di Naomi Stern
«Vivo a Parigi, sono ebrea, israeliana, americana ma da questa città non me ne vado, anche se è sempre più difficile viverci. Sono abituata a combattere. Se sono nervosa? E chi non lo sarebbe? Ma proverei lo stesso nervosismo anche se fossi un uomo di colore in certi Stati americani del sud degli States, o un musulmano in certi Paesi dell’est Europa. Ma oggi qualcosa sta cambiando: lo stesso sentimento di tremore e insicurezza che da decenni si vive in Israele adesso è palpabile anche qui, in Francia».
Natalie Portman vive a Parigi dal novembre 2014: ha traslocato qui, insieme alla famiglia, poco prima dell’attacco terroristico a Charlie Hebdo e all’Hyper-kasher. Una decisione che cerca una nuova conferma, dopo la tragedia dell’ultimo 13 novembre. Classe 1981, Natalie (Hershlag il suo vero cognome) è nata a Gerusalemme, papà medico israeliano e mamma americana. A tre anni si trasferisce negli States con i genitori, senza perdere l’attaccamento a Israele e all’identità ebraica. Una laurea in psicologia ad Harvard, un premio Oscar vinto nel 2011 con Il cigno nero, Natalie era salita sul palco a ritirare la mitica statuetta con un enorme pancione.
Sono passati quattro anni da allora e la Portman ha dato alla luce Aleph, il suo primogenito, si è sposata con il coreografo-star francese Benjamin Millepied ed ha affrontato la prima prova di regia della sua carriera. Millepied, da poco diventato Direttore per la danza all’Opèra di Parigi, ha dichiarato: «Sono nel mezzo del mio processo di conversione; diventare ebreo è molto importante per me». Un amore, il loro, sbocciato nel corso delle riprese de Il cigno nero e coronato con nozze di rito ebraico, lo scorso anno. «Oggi più che mai, dopo quello che è successo, in segno di resistenza, mi piacerebbe avere la cittadinanza francese, ma non credo sia possibile: ho già sia il passaporto israeliano sia quello americano!», ha dichiarato la Portman che, nella classifica di Forbes, risulta tra le prime venti attrici più influenti e pagate del 2015, sei milioni di dollari annui. Animalista convinta, alimentazione vegana (adora la quinoa), la Portman ha obbligato Dior a fabbricarle apposta scarpe e borse in cuoio vegetale, pur di non indossare oggetti di derivazione animale.
Con cinque film in uscita nel 2016, la Portman è certamente l’attrice del momento: da Knight of cups (Cavaliere di coppe), di Terrence Malick a Jane got a gun, un western di Gavin O’Connor, da Planetarium a On the Basis of Sex. Senza dimenticare la regia di Una storia d’amore e di tenebra tratto dal best seller di Amos Oz, di cui è anche interprete (presto nelle sale italiane, fino ad oggi è uscito solo in Israele). Non era facile cimentarsi con un adattamento cinematografico delle memorie familari di Amos Oz, una vicenda che attraversa l’intera storia d’Israele narrando le problematiche vissute dallo scrittore adolescente in kibbutz durante gli ultimi anni del mandato britannico e gli echi della persecuzione europea. Sono sette anni che la star, innamorata del capolavoro di Oz, cercava di capire come farne un film. Senza contare la decisione, avvenuta dopo il primo ciak, di interpretare la madre di Oz, Fania, morta suicida. «Alla fine ci siamo capiti e accordati. Amos è stato estremamente gentile», racconta la Portman, ripensando ai difficili momenti che hanno preceduto la cessione dei diritti. «Ho dovuto dimostrare ad Amos di aver davvero capito cosa volesse dire con quell’opera. Oz mi ha chiesto un’unica cosa: “Non banalizzare le cause e il suicidio di mia mamma, per piacere, non farlo”. È stato il linguaggio a guidarmi; l’ossessione di Oz verso le parole e il modo in cui sono connesse tra loro, in ebraico, mi hanno offerto un’immenso serbatoio di poesia. Ma è stato quasi impossibile adattarle al film». Non a caso, la sfida più grande dal punto di vista della recitazione è stata la lingua e la corretta resa degli accenti: «Recitare in ebraico è stato più impegnativo di quanto mi aspettassi, malgrado l’abbia studiato a scuola. Era coerente che il mio personaggio, un’immigrata, parlasse l’ebraico con un leggero accento; ma non era giusto che il suo accento fosse americano! Ho voluto a tutti i costi girare il film in ebraico. Ma non trovavo l’attrice giusta. Così mi sono decisa e ho fatto mia la parte della madre di Amos, un ruolo delicato e difficile». Quando ha preso in mano il libro, la Portman non immaginava se stessa in un ruolo così impegnativo. «Tutto è cambiato con il passare del tempo. Ho iniziato a lavorare sul soggetto quando avevo 27 anni. Mi sono ritrovata a 31 anni con un bambino, il mio primo figlio, e ora che ho 34 anni credo di aver raggiunto la maturità necessaria per affrontare la complessità di quell’opera. Trovare soldi e persone che credano in te, scrivere una sceneggiatura che rispetti la realtà delle cose e combinare il tutto con il nuovo ruolo di madre è stata una sfida, ma me la sono cercata e non voglio lamentarmi delle difficoltà».
