L’unica donna nella stanza del comando: una vera statista

di Esterina Dana

Tenace, intuitiva, instancabile, Golda Meir ha scalato tutti i gradini della carriera politica. La sua autobiografia, uscita nel 1974, viene ripubblicata oggi da Vanda edizioni

Si chiamava Golda Mabovitch in Meyerson, cognome dal 1956 trasformato nel più israeliano Meir (colui che illumina). Nata a Kiev nel 1898, è stata una delle figure femminili più influenti del XX secolo: femminista di fatto; artefice della creazione dello Stato di Israele; prima donna ad aver ricoperto il ruolo di Ministro degli Esteri (1956-1966) e Premier (1969-1974).

Tenace, intuitiva, instancabile, ha scalato tutti i gradini della carriera politica. La sua autobiografia, uscita nel 1974, viene ripubblicata oggi con una prefazione di Anna Momigliano, da Vanda edizioni, in un testo che, pur poderoso, si legge tutto d’un fiato. È emozionante leggere e ascoltare dalla sua stessa voce l’avventura esistenziale e politica di questa donna eccezionale.

“Per me – scrisse – essere ebrei significa … essere orgogliosi di far parte di un popolo che ha mantenuto la sua identità distintiva per più di 2.000 anni, con tutto il dolore e il tormento che gli sono stati inflitti”.

 

La fame e la paura dei pogrom segnano la sua primissima infanzia e determinano il suo avvicinamento al sionismo e al socialismo. Nel 1906 la famiglia emigra a Milwaukee (USA) in cerca di fortuna. A casa della sorella, Golda assiste a dibattiti su sionismo, suffragio femminile, letteratura, socialismo. Diventa insegnante di yiddish e si sposa con Morris Meyerson. La sua esperienza politica inizia a 15 anni nel movimento laburista sionista. Animata da un profondo spirito pionieristico, nel 1921 si trasferisce nella Palestina mandataria con un’epica traversata insieme al marito Morris e alla sorella.

Si stabilisce provvisoriamente a Tel Aviv, felice di trovarsi “nell’unica città completamente ebraica del mondo intero dove tutti […] gli ebrei potessero vivere a pieno diritto […] non vittime bensì padroni del loro destino”. Raggiunge il kibbutz di Merhavya, nella valle di Jezreel, ma la fatica del lavoro agricolo e il collettivismo stride con la salute e il temperamento taciturno e riservato di Morris, che patisce la mancanza di intimità. Fanno quindi ritorno a Tel Aviv. Ma l’impegno di Golda per il futuro degli ebrei di Palestina mina la sua vita privata e il suo matrimonio con Morris da cui si separa.

Costretta ad allevare i due figli da sola, si dibatte fra senso di colpa e lavoro. La sua vera vocazione consiste nella costruzione dello Stato di Israele. In un lungo peregrinare negli Stati Uniti, riuscirà a ottenere dalle comunità della diaspora i finanziamenti indispensabili all’impresa. Nel 1938 negozia con gli USA per aprire i confini ai profughi dalla Germania nazista e combatte con gli inglesi che, a seguito della grande rivolta araba del 1939, avevano pubblicato il terzo Libro Bianco: imponeva la riduzione dell’immigrazione e degli stanziamenti ebraici in Palestina.

Per cercare di limitare la guerra con i Paesi arabi dopo la dichiarazione d’Indipendenza, intraprende una missione segreta in Giordania. Al re Abdullah, che le consiglia di “non avere fretta” nel proclamare la nascita dello Stato, risponde: “Aspettiamo da 2000 anni e questa lei la chiama fretta?” Il 14 maggio 1948 vede la proclamazione dello Stato d’Israele, di cui è una dei trenta firmatari.

La missione diplomatica più cruciale, come ministro plenipotenziario, la porta negli Usa per raccogliere i fondi per le armi necessarie al neonato Stato che deve affrontare gli attacchi degli Stati arabi confinanti. Egitto, Siria e Libano, Giordania e Iraq vengono respinti dalle forze di difesa israeliane ufficialmente istituite. Come ministro del Lavoro (1949-1956) fu fondamentale nella creazione del sistema di welfare israeliano e nella costruzione di infrastrutture.

Morto Levi Eshkol nel 1969, Golda diventa premier del governo di unità nazionale. Alla tragedia delle Olimpiadi di Monaco (1972) risponde con l’ordine di eliminare i responsabili in tutto il mondo. Affronta il terrorismo palestinese e la guerra del 1973, evitando un attacco preventivo per assicurarsi il supporto degli USA con cui aveva conferito nella persona di Henry Kissinger. Israele si trova impreparato di fronte all’aggressione di Egitto e Siria, che avviene il 6 ottobre 1973, Yom Kippur. Golda Meir è accusata di aver risposto troppo tardi e con una preparazione insufficiente. Morirono centinaia di soldati. Le facce dei loro famigliari, le critiche sui giornali e il rimorso non l’abbandonarono mai. “Non sono più stata la stessa dopo la guerra del Kippur”, disse e, nonostante nel 1974 fosse stato riconosciuto che il Primo ministro non aveva alcuna responsabilità nell’iniziale esitazione a rispondere all’aggressione, si dimise definitivamente. Aveva 76 anni.

Malata di leucemia da 12 anni, morì due anni dopo. Così si esprimeva Oriana Fallaci che l’aveva intervistata nel 1972 (Intervista con la storia): “Io non sarò mai obiettiva su Golda Meir.[…] A mio avviso, anche se non si è affatto d’accordo con lei, con la sua politica, con la sua ideologia, non si può fare a meno di rispettarla, ammirarla, anzi, volerle bene”.

Golda Meir, La mia vita. L’unica donna nella stanza, trad. Gabriella Ernesti, pref. di Anna Momigliano, Vanda Edizioni, pp. 715, euro 35,00.