di Ilaria Myr
Che lo si chiami Chamsa, Khamsa, mano di Fatima o mano di Alo, è conosciuto dai più come amuleto portafortuna, capace di scacciare il malocchio, ideale da portare come ciondolo al collo, come orecchini o come oggetto da appendere per proteggere la casa dai pensieri malvagi. Ma la storia della mano con due pollici ai lati aperti verso l’esterno ha origini religiose, tanto affascinanti quanto antiche.
È probabile che essa sia stata introdotta dai Cartaginesi intorno all’800 aev, come simbolo e attributo di Tanit, dea della Luna e della fertilità. Non è però escluso che le sue origini siano ancora più arcaiche, collegate al culto sumero di Inanna e a quello Assiro-babilonese di Ishtar, dea dell’amore, della fecondità e della bellezza, della fertilità della terra.
Successivamente l’amuleto sarebbe stato recuperato dagli ebrei, che vollero vedere in esso la Mano di Miriam, sorella di Mosè e Aronne. Le cinque dita (hamesh in ebraico) simboleggiano i cinque libri della Torah, o anche HE, la quinta lettera dell’alfabeto, nonché uno dei nomi di Dio. La Mano tra gli ebrei riporta incise preghiere propiziatorie e di benedizione (come lo Shemà o la benedizione sulla casa, la Birkat haBait), e spesso reca la Stella di David incisa nel palmo.
Per l’Islam, invece, ha assunto il nome di Mano di Alo o Hamsa o Khamsa (che in arabo significa cinque) o anche Mano di Fatima, e in questa accezione è simbolo di libertà. Di Fatima, la figlia del Profeta Maometto, si diceva che quando andava a pregare nel deserto la pioggia cadesse, facendo sbocciare i fiori.
Sposò Ali, cugino del padre e primo imam per lo Sciismo, e lo amò di un grandissimo amore, al punto che, quando lui portò a casa una concubina, come era suo diritto fare, Fatima immerse la mano nella zuppa bollente, e non si accorse nemmeno del dolore, tanto era lo strazio nel suo cuore.
Per entrambe le religioni, quindi, essa è espressione della presenza di Dio, che vede, benedice e protegge, o in una parola, della Mano di Dio.