di Roberto Zadik
Ogni volta che ci lascia un grande personaggio un senso di vuoto ci prende alla gola e il suo ricordo sembra insufficiente rispetto alla perdita e quando scompare un comico l’emozione del dispiacere sostituisce il brio della sua ironia. Questa volta è il caso di Gene Wilder.
Lanciato da Mel Brooks in capolavori di umorismo, parodia e prontezza come “Frankestein Jr” – capolavoro che quest’anno compie 40 anni recitato in coppia col formidabile Marty Feldman -, “Per favore non toccate le vecchiette” e “Mezzogiorno e mezzo di fuoco”, Wilder era da tempo malato di Alzheimer e aveva smesso di far ridere il mondo con le sue battute e le sue gag e quell’ironia stralunata e paradossale che lo rendevano unico.
Nato l’11 giugno 1933, Gemelli ascendente Gemelli, a Milwakee, da una famiglia di ebrei russi, questo bravo attore, dal volto espressivo e irregolare con riccioloni biondi e occhioni azzurri, ha cominciato col teatro emigrando in Inghilterra e debuttando sul grande schermo diretto dal padre di Sean Penn, Arthur, nel film “gangster story” del 1967. Espressivo, vivace e versatile, sposato varie volte, almeno quattro, una delle quali con Gilda Radner, star del Saturday Night Live, morta di cancro a 43 anni nel 1989, l’irrequieto Wilder ha recitato molto oltre che con Mel Brooks, incontrato grazie alla sua ex moglie, la bella Anne Bancroft, anche con diversi artisti e registi.
Dal simpatico collega Richard Pryor, Sagittario ascendente Pesci, con cui ha girato scatenate commedie come “Non guardarmi non ti sento” fino a bravi registi come il serio Robert Aldrich, uno dei migliori autori western che l’ha voluto per la gustosa parodia del suo genere “Scusi dov’è il west”, Arthur Hiller, regista del polpettone “Love story” che l’ha diretto nel gustoso “Wagon Lits con omicidi” assieme a Pryor, e perfino Woody Allen che l’ha coinvolto nella sua stravagante commedia “Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso” dove appare in una esilarante scena con una capra.
Intattenitore, stand up comedian, ma anche sceneggiatore e regista, Wilder non si è mai fermato cavalcando mezzo secolo con film di vario tipo che andavano dal comico, specialmente negli anni ’70, il suo decennio migliore, alla commedia sentimentale col riuscito “La signora in rosso” orchestrato dalla bella colonna sonora di Stevie Wonder e la sua “I just call you to say i love you”. Personalità inquieta, ironica e laica, Wilder, si definiva “ateo ebreo buddista”, fu sempre molto attivo nel sociale con campagne di lotta contro il cancro e in politica, a sostegno dei Democratici e superò diversi traumi nella sua vita come un’infanzia segnata dal bullismo e dall’insicurezza (come accadde a diversi comici, da Charlie Chaplin, a Woody Allen, a Robin Williams). Fra le sue interpretazioni, da segnalare anche “Willy wonka e la fabbrica di cioccolato” e le sue collaborazioni con autori come Sidney Poitiers e il suo ruolo di regista nel godibile “Il fratello più furbo di Sherlock Holmes”.
Oltre alla sua passione per il cinema, Wilder era anche un dotato scrittore e pittore e molto interessante e piena di gossip la sua autobiografia “Kiss me like a stranger” (Baciami come uno straniero). Esponente di un umorismo demenziale ma arguto come Jerry Lewis, Peter Sellers, Mel Brooks e altri, Wilder se ne va lasciando un grande vuoto specialmente per le generazioni che se lo ricordano in forma smagliante fra gli anni ’70 e gli anni ’80.
E così in questo anno cupo, se ne va anche lui e lo spettacolo si sta svuotando in maniera preoccupante, da David Bowie, a Ettore Scola, a Michael Cimino a Abbas Kiarostami. Chissà chi rimarrà e cosa ci riserverà di nuovo il dorato mondo del cinema, se avremo ancora persone come Wilder capace di farci sorridere con classe, intelligenza e gusto del paradosso.