di Massimo Lomonaco
Il 31 ottobre del 1917, nell’anticamera della sala dove è in corso il Gabinetto Britannico per la discussione finale sulla Dichiarazione Balfour ci sono due uomini in attesa. Uno è Chaim Weizmann, il sionista inglese artefice dell’operazione in corso; l’altro è Aaron Aaronsohn, un suddito ottomano, quindi un nemico. L’attesa è breve. Poco dopo, la porta si apre e Sir Mark Sykes, diplomatico e consigliere per il Medio Oriente del Gabinetto di Guerra, annuncia ai due che la Dichiarazione (‘Il bambino’, come la chiama sorridendo) è nata. Poi li invita nella sala dove entrambi stringono le mani al premier David Lloyd George, al ministro degli esteri Arthur James Balfour e agli altri membri del Gabinetto.
Ma che ci fa un avversario dell’Impero britannico nel cuore della sua capitale? E per di più nel sancta sanctorum politico-militare inglese?
Aaron Aharonson, l’agronomo che divenne spia
Aaronsohn ha 41 anni ed è un botanico e agronomo di fama mondiale: nel 1906 ai piedi del Monte Hermon in Alta Galilea ha scoperto la ‘pianta madre’ del grano (triticum dicoccoides) traendone prestigio internazionale e grandi mezzi finanziari soprattutto americani che ha investito nella fondazione della Stazione sperimentale agricola di Atlit, la prima in assoluto in Medio Oriente. In lui la scienza va di pari passo con l’impegno patriottico. Dotato di cultura enciclopedica, ma anche di un carattere assai poco facile, impetuoso e per nulla incline ai tempi lunghi della politica, è una figura atipica del sionismo ufficiale dell’epoca. Un uomo difficile da gestire negli equilibri di quella scivolosa partita – una patria in Palestina – giocata dal movimento nazionale ebraico sulla scena politica internazionale, complice il conflitto in corso. Aaronsohn è un outsider dalla capacità visionaria, senza legami ideologici e sostanzialmente fedele a sé stesso e alle sue idee. Ne sono coscienti sia Weizmann sia gli inglesi. Porta però con sé un formidabile atout: ha creato in Palestina un gruppo di intelligence che, grazie alle informazioni, si è rivelato sempre più vitale per lo sforzo bellico britannico. Quel pugno di uomini è stato chiamato in codice ‘Nili’ acronimo di un versetto di Samuele, ‘Netzach Israel lo ishakare’, ‘l’Eterno di Israele non ti abbandonerà mai’.
In quella fine ottobre di 100 anni fa, Nili – arroccato nel paesino di Zichron Yaacov, sui primi salienti del Monte Carmelo a picco sul Mar Mediterraneo – è una pedina decisiva nel nuovo fronte che, dopo molte titubanze e le cicatrici della disfatta di Gallipoli, l’Inghilterra ha deciso di aprire nello scontro con gli Imperi Centrali sullo scacchiere mediorientale. C’è voluto un aspro confronto politico-militare tra ‘Westerns’ ed ‘Easterns’ ed un cambio di governo tra Asquith e Lloyd George, prima che Londra scelga di provare a dare la spallata finale all’Impero Ottomano in Medio Oriente. Aaronsohn non era impreparato a quella svolta, né dal punto di vista politico né da quello strettamente militare. Anzi l’aveva evocata facendone un punto di riferimento del suo agire. Era infatti convinto che l’unica possibilità per ottenere un futuro stato ebraico in Palestina passasse attraverso l’appoggio alla Gran Bretagna.
Una visione politica in netto contrasto con quella prevalente dell’Yishuv, la comunità ebraica in Palestina, decisa – come peraltro l’intero movimento sionista mondiale – a restare neutrale durante il conflitto e a non schierarsi, in ogni caso, contro il potere ottomano. Il timore, reale, dell’Yishuv era che i Turchi agissero nei confronti degli ebrei palestinesi come avvenuto con gli Armeni, altra minoranza religiosa dell’Impero. Aaronsohn riteneva invece che, neutralità o meno, i Turchi avrebbero presto agito contro l’Yishuv. Anzi già avevano cominciato e lo dimostravano le condizioni della popolazione ebraica in Palestina ridotta allo stremo dalla guerra e dalle privazioni politiche, economiche, militari, imposte dagli Ottomani. Del resto conosceva di prima mano quanto successo agli Armeni tramite i racconti di sua sorella Sarah. Andata in sposa ad un ebreo bulgaro e vissuta ad Istanbul per un breve periodo di tempo, Sarah era stata testimone del genocidio. La paura che presto sarebbe toccato agli ebrei l’aveva spinta a lasciare il marito e a rientrare a Zichron Yaacov per lavorare con il fratello a una alternativa.