Riprese durate 40 giorni, il film è stato girato nel gennaio 2014 a Gerusalemme. La Portman ha dovuto risolvere molti problemi sul set. A partire dalle lamentele degli abitanti del quartiere haredì di Nahalot. «Eravamo in luoghi sensibili, nelle vicinanze di templi e yeshivot. Per poter girare lì ho dovuto accettare di far esaminare le scene filmate, onde non offendere la sensibilità degli haredim», abitanti che in precedenza avevano apostrofato la troupe tacciando tutti di “invasori stranieri”. Presentato all’ultimo Festival di Cannes, Una storia d’amore e di tenebra contiene sullo sfondo il presagio della tragedia della Shoah. «Ricevo decine di proposte per interpretare ruoli legati alla Shoah. Sul mio comodino tengo il Diario di Anna Frank che leggo e rileggo. Ma davvero non capisco questo bisogno di mettere la Shoah al centro di tutta l’educazione. Perché dipingere noi stessi sempre come vittime? Certo, è importante ricordare, ma ci sono molte altre cose, anch’esse importanti», continua il premio Oscar. «L’odio esiste ed è sempre esistito. Specie quello razzista. Questo dovrebbe far sì che tutti noi ci sforzassimo di essere più empatici e solidali con chi oggi sperimenta sulla propria pelle il dolore del razzismo». Da sempre la Portman tiene a sottolineare come il neo-antisemitismo contemporaneo sia qualcosa di diverso rispetto, ad esempio, a quello dell’ideologia nazista. «Pensare sempre all’Olocausto rischia di gettarci nella paura costante che un altro Olocausto possa accadere. Dobbiamo essere consapevoli che l’odio esiste, che esiste un antisemitismo latente, ma che non si dispiega mai nello stesso modo». Una triste evidenza questa, confermata oggi dai tragici fatti di Parigi con i suoi morti innocenti.
Sempre nel 2016, la Portman uscirà con un altro film, On the Basis of Sex, dedicato a Ruth Bader Ginsburg, magistrato Usa, nominata nel 1993 dal Presidente Clinton giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti. La Ginsburg è stata la seconda donna a ricoprire questo ruolo e la prima persona di religione ebraica. «Continuo a ripetere al mio agente quanto io sia fortunata! Ci sono piccole donne ebree che hanno fatto cose enormi ed eccezionali. E io sono solo una piccola attrice dai capelli scuri», dice, scherzando sul proprio narcisismo. «È stato il destino a portarmi a Parigi. In fondo, mio padre mi ha chiamato Natalie in omaggio alla canzone di Gilbert Bécaud; e il mio primo film l’ho girato con un regista francese, Luc Besson. In Francia ho incontrato più calore e affabilità che negli States. E poi, è bello trovare una libreria in ogni strada. A Los Angeles ce ne saranno due in tutta la città. Mi piace anche che non sia una città elitaria, come New York. La statuetta dell’Oscar? Non so neppure dove sia. Forse in cassaforte. Leggo a mio figlio la storia di Avra’ham e gli spiego l’importanza di non avere falsi idoli. Per questo l’Oscar non è esposto, in casa mia. Si tratta solo di un falso idolo».