di Raffaele Picciotto
Ruspe, scavatrici e gru sono al lavoro. Le fondamenta ci sono già. E nella primavera del 2013, assisteremo all’ inaugurazione, a Varsavia, del Museo di Storia degli Ebrei Polacchi; lo stesso Presidente d’Israele, Shimon Peres, ha annunciato la sua presenza all’evento “per onorare la storia millenaria degli ebrei di questo Paese”. A postuma e grama consolazione, la Polonia, dopo la lunga notte del regime comunista, riconosce oggi gli Ebrei come parte integrante della sua Storia. Simbolicamente il Museo è situato nel cuore di quello che era il Ghetto di Varsavia, di fronte al monumento agli Eroi del Ghetto progettato da Nathan Rapoport, proprio dove ebbe luogo uno degli ultimi capitoli nella storia dell’Ebraismo polacco, nel Paese che era stato sede della più numerosa popolazione ebraica del pianeta e il centro della vita ebraica nel mondo. Il Museo che illustra la sacralità della vita e della civiltà ebraica in Polonia sarà situato di fronte al monumento di coloro che sacrificarono la loro vita con la morte in battaglia per la difesa dei propri cari e della propria gente.
Oggi l’eroica e tragica epopea del Ghetto di Varsavia è nota a tutti, con dovizia di particolari. Ma non sarebbe stato così se non ci fossero pervenute le notizie e i diari di chi visse quella tragedia: i diari di Mary Berg, sopravissuta grazie al suo passaporto americano; di Chaim Kaplan che fu deportato e perì a Treblinka dopo aver consegnato i suoi diari a un amico; di Janina Bauman (moglie del filosofo Zygmunt Bauman), scappata dal Ghetto prima della rivolta e nascostasi nella Varsavia ariana.Ma le informazioni più complete furono raccolte durante l’occupazione nazista di Varsavia da un gruppo di persone organizzate da un professore di storia ebreo, Emmanuel Ringelblum. Nato nel 1900, Ringelblum era convinto che la storia fosse qualcosa di più di una raccolta di biografie di re e generali (in linea con il grande storico Fernand Braudel, l’inventore della microstoria). Anche lo storico Ringelblum credeva nella preminenza delle testimonianze di gente comune e si appoggiò a questa idea per scrivere le sue opere sulla vita degli ebrei in Polonia. Egli cercò di collegare gli ebrei del proprio tempo con il loro retaggio, scrivendo ad esempio circa la nascita dei nomi delle vie della Varsavia ebraica. Nel 1933 egli fu colpito da quanto stava accadendo in Germania con l’ascesa del nazismo e decise, come scrisse sui suoi diari, di iniziare una raccolta intensiva di materiali relativi ai decreti di Hitler e alle reazioni ebraiche, fotografie, lettere, documenti, posters. (Sul tema, ci sono innumerevoli pubblicazioni. Segnaliamo Martin Gilbert, The Holocaust, Press, London 1986; Gustavo Corni, I ghetti di Hitler, Il Mulino; The Yad Vashem Encyclopedia of the Ghettos, Yad Vashem 2009)
Il 27 ottobre 1938 Hitler espulse dalla Germania 18.000 ebrei che pur vivendo in Germania erano nati nelle provincie polacche dell’impero russo. Essi furono caricati sui treni ed accompagnati alla località di frontiera di Neubenschen. Qui, dopo essere stati spogliati dei loro averi, furono fatti proseguire a piedi verso la località polacca di Zbaszyn. Tra coloro che erano ad accogliere i profughi vi era anche Ringelblum che, non solo dirigeva gli aiuti per conto dell’American Jewish Joint Distribution Commitee, ma raccoglieva dai profughi le testimonianze sugli eventi recenti in Germania. Il 1 Settembre del 1939, com’è noto, la Germania invadeva la Polonia e la conquistava smembrandola, insieme ai sovietici, in poche settimane. A Varsavia, dove abitavano circa 360.000 ebrei, dopo la consueta raffica di divieti, fu istituita una zona di quarantena per gli ebrei (Seuchenspielgebiet). Essa verrà sigillata nel novembre 1940 trasformandosi nel Ghetto (Juedische Wohnbezirk).
Ringenblum si rese conto che mai avrebbe potuto raccogliere la documentazione di ciò che stava avvenendo da solo. Egli organizzò dunque intorno a sé un gruppo di persone per coordinare e pianificare la raccolta dei dati in maniera sistematica, basandosi su interviste, questionari e resoconti di testimoni oculari. Il gruppo si chiamò in yiddish Oyneg Shabbos (in ebraico Oneg Shabbat, la Gioia dello Shabbat), perché si riuniva sempre alla vigilia dello Shabbat. Esso comprendeva storici, scrittori e rabbini e si dedicava a raccogliere testimonianze e cronaca di vita quotidiana nel ghetto di Varsavia. Il lavoro era iniziato nel Settembre 1939 ed ebbe termine nel Gennaio 1943. Raccogliere informazioni era pericoloso, chiunque lo avesse fatto avrebbe rischiato la fucilazione. Ringelblum teneva le sue note sotto forma di lettere ai familiari; Rabbi Szimon Huberband, uno dei collaboratori di Ringelblum, scriveva ai margini dei libri di preghiera, simulando il commento religioso.