La strategia di Aharonson
Aaronsohn aveva subito escluso la rivolta in armi contro i Turchi, per la quale propendeva invece il suo amico Absalom Feinberg, figlio di una delle famiglie più influenti dell’Yishuv. Aaronsohn sapeva che la rivolta sarebbe stata schiacciata senza difficoltà dai Turchi e dai loro alleati tedeschi. Occorreva agire in altra maniera. Paradossalmente furono proprio i Turchi a fornirgli la soluzione: Djemal Pascià, il potente capo della Quarta Armata turca e padrone assoluto della Palestina, conscio della abilità e della fama di Aaronsohn come agronomo e botanico, gli offrì la carica di Direttore generale della lotta alle locuste che in quegli anni stavano flagellando la già misera Palestina. ll che significava, per Aaronsohn e i suoi uomini, libertà assoluta di movimento e possibilità di ispezionare ogni più remoto luogo del paese, postazioni militari comprese. Fu allora che nacque Nili. Ma avere informazioni – e il gruppo ne ottenne subito in grande quantità – non valeva nulla se non c’era a chi darle e questo qualcuno per Aaronsohn non potevano che essere gli Inglesi, inchiodati dai Turchi sul fronte tra El Arish in Egitto e Gaza in Palestina.
Costruire il collegamento con gli Inglesi fu il capolavoro politico di Aaronsohn ed anche di Feinberg. Ma anche la prova della grande sagacia e abilità tattica britanniche. Una volta accettate l’affidabilità e la capacità di intelligence del gruppo – e non fu così semplice – gli Inglesi ebbero in mano un asso decisivo. E che poteva essere abbinato all’altra carta vincente dal nome pittoresco ma efficace di Lawrence d’Arabia. L’Impero britannico si mosse dunque nella regione mediorientale potendo contare su una coppia formidabile: da una parte Aaronsohn per gli ebrei e dall’altra parte Lawrence con gli Arabi.
A testimoniare questa nuova interpretazione è la storiografia più aggiornata: basti citare ad esempio i libri di Ronald Florence e di Patricia Goldstone, ma anche quelli di Scott Anderson o di Keith Jeffrey. Con la loro analisi focalizzano un momento decisivo per il sionismo e per il futuro del Medioriente. Come è noto, la storia non si fa con i ‘se’, ma nel caso di Aaronsohn questi ‘se’ non ci sono. Il diario che l’agronomo riempì fino alla morte – è custodito nel museo di Zichron Yaacov – ne è la prova provata.
Negli anni dal 1915 al 1919, Aaronsohn intrecciò un disegno politico di lunga prospettiva che spesso cozzò con la strategia del movimento sionista almeno fino a quando esso non venne monopolizzato da Weizmann. E anche con il suo mentore i rapporti non furono sempre i migliori. Aaronsohn andava veloce e questa velocità spesso non collimava con i passi pazienti e diplomatici del futuro primo presidente di Israele. Aaronsohn – e il diario lo indica – soffrì di questo continuo richiamo ai tempi dettati della politica. Il suo non sentirsi subordinato alla leadership sionista e il suo carattere furono inoltre usati per sospingerlo ogni volta in secondo piano. I suoi punti di forza furono certo una straordinaria resistenza mentale e fisica ma, soprattutto, una leggendaria capacità di ‘catturare gli uomini’ e di spiegare loro le proprie idee.
