura documentazione storico-artistica. Ed è così tecnica e particolare, questa parte iconografica, da lasciarla senz’altro all’esame degli specialisti.
Ma anche le icone sono storia, e in questo caso storia pesante. Non per niente Simonino è stato definito il primo “santo tipografico” della storia. E la fine del Quattrocento, con la prima diffusione di libri e immagini a stampa, costituì terreno ancor più fertile per l’affermarsi di leggende antiebraiche quale quella dell’omicidio rituale, e in particolare quando, come nel caso di Trento, la Chiesa ufficiale avallò per la prima volta, sia pure con riluttanza e sotto pressione dei potentati locali, l’infamante accusa. È appunto il contesto storico-ideologico, prima, dopo e durante, che emerge con forza, in tutte le sue sfaccettature, dai saggi che compongono la prima sezione del catalogo, dedicata più specificamente a “storia e devozione”.
Gli spunti sono davvero tanti, da potere e dovere solo essere accennati a sommi capi, e soltanto alcuni: il ruolo del perfido vescovo Johannes Hinderbach nel “caso Simonino”, in un passaggio temporale in cui Trento è davvero sul punto di diventare crocevia storico, tra Chiesa e Impero, poco prima del sogno imperiale di Carlo V, e poi luogo prescelto, non a caso, per il grande evento del Concilio già nel clima della Controriforma; il ruolo delle donne ebree di Trento, risparmiate, alla fine, ma costrette alla conversione, e in particolare la figura di Brunetta, la moglie di Samuele, capo della comunità e primo indiziato nel processo, anche perché il cadavere del piccolo Simone era stato fatto trovare alle porte di casa sua; Brunetta sarà l’unica a non “confessare” e a resistere alle torture, per poi morire in carcere nel 1476; il ‘900, così contraddittorio, ben esemplificato dal percorso di vita di Giuseppe Brunner, nel 1905 fotografo ufficiale per la nuova urna nella quale il cadavere del “beato” era stato accomodato, al centro della cappella della Chiesa di Pietro a Paolo; e più tardi, lo stesso Brunner, nel 1946, da cattolico osservante, che rifiuta di partecipare alla processione decennale di Simonino, grande evento cittadino – come a dire: ancora Simonino dopo lo sterminio? Anche no!; mentre gli organizzatori e tanti altri adepti del mini-Santo vanno avanti imperterriti per la loro strada; gli elementi di continuità tra l’antigiudaismo ancora medioevale all’origine dell’accusa del sangue e le molto più tarde diramazioni dell’antisemitismo moderno e della sua “teoria del complotto”, fino comunque al riproporsi, con nuovi significati, tra ‘800 e ‘900, dell’antica accusa…
Concludiamo con due osservazioni. La prima riguarda la Chiesa cattolica e il suo impegno autocritico anche nella circostanza di cui stiamo parlando. Sono molti gli enti pubblici che hanno contribuito al realizzarsi di questa mostra, ma al centro c’è la diocesi di Trento con il suo Museo, senza dubbio nella linea indicata da Monsignor Igino Rogger, l’uomo che, nel 1965, fu il protagonista, con Gemma Volli a fare da stimolo “ebraico”, della revisione storica che portò all’abolizione del culto, ma soprattutto all’assoluzione piena e definitiva di quei poveri ebrei, e di tutti gli ebrei, di tanto tempo prima.
D’altra parte, deve avere un significato il fatto che in prossimità di queste “Pasque di sangue”, nel senso del coronavirus, sia saltato fuori, via social, il quadro di un pittore pugliese, riproponente gli stereotipi visuali e la sostanza dell’antica mitologia antiebraica. Già il clima non era granché, da qualche (molto) tempo. Ma è certo che, specie in tempi calamitosi, sia davvero destino ebraico doversi difendere sempre da tutti i virus, anche da quelli, metaforici ma concretissimi, che tornano dal più oscuro passato.