Affamato di notizie
Non tutti sapevano di far parte di questo sforzo; alcuni rispondevano a domande di finti assistenti sociali, i bambini nelle scuole erano incoraggiati a scrivere dei temi. Fu perfino organizzato un concorso a premi per il miglior tema. Professori e contrabbandieri, rabbini e poliziotti, adulti e bambini, tutti scrivevano per Oneg Shabbat; Ringenblum sapeva che la cosa migliore era raccogliere diversi punti di vista su ogni evento. Gli scritti erano in yiddish, tedesco, polacco ed ebraico. Insieme alle testimonianze vennero raccolti anche documenti quali tessere per razioni alimentari, documenti d’identità, disegni, foto, giornali. All’inizio Ringelblum ed il suo gruppo avevano lo scopo di raccogliere queste informazioni per usarle dopo la guerra. Mano a mano che la situazione andava peggiorando essi non nutrirono più illusioni; ciò che speravano era di tramandare la memoria di ciò che stava avvenendo, ma anche di far conoscere al mondo quello che stava succedendo. Essi riuscirono a contrabbandare e a far avere al governo polacco in esilio a Londra, tre importanti scritti. Il 26 giugno del 1942 la BBC trasmise dettagli sul destino degli Ebrei polacchi, avvalendosi del materiale di Oneg Shabbat. Durante le fasi finali dell’esistenza del Ghetto i membri di Oneg Shabbat decisero che il loro archivio doveva essere salvato. Esso fu diviso in tre parti, che furono chiuse in scatole di metallo ed in tre bidoni del latte, sepolti in tre luoghi diversi. Il primo archivio fu sepolto da Israel Lichstensztajn, uno dei principali collaboratori di Ringelblum e da due studenti uno dei quali era Dawid Graber, di 19 anni. Prima della sepoltura essi aggiunsero il loro testamento.
Emanuel Ringelblum era troppo importante per lasciarlo morire nel Ghetto. Egli fu contrabbandato fuori dal Ghetto, insieme ai suoi familiari, poco prima della rivolta scoppiata nell’Aprile 1943. Ma lo storico non resse alla tentazione di andare a raccogliere informazioni su quanto accadeva e fu catturato durante una sua visita nel Ghetto. Fu deportato a Trawniki, una località a 40 Km a sudest di Lublino che serviva, oltre che da campo di lavoro delle SS, anche come campo di addestramento per le milizie ausiliarie di Ucraini, Bielorussi e Baltici.
Meglio il Kiddush Hashem
Ma Ringelblum riuscì nuovamente a fuggire e tornò a Varsavia dove si nascose nella parte “ariana” e dove cominciò a scrivere una storia di Trawniki e della Organizzazione di Resistenza Ebraica. Egli era ormai in una lista di 19 leaders Ebrei che il Governo Polacco aveva accettato di soccorrere attraverso la Resistenza; ma in effetti solo 3 di essi erano ancora in vita. Tutti rifiutarono di andare via perché come disse Ringelblum “noi dobbiamo fare il nostro dovere verso la società”. Sfortunatamente furono traditi e Ringelblum fu nuovamente catturato dai Tedeschi nel bunker dove si nascondeva in insieme alla moglie Judith e al figlio Uri, di 13 anni; furono rinchiusi nella prigione Pawiak, la prigione del ghetto. Ancora una volta la Resistenza cercò di salvarlo cercando di spostarlo in un gruppo di prigionieri destinato al lavoro coatto. Ecco che cosa scrisse Julian Hirszhaut, il prigioniero ebreo incaricato di comunicare con lui, incontrandolo: “Gli dissi che cercavamo di portarlo fuori con noi”. “Cosa accadrà a lui -chiese Ringelblum indicando il figlio- e a mia moglie nella sezione femminile?”. “Il mio silenzio fu esplicito”. “Allora preferisco il Kiddush Hashem (santificazione del Nome) insieme a loro”. “Stetti muto davanti a lui, non sapevo cosa rispondergli e un ondata di dolore mi serrò il cuore”.
Urla sepolte nella terra
Ringelblum fu fucilato pochi giorni dopo, il 7 marzo 1944, insieme alla moglie e al figlioletto. Così perì lo storico del Ghetto di Varsavia.
Ma non la la sua eredità. Hersz Wasser, uno dei sopravvissuti di Oneg Shabbat, aiutò a localizzare nel 1946 uno dei tre bidoni di latte al 68 di via Nowolipki. Il secondo fu rinvenuto a poca distanza nel 1952. Ma il terzo non fu mai ritrovato; secondo alcuni si trova tuttora sepolto nel giardino dell’Ambasciata di Cina. Fu ritrovato anche il testamento di Dawid Graber che scrisse: “Quello che non siamo riusciti a gridare al mondo è stato sepolto nella terra. Mi piacerebbe vedere il momento in cui questo grande tesoro verrà ritrovato e gridare la verità al mondo. Così il mondo saprebbe. Così coloro che non fossero sopravissuti gioirebbero e potremmo sentirci come veterani con le medaglie sul petto. Spero che questo tesoro cada in buone mani, che duri fino a tempi migliori e che possa svegliare e dare una scossa al mondo”. Ma per Dawid, e quelli come lui, nessuna medaglia sarà mai sufficiente. A noi resta solo il ricordo, puntino luminoso nella notte.