Così avvenne con i capi del controspionaggio militare inglese a Londra e in Egitto, così con sir Mark Sykes, elemento chiave della politica estera inglese. Il diplomatico britannico aveva firmato con il collega francese Francois Georges-Picot l’omonimo trattato con cui le due potenze europee si spartivano in rispettive influenze le spoglie turche in Medio Oriente. Palestina e Iraq agli inglesi, Siria e Libano ai francesi con la comune convergenza su un regno arabo indipendente da creare a fine guerra. Aaronsohn divenne in breve per Sykes il prisma attraverso il quale scomporre il groviglio palestinese per meglio resistere ai continui tentativi dei francesi di rimettere in questione l’accordo. Spinti tra l’altro dalla volontà come nazione cattolica di non lasciare i Luoghi Santi cristiani in mano a protestanti inglesi.
Per Aaronsohn Sykes fu invece il grimaldello per entrare nel gioco politico inglese bilanciando con Nili la decisa inclinazione verso gli arabi rappresentata da Lawrence e dall’Arab Bureau del Cairo. Aaronsohn fu inoltre il ‘deus ex machina’ per il generale Edmund Allenby, il futuro conquistatore di Gerusalemme. A lui rappresentò– dopo averla illustrata al servizio segreto britannico – l’esatta disposizione in campo delle forze armate turche, i loro tanti punti deboli e i pochi forti, la situazione delle retrovie, dei rifornimenti, dei treni, dei porti. Invece che incaponirsi con Gaza – che già per due volte aveva resistito agli assalti britannici – spiegò al generale in capo della forza di spedizione britannica che la roccaforte turca poteva essere ignorata. Meglio aggirare l’ostacolo puntando su Beer Sheva la cui conquista avrebbe aperto le porte della Città Tre Volte Santa. Ad Allenby indicò, anche grazie a Nili, i pozzi e le sorgenti d’acqua ai quali abbeverare la cavalleria australiana nella presa di Beer Sheva. Un capolavoro tattico – facilitato dalla copertura del fianco destro dello schieramento inglese da parte dell’’armata araba condotta da Lawrence – che disincagliò la strada per Gerusalemme dove Allenby entrò l’11 dicembre di 100 anni fa esatti.
E nello sfondo già si intravedeva Damasco: la città cadde ad inizi ottobre dell’anno successivo e lì entrarono le forze arabe irregolari di Lawrence. A fine mese l’Impero ottomano chiedeva la resa. L’11 novembre 1918 capitolava anche la Germania: la Prima Guerra mondiale era finita. Ora si trattava di costruire la pace nella Conferenza di Versailles. E non sarebbe stato facile. Sul tavolo da una parte c’erano gli impegni presi dalla Gran Bretagna con gli Arabi dello sceriffo della Mecca Hussein e i suoi figli, soprattutto Feisal, le cui armate erano state guidate da Lawrence. Dall’altra, la Dichiarazione Balfour con la promessa di “un focolare nazionale ebraico” in Palestina ( ‘national home’ e non ‘state’, si badi bene). E nel mezzo la stretta cornice dall’Accordo Sykes-Picot che avrebbe ridisegnato il Medio Oriente secondo le volontà delle potenze coloniali inglese e francese.
La spinosa questione dei confini
Nelle trattative che si aprirono un minuto dopo la fine delle ostilità, vi era un punto decisivo per tutte le parti in causa: quali sarebbero stati i futuri confini della Palestina che sarebbe finita sotto il diretto controllo inglese? E soprattutto al nord con il Libano dove cominciava la sfera d’influenza francese. Aaronsohn fu chiamato dalla Delegazione sionista alla Conferenza – pur in funzione ‘tecnica’ – a disegnare quei confini in base alla necessità ebraiche. Un compito per il quale lo scienziato si era preparato per la sua intera vita e che aveva registrato un primo successo con la Dichiarazione Balfour. Aaronsohn era conscio di alcuni problemi: le domande territoriali francesi e di Feisal, la riluttanza degli inglesi a contrastare su questo le richieste degli ex alleati in guerra, la notevole estensione di terra in mano a proprietari arabi che vivevano a Damasco e a Gerusalemme, la relativa scarsezza della popolazione ebraica in Palestina. Ma soprattutto il fatto che a Versailles non c’erano scienziati o economisti, quanto piuttosto politici e diplomatici. E che questi avrebbero optato per scelte politiche, militari e diplomatiche in un gioco di equilibrio di potenze a scapito della realtà sul campo.
L’approccio di Aaronsohn fu invece di tipo scientifico e non poteva essere altrimenti, visto che era l’uomo che meglio conosceva – come ammise Weizmann – la Palestina. Le mappe disegnate si basarono dunque su bacini acquiferi, idrologia, tipo del terreno, vie di trasporto e mezzi di coltivazione. “Le uniche linee di delineazione corrette dal punto di vista economico e scientifico sono – spiegò – i bacini acquiferi”. Se in Palestina ci dovevano essere due popoli, ci dovevano essere anche le risorse e dalla presenza o meno di fonti d’acqua dipendeva il futuro e lo sviluppo di quei due popoli. La Palestina tratteggiata da Aaronsohn aveva come frontiera del nord la zona oltre il fiume Litani ora in Libano, ad est si inoltrava fino a sfiorare Damasco, scendeva passando per Deera, adesso in Siria, lambiva Amman in Giordania (facendo propria tutta la Valle del Giordano), giungeva fino ad Aqaba e si inerpicava nel Sinai per giungere a poco prima di Port Said in Egitto. Quella divenne la proposta che la Federazione sionista avrebbe presentato a Parigi. Anche Lawrence avanzò la sua: abbastanza simile ma che si fermava come confine sud della Palestina poco sopra Gaza, pur inglobando il Golfo di Aqaba. Anche il campione della causa araba aveva compreso l’importanza della frontiera nord e delle sue risorse. Il mattino del 15 maggio del 1919 Aaronsohn decise di rientrare da Londra, dove si trovava insieme a Weizman, a Parigi per la Conferenza. Si imbarcò su un aereo postale della Raf con destinazione Boulogne dall’altra parte della Manica. Il tempo non era dei migliori e una fitta nebbia gravava sulla zona. Il velivolo cadde nel mezzo della Manica uccidendo i suoi passeggeri. Il corpo di Aaronsohn non venne mai trovato.
La morte di Aaron Aharonson e la sue eredità
La sua morte sollevò molti rimpianti e anche sospetti, come avvenne per quella di Lawrence anni dopo. Nella lotta politica in corso a Versailles per assicurarsi un posto al sole, non ci fu esclusione di colpi. Senza voler abbracciare le tesi più estreme che qualcuno ha adombrato, è un fatto che Aaronsohn fosse una figura problematica per molti. In primis per la stessa Gran Bretagna: troppo audace, ma fascinosa, la sua visione di una grande Palestina in cui i popoli potessero vivere insieme e che era riecheggiata nell’incontro del gennaio del 1919 a Londra tra Weizmann e Faisal (interprete Lawrence) il cui il leder della rivolta araba affermava di non opporsi all’arrivo di 4/5 milioni di ebrei nel paese.
Ma anche all’interno del campo sionista non c’era unanimità su Aaronsohn. Tuttaltro. L’unico di peso che lo appoggiò fino in fondo – a parte Weizman e con molti distinguo – restò Jabotinsky. Del resto, Aaronsohn era in contrasto con il socialismo imperante della seconda aliyah: lo sviluppo industriale e agricolo che perseguiva si basava su parametri capitalistici. E nella sua Stazione sperimentale di Atlit non c’era differenza di impiego e di salario tra arabi ed ebrei in una scelta che contrastava la mistica sionista del lavoro ebraico per primo imperante nell’Yishuv. I confini tracciati per la Palestina non inseguivano la politica, ma la razionalizzavano incentrandosi sulle risorse e la sicurezza che meglio avrebbero garantito quelle frontiere.
La storia – ripeto – non si fa con i ‘se’. Possiamo quindi solo immaginare – e non teorizzare – quali sarebbero state le vicende successive se (appunto) quei confini fossero stati adottati. Tuttavia è un fatto che quei confini avrebbero evitato molti dei futuri punti di attrito in Medio Oriente, così come la storia ce li ha fatti conoscere. In questo inestimabile – qualcuno lo ha definito ‘titanico’ – contributo, Aaronsohn pagò prezzi terribili. Il primo in assoluto, fu il suicidio della sorella Sarah – indomabile capo di Nili in patria – sfigurata dalle torture dei turchi oramai a conoscenza delle attività segrete del gruppo.
Il ruolo centrale di Sarah Aharonson
La storia di Sarah è l’altro gioiello di questa epopea e non meno importante di quella del fratello. Senza questa donna dal piglio di acciaio e dalla inevitabile fragilità, Nili non sarebbe esistito. Fu lei a reggere – da sola e senza Aaron oramai a Londra e al Cairo – il peso maggiore in patria della persistente ostilità nei confronti di Nili da parte dell’Yishuv: furono chiamati allora ‘traditori’ e poi ‘porshim’, dissenzienti che avevano messo a rischio la vita dell’intera popolazione ebraica della Palestina. Sarah con coraggio resistette a tutti i tentativi e ricatti dell’Yishuv di far cessare le attività del gruppo: sapeva troppo bene quanto le informazioni raccolte dai membri di Nili servissero ad Aaron e alla causa. Quando gli inglesi e il fratello – allarmati dalle indagini dei Turchi – le chiesero di lasciare la Palestina con la nave che in incognito passava di fronte Atlit per prendere i rapporti informativi, Sarah rifiutò. Non fu un atto di folle coraggio, bensì di lucida comprensione della posta in palio.
Sarah Aaronosohn – eroina di Israele – morì il 9 ottobre del 1917 dopo tre giorni di terribile agonia. La sua tomba si trova nel cimitero di Zichron Yaacov dove era tornata da Istanbul per salvare il suo popolo. La sua memoria ancora oggi sia di benedizione.
Absalom Feinberg, l’amico e l’amante
Aaron sacrificò a Nili anche il suo migliore amico, Absalom Feinberg che Sarah amava. Ucciso a Rafah, a sud Gaza, il 20 gennaio del 2017 durante uno scontro a fuoco con i beduini mentre tentava di raggiungere l’Egitto, le sue spoglie sono state in luogo ignoto per 50 anni. Nel 1967 sono state trovate da un ufficiale dell’esercito israeliano sotto una palma, nata dai datteri conservati nella sua tasca e che gli erano stati offerti da Sarah prima della partenza. Oggi riposa sul Monte Herzl, il sacrario degli eroi di Israele a Gerusalemme.
Sarah e Absalom hanno contribuito in maniera determinante, a costo della propria vita, alla Dichiarazione Balfour che Aaron vide per primo quel 31 ottobre del 1917. Senza Aharonson e le informazioni di Nili, come ammise Allenby, l’Impero britannico avrebbe perso 30 mila uomini in più.
Una memoria dovuta
È ora dunque di ridare ad Aaron Aaronsohn e a Nili il giusto posto nella Storia che a lungo gli è stato negato. Fino al ritrovamento nel 1967 delle spoglie di Absalom, su Nili è caduta in patria una sorta di anatema; un gruppo di spie e nulla più. È stata, paradossalmente, la Guerra dei 6 Giorni e il seguente controllo israeliano del Sinai, di Gaza e delle Alture del Golan, a riproporre temi che Aaronsohn aveva affrontato 50 anni prima. C’è voluto tempo e una nuova storiografia non più solo sionista di sinistra, duole dirlo, a far sì che almeno in patria i membri di Nili non siano solo i ‘porshim’ spericolati ed estremisti.
Ma chi conosce la storia di Nili fuori di Israele? Nella memoria di tutti noi c’è invece un film del 1962 di David Lean: Lawrence d’Arabia. Quella pellicola ha consegnato all’immaginario collettivo la leggenda di un uomo, inglese, in lotta per la causa araba tradita dalle stesse potenze europee che l’avevano alimentata. In una grande operazione di revisione critica Lawrence era diventato non più l’esecutore della politica inglese in Medio Oriente ma l’alfiere di quella libertà che ora la Gran Bretagna si apprestava progressivamente a dare alle sue colonie. Molti dei giovani di quella generazione, me compreso, hanno visto in Lawrence il paladino della lotta per la liberazione dei popoli, arabi compresi e per primi.
Aaron Aaronsohn continuava a restare nell’ombra. Eppure aveva contribuito alla liberazione del suo popolo costringendo gli inglesi, grazie a Nili, a fare i conti con le sue idee. Ma soprattutto aveva lottato per dare una patria agli ebrei fino ad arrivare alla Dichiarazione Balfour. Se non fosse morto – questa volta fatemi usare liberamente il ‘se’ – avrebbe segnato ancora di più la storia di quanto abbia fatto da eroe solitario quale era.